L’arte dell’occupazione, secondo il generale israeliano Gadi Shamni
Nota redazionale: i
redattori di Zeitun hanno deciso di proporre ai propri lettori questa
lunga intervista al generale Gadi Shamni pur non condividendone i punti
di vista espressi, sia riguardo ad alcuni personaggi citati
nell’articolo, sia in generale sul ruolo dell’esercito israeliano nei
Territori palestinesi occupati e sul suo modo di agire nei confronti
della popolazione civile palestinese.
Non
solo egli ha partecipato alla sanguinosa operazione militare in Libano
del 2006 (più di 1.000 civili libanesi uccisi), in cui sono stati
commessi crimini di guerra denunciati dalle organizzazioni dei diritti
umani ed usato fosforo bianco in zone abitate. Le costanti violazioni
del diritto internazionale e dei diritti umani da parte dell’esercito
israeliano non corrispondono alla rivendicazione di moralità sostenuta
dall’intervistato. Il tentativo di assolvere l’esercito israeliano da
ogni responsabilità riguardo alle violazioni dei diritti dei
palestinesi, e dei civili di altri Paesi arabi, si scontra con molti
casi che dimostrano il contrario.
Quanto a Ya’alon, che secondo Shamni è una persona di” integrità indiscutibile
” e “onesta”, ha definito “un cancro” i palestinesi, un “virus”
l’associazione israeliana “Peace Now” e John Kerry “messianico ed
ossessivo” per i suoi tentativi di riprendere i colloqui di pace tra
Israele e i palestinesi; ha sostenuto un progetto per la segregazione
tra palestinesi e coloni israeliani sugli autobus, la ripresa della
colonizzazione nonostante gli impegni presi dal suo governo con Obama e
l’uso della bomba atomica contro l’Iran. Per il suo ruolo di generale
nell’esercito è stato più volte accusato di corresponsabilità in crimini
contro l’umanità, anche per la strage di Qana, in cui venne bombardata
una struttura dell’ONU dove avevano trovato rifugio civili libanesi, con
un bilancio di 106 morti e centinaia di feriti.
Tuttavia
riteniamo che sia significativo che persino un personaggio come Shamni
si esprima in termini quanto meno problematici su alcune questioni
cruciali della politica e della società israeliane, sull’influenza di
gruppi di fanatici estremisti nel e sul governo israeliano, in primo
luogo riguardo all’occupazione dei territori palestinesi.
Dopo
35 anni di servizio militare, il generale di divisione (ritirato) Gadi
Shamni, autodefinitosi “generale dell’occupazione”, loda la moralità
dell’esercito e accusa i politici per l’impasse tra israeliani e
palestinesi. Egli dice che ci sono una soluzione e una controparte, ma
prima Israele si deve liberare dalla stretta degli estremisti.
di Carolina Landsmann
Haaretz – 15 ottobre 2016
Lo
scalpore mediatico a proposito dei commenti del generale di divisione
dell’esercito israeliano (ritirato) Gadi Shamni in agosto – “Abbiamo
portato l’occupazione al livello di un’arte. Siamo i campioni mondiali
dell’occupazione”- è durato appena due giorni. Parlando di se stesso,
Shamni ha aggiunto: “Sono stato il generale del Comando Generale [che
comprende la Cisgiordania]. Generale dell’occupazione” (in ebraico, la
parola “aluf” significa sia “campione” che “generale di divisione”). Ci
sono state persone che si sono infuriate, che si sono dissociate dalle
sue considerazioni, che lo hanno criticato – anche se qualcuno si è
detto d’accordo. Ma il polverone si è rapidamente calmato.
Apparentemente l’opinione pubblica si è ormai abituata a queste
esternazioni.
