All'indomani delle elezioni presidenziali, quale sarà la nuova politica americana nei confronti del Medio Oriente?
Le
preoccupazioni del Medio Oriente per le elezioni americane -
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All'indomani delle elezioni presidenziali, quale sarà la nuova politica americana nei confronti del Medio Oriente?
Di George Simon. Al-Hayat (07/11/2016). Traduzione e sintesi di Alberto Claudio Sciarrone.
Le sorti
degli Stati Uniti (e in un certo senso anche del mondo) stanno per
essere decise con l’elezione del nuovo presidente americano, dopo un
faccia a faccia tra la Clinton e Trump che dura ormai da mesi. La
prossima amministrazione, democratica o repubblicana, si troverà di
fronte un compito difficile: cercare di ricomporre un equilibrio
regionale in Medio Oriente.
L’ascesa
della Cina come potenza mondiale ha spinto l’amministrazione Obama a
focalizzare il proprio interesse strategico sull’Asia e sul Pacifico,
trascurando le vicende che avevano luogo nei paesi arabi.
Lo storico
accordo nucleare dell’Iran e l’abolizione delle sanzioni ha portato a
ridisegnare gli schemi locali, rigenerando l’aspirazione della
Repubblica Islamica ad un ruolo di potenza regionale (ruolo ambito anche
dalla Turchia nonostante il recente tentativo di colpo di Stato).
L’instabilità
della regione e le irrisolte ripercussioni della “primavera araba”
hanno causato invece logoranti guerre in Libia, Siria e Yemen, mentre il
terrorismo è diventato un fenomeno di scala mondiale, coinvolgendo ogni
Stato e trascendendo tutti i confini.
L’Egitto,
come altri paesi, ha cercato alternative all’assenza degli Stati Uniti,
gettando l’occhio ad una alleanza con la Russia che si è riproposta in
maniera preponderante come concorrente a livello di egemonia mondiale,
riaffermando la propria autorità con la crisi dell’Ucraina.
Tutti questi
eventi hanno modificato radicalmente la strategia adottata da
Washington, portando a ridisegnare la rete di relazioni e interessi nel
Medio Oriente. Il successore di Barak Obama si troverà quindi ad
affrontare nuove sfide e diverse questioni spinose rimaste sospese. In
caso di vittoria la Clinton, che ha precedenti in politica estera grazie
al suo passato di segretario di Stato, continuerà la guerra contro lo
Daesh (ISIS) in Siria e in Iraq, in base però agli esiti della battaglia
di Mosul. Per quanto riguarda la crisi siriana, la candidata
democratica si è battuta per un maggiore coinvolgimento, sollecitando un
intervento diretto con la creazione di una no-fly zone per rovesciare
il regime di Bashar al-Assad, sostenuto invece dalla Russia.
Trump, da
parte sua, ha aumentato la sua popolarità con i suoi commenti razzisti,
contribuendo a diffondere l’islamofobia. Il suo obiettivo dichiarato è
riportare l’America ai fasti di un tempo, mettendola in primo piano (America First)
e rifiutando l’interdipendenza con il resto del mondo. Per quanto
riguarda la politica estera, il candidato repubblicano si è espresso
contro l’accordo nucleare dell’Iran e ha invece teso una mano alla
Russia di Putin, dimostrandosi disposto a trattare sulla questione
siriana. In questa situazione, l’unico Stato a non preoccuparsi di
questa campagna presidenziale a
livello regionale è Israele, forte dello storico legame con gli Stati
Uniti e sicuro che i propri interessi non verranno intaccati in alcun
modo.
George Samaan è un giornalista e scrittore libanese, attualmente caporedattore presso la Lebanese Broadcasting Corporation.
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