Portavoce B’Tselem: occupazione israeliana e inerzia internazionale ostacolo alla pace




20/10/2016 - ISRAELE - PALESTINA

Portavoce B’Tselem: occupazione israeliana e inerzia internazionale ostacolo alla pace




In Israele è in atto uno scontro durissimo fra governo e Ong pacifiste e anti-occupazione. A scatenare la controversia un discorso all’Onu del direttore di B’tselem, Amit Gilutz auspica un intervento della comunità internazionale per fermare la politica di espansione nelle colonie. L’esecutivo non considera “temporanea” l’occupazione e non “mostra interesse” a interromperla.

Gerusalemme (AsiaNews) - La perdurante “politica di occupazione” che si protrae “da ormai 50 anni” è “responsabilità” di Israele, ma se la comunità internazionale “continua a rimanere inerte” e a permettere “lo status quo” non si potrà mai raggiungere una soluzione. Questo “è il senso del nostro discorso” all’Onu, in cui abbiamo chiesto ai leader mondiali “di intervenire” perché l’attuale governo israeliano “non considera l’occupazione una situazione temporanea e non mostra interesse a interromperla”. È quanto afferma ad AsiaNews Amit Gilutz, portavoce di B’Tselem, Ong israeliana che si batte contro l’occupazione nei Territori palestinesi, finita in questi giorni al centro di uno scontro durissimo con il premier Benjamin Netanyahu.
A scatenare la controversia l’intervento di Hagai El-Ad, direttore di B’Tselem, al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il 14 ottobre scorso, in cui ha auspicato “azioni immediate” contro gli insediamenti di Israele durante una sessione speciale sull’occupazione. Egli ha parlato di “una invisibile, burocratica violenza quotidiana” che grava sui palestinesi “dalla culla alla tomba”. Tra i molti esempi, il controllo sugli ingressi e l’uscita dai territori e i diritti (violati) degli agricoltori.
Alle dichiarazioni rilasciate dall’Ong pacifista all’Onu - e sostenute in sede di Consiglio dagli Stati Uniti - ha replicato il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che parla di “azione contraria” a Israele e agli interessi dello Stato ebraico. In post pubblicato su Facebook il premier ha accusato B’Tselem - ma le sue parole valgono anche per altre realtà come Peace Now e Breaking The Silence - di parole “non appropriate” provenienti da una realtà “marginale” e “delusa”.
Secondo Netanyahu - strenuo sostenitore con il suo esecutivo della politica di espansione degli insediamenti - gli attivisti di B’Tselem cercando di guadagnare attraverso la “coercizione internazionale” quello che “non sono riusciti ad ottenere mediante elezioni democratiche” in Israele.
In un secondo post diffuso sulla propria pagina il Primo Ministro ha anche annunciato un disegno di legge per “disincentivare” l’ingresso volontario di giovani in associazioni quali B’Tselem; alcuni giovani che non sono sottoposti all’obbligo di leva militare, fra cui gli arabo-israeliani, possono infatti scegliere il servizio civile in enti e associazioni come alternativa all’esercito.
Interpellato da AsiaNews il portavoce dell’Ong - fondata nel 1989 da un gruppo di personalità pubbliche israeliane, fra cui avvocati, accademici e parlamentari - sottolinea che “Israele persegue la politica di occupazione” in un contesto “asimmetrico” delle forze in campo. Certo, aggiunge Amit Gilutz, “la responsabilità della situazione non è sua al 100%”, ma è “Israele che parte da una posizione di forza e che deve fare qualcosa in prima persona, deve resistere alla tentazione di prolungare una situazione in cui, di fatto, vi è un popolo occupato”.
“Le violazioni e l’occupazione - spiega l’attivista - sono un dato di fatto; vi sono milioni di persone sotto il controllo militare, soggette a espropri forzati, deportazione di intere comunità, omicidi extragiudiziali, arresti e imprigionamenti senza processi, che riguardano anche bambini”. Viene impedito “l’accesso alle risorse di base, come l’acqua. I palestinesi - prosegue - sono costantemente sotto attacco, e vi è una escalation nel processo di acquisizione delle terre… Siamo di fronte a una situazione in continua evoluzione”.
L’occupazione, spiega il portavoce di B’Tselem, pone le basi per la violazione su larga scala dei diritti umani e preclude non solo la soluzione dei Due Stati, ma qualsiasi tentativo di pace. “Il nostro compito non è fornire soluzioni - aggiunge - ma raccontare di come Israele stia cambiando in modo unilaterale la situazione sul terreno. E questo, nel concreto, impedisce una continuità territoriale” all’interno dei confini palestinesi.
A dispetto delle pressioni del governo israeliano, Amit Gilutz conferma “l’impegno continuo” dell’Ong perché “è nostro dovere farlo, anche se la nostra speranza, un giorno, è quella di rimanere disoccupati perché le violazioni ai diritti umani sono finite. Tuttavia, non credo questo avverrà a breve”. “Continueremo ad esercitare - prosegue - il nostro dovere e diritto di critica, anche se il premier e il suo governo ci usano come capro espiatorio per distrarre l’opinione pubblica dalle questioni vere, che sono le politiche promosse dall’esecutivo e il tema della sicurezza”.
“Abbiamo la speranza - conclude il portavoce di B’Tselem - che vi sia una soluzione al conflitto e che verrà perseguita in un’ottica di pace. Però al momento la possibilità di avere una speranza è una posizione privilegiata, che i palestinesi non hanno perché a loro non è concesso scegliere”.
Secondo le ultime statistiche fornite da Peace Now, nel 2016 l’amministrazione israeliana - in mano ai militari - che controlla i territori della Cisgiordania ha dato il via libera a 2.623 nuovi insediamenti. Fra questi vi sono 756 case abusive e "legalizzate" a posteriori.
Ad oggi almeno 570mila cittadini israeliani vivono in oltre 100 insediamenti costruiti da Israele a partire dal 1967, data di inizio dell’occupazione dei Territori in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Il diritto internazionale considera illegali questi insediamenti; una posizione contestata dal governo israeliano, che negli ultimi anni ha sempre più rafforzato la politica espansionista.
I colloqui di pace tra le due parti si sono interrotti nel 2014, scatenando una escalation di violenze nella regione.(DS)
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