“Qualcosa
delle posizioni del capo dei servizi di sicurezza del Mossad [agenzia
israeliana di spionaggio all’estero. Ndtr.] e dello Shin Bet [servizio
di sicurezza interna israeliano. Ndtr.] li trasforma in gente di
sinistra,” ha detto recentemente il capogruppo della coalizione di
governo, deputato David Bitan (del Likud). Shamni ha sorriso
tranquillamente a questa affermazione, ma Bitan troverà probabilmente
meno da ridere quando sentirà quello che Shamni ha da dire ora.
“La
stragrande maggioranza dei quadri dirigenti del sistema di difesa pensa
che ci stiamo muovendo in una direzione molto problematica rispetto ai
palestinesi,” mi ha detto di recente, mentre ci trovavamo in una piccola
stanza negli uffici dell’ “Israel Aerospace Industries” [“Industrie
Aerospaziali di Israele”, impresa statale in cui lavorano molti
ex-militari. Ndtr.], dove Shamni occupa il ruolo di vice presidente
esecutivo della divisione “Sistemi di terra”. “Per ogni 50 persone che
la pensano come me, ne troverà [solo] uno o due che sposi un’opinione
diversa.”
Come lo spiega?
“Abbiamo
familiarità con la difficile situazione, i limiti nell’uso della forza,
il danno che ciò determina all’IDF [Israeli Defence Forces, Forze di
Difesa Israeliane, nome dell’esercito israeliano. Ndtr.] ed allo Stato. E
sappiamo che la storia che non c’è una soluzione al problema della
sicurezza non è vera.”
Pensa che l’IDF possa garantire la sicurezza di Israele in una situazione con due Stati [Israele e Stato palestinese. Ndtr.]?
“Certamente.
Esiste una soluzione per la sicurezza. Un mare di carte e di studi è
stato scritto su questo. E non ci sono possibilità che Israele riesca a
costruire relazioni corrette con i Paesi della regione, compresi
rapporti commerciali e di cooperazione, prima di risolvere la questione
palestinese:”
“Come
tutti i ‘guardiani’ [in riferimento al documentario di Dror Moreh del
2012 con questo titolo, in cui sei ex capi dello ‘Shin Bet’ hanno
sostenuto la necessità di un accordo con i palestinesi], sta parlando
solo a cose fatte – quando non sta più rischiando la sua carriera o la
sua pensione, quando non sta disubbidendo,” ha scritto l’editorialista
di Haaretz Rogel Alpher a proposito di Shamni. Esponenti di destra hanno
messo in dubbio la serietà delle considerazioni di Shamni esattamente
per le stesse ragioni.
“Che
cosa fa pensare a queste persone di essere così furbe?” ribatte Shamni.
“Si aspettano forse che la gente a cui importa davvero lasci il posto a
quelli a cui non importa niente? Molti ufficiali superiori dell’IDF
capiscono la delicatezza della situazione sul terreno e lavorano per
limitare i danni. Soldati e comandanti che si trovano sul posto dove ci
sono tensioni con i palestinesi sono esposti alla loro dimensione umana –
e questo incide su di loro. Improvvisamente capiscono che la situazione
non è quella che pensavano.”
Questo scontro con la realtà porta ad una moderazione sul piano politico?
“Non
so se questo influenzi il loro voto, e non penso che ciò sia realmente
importante. Penso che la gente dell’esercito che ha a che fare con
checkpoint, arresti, pattugliamenti e protezione delle colonie si trova
di fronte a situazioni umane e vede le cose in modo diverso.”
L’esercito è una forza moderata?
“Senza
dubbio. Anch’io, come capo del comando centrale, ho agito per ridurre
al minimo i danni e limitare le tensioni tra le popolazioni. Per
reprimere i fenomeni estremi sia della parte ebraica che di quella
palestinese. Invece di criticare le persone dovrebbero dire: ‘E’ una
gran cosa che ci siano molti ufficiali superiori nell’IDF che sono
moralmente turbati da questo.’ Se non ci fossero loro, l’attività
dell’IDF sarebbe completamente diversa. E’ il comportamento corretto
dell’IDF e dell’Amministrazione civile che rende possibile una vita
accettabile là. Ci sono cose sgradevoli – lo riconosciamo – ma la
maggioranza dei soldati è molto coscienziosa. Quando un soldato sta
controllando un punto di passaggio dei lavoratori e arriva qualcuno, di
qualunque età, che ha viaggiato tutta la notte per andare al lavoro, la
grande maggioranza dei soldati dell’IDF si comporterà umanamente e
rispettosamente verso di lui. Non è l’ideale, ma potrebbe essere molto peggio.”
E’ questo che intende per elevare l’occupazione al livello di un’arte?
“Noi
eccelliamo in questo – abbiamo creato meccanismi sofisticati che
permettono una vita accettabile in queste circostanze. Quando gli
americani hanno conquistato l’Iraq nel 2003, sono venuti da noi per
imparare come “tenere il controllo” [“lehachzik”, che può anche essere
tradotto in questo contesto con “amministrare”] di territori. C’è
un’altra parola per questa situazione? In inglese, il verbo “occupare”
viene usato. Cos’è l’occupazione? E’ avere il controllo. Noi
controlliamo territori. Se dici kibbush [occupazione] tutti saltano
sulla sedia. Ma questa è la realtà. Da una parte, [il modo in cui
l’esercito ha rapporti con la popolazione palestinese è una fonte di]
orgoglio per l’IDF e per Israele – ma è in questo che noi vogliamo
eccellere? Dall’altra, effettivamente noi eccelliamo in questo. L’IDF è
l’unico raggio di sole in tutto questo contesto. E’ la più importante
forza di moderazione.”
Chi modera l’esercito- l’establishment politico?
“La
realtà. Una grande percentuale di chi critica l’IDF non capisce i veri
punti sensibili; il 99% dei critici non sono mai stati in un campo di
rifugiati. Negli ultimi anni, solo il sistema di difesa ha avuto
successo nel mantenere la cooperazione con i palestinesi. La prassi sul
terreno è stata condotta sulla base della comprensione della
complessità, e con lo scopo di prevenire rivolte. Se tutte le
raccomandazioni fatte dai comandi dell’esercito e della difesa negli
scorsi anni fossero state accolte, le cose andrebbero molto meglio.”
Perché, allora, c’è gente che definisce menzognera [l’ong contro l’occupazione] Breaking the Silence [associazione
di soldati ed ex-soldati israeliani che raccoglie le denunce di
violazioni dei diritti umani commesse dall’IDF nei territori occupati.
Ndtr.], che conosce molto bene la situazione sul terreno, quando esprime critiche?
“Non accetto il loro modo di fare. Credo che sia sbagliato che vadano all’estero a criticare. Le critiche devono rimanere all’interno del Paese.
La distinzione tra “dentro” e “all’estero” nell’era dei media liberi e di internet è un’illusione.
“Le
cose filtrano, ma non completamente. Non è lo stesso che essere in un
campus negli Stati Uniti o in Europa e parlare delle atrocità perpetrate
dai soldati dell’IDF. Ci sono casi gravi che sono le eccezioni, e
vengono presi in considerazione. Io non vedo nessun allarme.”
Anche lei ha rotto il silenzio.
“No. Io non sono mai stato zitto.”
‘Paura di pronunciarsi’
Shamni,
57 anni, è nato a Gerusalemme e vive a Reut, una comunità nei pressi di
Modi’in [comune israeliano che si trova in parte in Israele e in parte
nei territori occupati. Ndtr.]. Lui e sua moglie, Hadas, hanno quattro
figli (di età compresa tra i 16 e i 32 anni) e sono diventati nonni da
poco. Shamni è stato arruolato ne 1977 ed ha passato i successivi 35
anni nell’IDF, soprattutto nei paracadutisti, compreso un periodo come
comandante di brigata. E’ stato anche comandante della brigata “Hebron”
(un breve periodo dopo il massacro di fedeli musulmani ad opera di
Baruch Goldstein in quella città nel 1994), ed ha guidato la divisione
“Gaza” durante la Seconda Intifada. In seguito è stato capo della
direzione operativa dello Stato Maggiore, promosso al rango di generale
di brigata e aggregato alla segreteria militare del primo ministro (con
Ariel Sharon, poi con Ehud Olmert), un incarico che ha mantenuto durante
la seconda guerra in Libano del 2006. Nel
2007 è stato nominato capo del “Comando Centrale” [organo militare che
si incarica del controllo dei territori palestinesi occupati. Ndtr.]. Nel
2008 parlò al corrispondente militare di Haaretz Amos Harel di quello
che allora era un nuovo fenomeno tra i coloni estremisti: “Hanno
adottato il metodo “prezzo da pagare”: se non sono abbastanza forti da
lottare contro le forze di sicurezza in una situazione particolare [come
quando alcuni avamposti vengono evacuati], ci colpiscono da qualche
altra parte. E’ uno sviluppo molto grave.”
Egli
avvertì: “Questa gente sta cospirando contro i palestinesi e contro le
forze di sicurezza…Ci sono elementi marginali che stanno guadagnando
appoggio per le ‘condizioni favorevoli’ di cui godono e il sostegno
fornito da certe parti della leadership, sia dei rabbini che del
governo, in dichiarazioni esplicite o in modo tacito.”
Shamni
non è rimasto in silenzio riguardo al fenomeno ed ha anche emesso
ordini vietando ad alcuni attivisti di destra di entrare in
Cisgiordania. In seguito a ciò lui stesso è stato attaccato, ricevendo
minacce contro la sua persona e la sua famiglia.
Nel
2009 Shamni è stato nominato attaché militare negli Stati Uniti. E’
stato candidato a succedere a Gabi Ashkenazi come capo di Stato
Maggiore, ma è stato battuto da Benny Gantz. Si è ritirato dall’IDF nel
2012. E’ uno degli autori di un testo intitolato “Un sistema di
sicurezza per la soluzione dei due Stati.” Il rapporto è stato
pubblicato lo scorso maggio dal “Centro per una Nuova Sicurezza
Americana”, un gruppo di studio di Washington il cui capo, Michèle
Flournoy, “è candidato a diventare segretario alla Difesa se [Hillary]
Clinton vincerà le elezioni,” dice Shamni. Il rapporto è stato
distribuito in Israele e a livello internazionale. Secondo Shamni quelli
che lo hanno ricevuto hanno manifestato notevole interesse. Ma è ancora
presto, aggiunge, e non ne vuole discutere oltre.
Le
sue considerazioni sull’occupazione sono state fatte durante un
incontro tenuto in agosto dall’ “Istituto per le Politiche e Strategie”
del “Centro Interdisciplinare” di Herzliya e dai “Comandanti per la
Sicurezza di Israele”, che, secondo il loro sito, è “un movimento non di
parte di ex ufficiali superiori della sicurezza” i quali credono che
“l’attuale stallo diplomatico sia dannoso per la sicurezza di Israele.”
Shamni
stava rispondendo a un commento del generale di divisione (ritirato)
Yaakov Amidror [del partito di estrema destra “La Casa Ebraica”,
attualmente nella coalizione di governo. Ndtr.], ex- capo del Consiglio
Nazionale di Sicurezza di Israele, secondo cui i palestinesi non
avrebbero dovuto avere problemi con l’occupazione.
Quindi c’è un partner? Il presidente palestinese Mahmoud Abbas è un partner?
“Certo
che lo è. La maggior parte della gente che si oppone all’idea dei due
Stati è decisa ad ereditare la terra dei nostri antenati e non ha nessun
interesse in accordi per la sicurezza.”
Cosa pensa del primo ministro Benjamin Netanyahu?
“Penso che capisca che Israele ha seri problemi. Penso che vorrebbe tirarne fuori Israele, ma non sa come.”
“Non è in grado di farlo perché Israele è governato da altre persone.”
Da chi?
“Da piccoli gruppi che sono permeati di fede.”
I coloni?
“Non
tutti [sono coloni]. Penso che ci siano pochi gruppi dominanti nella
politica israeliana; non sono necessariamente la maggioranza, ma loro
decidono le cose da fare. Se uno dovesse esaminare le reali opinioni
della maggior parte dei parlamentari di Israele – anche escludendo i
deputati arabi – emergerebbe che la maggioranza pensa che dobbiamo
trovare un accordo con i palestinesi il prima possibile. Ma non sono in
grado di esprimere pubblicamente questa posizione, perché nel momento in
cui lo facessero perderebbero i loro sostenitori.”
Ma chi sono questi sostenitori?
“Non
voglio generalizzare. Non sono tutti i coloni. Ma ci sono piccoli
gruppi, ideologizzati, estremisti, attivi, che sono organizzati e
finanziati.”
Finanziati da chi?
“Da
ebrei, soprattutto dall’estero, che sono grandi finanziatori dei
politici. Non voglio fare nomi, neppure dei finanziatori. Ci sono gruppi
estremisti ideologici che stanno dettando l’agenda dello Stato e sono
in grado di agire come un deterrente nell’arena politica. C’è gente in
questo Paese che ha paura di esprimersi. Brave persone.”
La politica israeliana è presa in ostaggio?
“Guardi
cos’è successo a [Moshe] Ya’alon. E’ un caso esemplare. Qualcuno la cui
integrità e il cui contributo allo Stato sono indiscutibili. Non è
stato in grado di sopravvivere [come ministro della Difesa]. Perché?
Perché è rimasto fedele alla sua verità. E, tra l’altro, gli ci è voluto
del tempo per capire il problema: se avesse affrontato fin dall’inizio i
processi di radicalizzazione come ha fatto durante la fine del suo
mandato, soprattutto in Cisgiordania, penso che le cose sarebbero
diverse adesso. Ma se n’è venuto con una sorta di tentativo di
tranquillizzare la gente, di non pestare i piedi a nessuno. Eppure lo
devi fare. E nel momento in cui ha cominciato a fare i conti con
questioni difficili, si è ritrovato cacciato fuori.”
Si
sta riferendo ai commenti di Ya’alon sul Elor Azaria, il soldato
dell’IDF processato per omicidio colposo dopo aver sparato a un
palestinese ferito a Hebron il marzo scorso?
“Azaria
è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso, l’ultimo pretesto.
Il processo è iniziato molto prima, quando Ya’alon, come ministro della
Difesa, ha deciso che avrebbe insistito perché la legalità e l’ordine
venissero mantenuti in Cisgiordania. Ci sono stati incidenti in cui ha
deciso di distruggere una struttura di un tipo o di un altro, e tutti
hanno detto la loro sul suo caso. Ha solo fatto quello che si doveva
legalmente, moralmente ed eticamente. E’ stato allora che è iniziato il
peggioramento. E’ stato allora che è diventato un bersaglio.”
Intende che è stato “silurato” politicamente?
“Certo.”
Anche lei ha paura di esprimersi?
“No.
Al contrario. Io mi esprimo. E io chiedo a tutti coloro che comprendono
questo problema [nel campo politico e della difesa] che si alzino e
parlino. Per varie ragioni, la gente non lo sta facendo. Hanno paura di
perdere il lavoro, le proprie comodità. O conducono una vita tranquilla,
perciò, perché andarsi a prendere questo grattacapo?”
Anche
il suo amico, deputato Ofer Shelah [di Yesh Atid], pensa che la
soluzione dei due Stati non è un problema per la sicurezza?
“Sì, ma lei ha visto cos’è successo quando Yesh Atid [partito
di centro sinistra. Ndtr.] è entrato nella coalizione di governo [tra
il 2013 e il 2014]. Si sono dimenticati della questione palestinese.”
Società estremista, esercito moderato
In
un’intervista alla televisione “Canale 2” lei ha fatto riferimento alle
“manipolazioni legali e operative” che sono state compiute per scopi di
colonizzazione. Cosa voleva dire?
“Il
potere sovrano in Giudea e Samaria [denominazioni israeliane della
Cisgiordania. Ndtr.] è l’IDF, e governa il generale del ‘Comando
Generale’ – lui prende le decisioni. Se c’è il desiderio di espropriare
un territorio, può decidere che c’è una necessità di carattere militare
per quella determinata area. E se c’è una ragione di sicurezza, non
gliela si può rifiutare. Nessuno gli dirà di no. E anche se la questione
arriva alla Corte di Giustizia, questa confermerà che è una zona di
interesse militare. Ci sono state situazioni nel passato in cui aree
sono state confiscate per fini militari, ma non è sempre stato del tutto
chiaro. Molte volte la terra è stata espropriata per la colonizzazione
con delle scorciatoie. Se vogliamo costruire colonie, allora decidiamo
che vogliamo costruire colonie. Perché utilizzare ragioni di sicurezza?
“Quando
ho preso la direzione del Comando Centrale, eravamo sull’orlo di una
crisi di fiducia con l’Alta Corte – perché la Corte aveva la sensazione
che le ragioni di sicurezza fossero addotte in luoghi in cui non
corrispondevano esattamente alla situazione. Ho messo fine a tutto
questo. Non ci sono più situazioni in cui un motivo legato alla
sicurezza è messo in campo in luoghi in cui non ci sono reali questioni
di sicurezza. Basta scorciatoie. Ci sono stati periodi in cui sono state
esercitate forti pressioni e situazioni in cui sono state prese
scorciatoie. Penso che siano stati fatti cambiamenti sostanziali negli
ultimi anni. Uno dei problemi di Ya’alon è stato che…è solo una persona
onesta e non era disponibile a scorciatoie e a tirare fuori argomenti
legati alla sicurezza dove non ne esisteva nessuno.”
Pressioni da dentro l’esercito o da fuori?
“Da fuori”
Da parte di chi, da fuori?
“Ci
sono molti lobbisti e gente che esercita pressioni sui politici nel
governo e nella Knesset [il parlamento israeliano. Ndtr.]. Beh, non
capisce cosa significa esercitare forti pressioni?
No.
“No?”
No -cioè, non capisco che tipo di pressioni. Cosa potrebbe succedere?
“Pressioni
sono esercitate ad ogni livello politico, e a volte hanno anche
successo. L’esercito deve essere molto risoluto nelle sue opinioni,
confidare in se stesso e non scendere a compromessi. Penso che sia
quello che è successo anche negli ultimi anni. Non ci sono più
scorciatoie in quella zona, e questa è una delle ragioni per l’aumento
delle tensioni tra l’esercito ed i coloni. Sono io che ho promosso
questa linea di condotta. Non penso che il GOC [Comando Generale. Ndtr.]
o lo Stato Maggiore oggi prenderebbero delle scorciatoie. Penso che
questo periodo sia ormai passato.”
E quando il vice capo di Stato Maggiore, Yair Golan, parla di fascismo strisciante, e Ehud Barak [dirigente del partito Laburista ed ex-primo ministro israeliano. Ndtr.] fa riferimento al nascente fascismo?
“Questa
è un’altra cosa. Deve chiedere a loro a cosa si riferissero, ma ritengo
che parlassero di fenomeni che riguardano le tensioni con i coloni
estremisti, la storia con i gruppi del “prezzo da pagare” [gruppi di
coloni estremisti che aggrediscono i palestinesi. Ndtr.], tutti gli
avvenimenti dell’ultimo periodo – il fatto di Duma [l’attacco
incendiario contro una casa palestinese del luglio 2015 in cui sono
stati uccisi tre membri della famiglia Dawabsheh] e molte cose minori
che avvengono quotidianamente.”
Non pensa che l’incremento di questi fatti contraddica la sua sensazione che l’IDF stia conservando la propria moralità?
“Ma
non è l’IDF che sta facendo queste cose. Yair Golan non si riferiva
all’IDF quando ha parlato di fascismo strisciante. Si stava riferendo
alla società israeliana.”
Ma lei non può fare una distinzione tra l’IDF e la società israeliana.
“Si
può. Perché l’IDF agisce in base a ordini. E c’è la disciplina. Quando
questi fenomeni sono scoperti, sono immediatamente repressi. Non
paragoni la “gioventù della cima delle colline” [giovani coloni
estremisti] all’IDF. Yair stava parlando della “gioventù della cima
delle colline”, di tutti gli estremisti scatenati.”
La diffusione di fenomeni come l’incidente di Azaria nell’esercito non la preoccupa?
“No.
Questi fenomeni non sono concentrati nell’esercito; succedono nella
società israeliana. E’ vero che in ultima istanza l’IDF è uno specchio
della società, ma l’esercito non è il centro.”
In base agli standard de “l’occupazione a livello di un’arte,” Azaria è un contrattempo?
“Cosa intende per ‘contrattempo’?”
Non è un esempio di eccellenza nell’occupazione, suppongo.
“Ritengo
che Azaria sia una vittima della situazione di cui sto parlando. Non
voglio entrare nei dettagli mentre è in corso un processo. Non so
esattamente cosa sia successo lì, non ho visto gli atti dell’indagine.”
Ma ha visto le riprese video?
“Le
ho viste, ma abbiamo imparato che i video non sempre riflettono quello
che è successo. E’ possibile che abbia fatto un terribile errore, e ciò
verrà chiarito nel processo. Ma deve capire che questa situazione
provoca questi fatti. A volte i soldati non riescono a resistere alla
pressione. Un soldato entra nella mischia, vede i suoi compagni feriti,
ha sentito un sacco di incitamenti tutto attorno. Sta vivendo in mezzo
ad una miscolanza di soldati, ufficiali, coloni ed altri, alcuni dei
quali molto estremisti, che a volte può creare confusione in soldati che
non sono abbastanza forti. Agli occhi di chi dovrebbe apparire bravo? A
quelli dei suoi superiori? Della gente attorno che li sta esaltando ed
incitando? E’ una situazione molto complicata per i soldati. Lui [Azaria] è un soldato giovane.
Non so quanta esperienza avesse in situazioni simili. Ma questa è un’eccezione. Non è la norma nel comportamento dell’IDF.”
L’
“Intifada del lupo solitario” ha delineato qualcosa che potrebbe essere
etichettata come “risposte individuali” da parte sia della società
israeliana che dell’IDF.
“E’
possibile. Una certa atmosfera è stata creata attorno a questa cosa,
ogni sorta di affermazioni è stata fatta e ogni genere di politico ha
affermato che ogni scontro con un terrorista deve finire con l’uccisione
del terrorista. Ciò può aver provocato il fatto che persone si siano
lasciate trascinare e siano andate in confusione. Non è un problema con
dimensioni che ci possano disturbare. Ma dobbiamo sentirci disturbati
dall’erosione graduale. Israele prende l’iniziativa solo in seguito a
gravi traumi.”
L’ “Intifada del lupo solitario” potrebbe arrivare a determinare questo tipo di trauma?
“Siamo
in una situazione di deterioramento costante. Non sappiamo dove ciò ci
porterà. Non solo non stiamo prendendo iniziative, stiamo gestendo la
situazione al contrario. Ad Hamas viene dato quasi tutto quello che
vuole. Sta consolidando il suo potere ed il suo governo; controlla i
punti di passaggio, raccoglie le tasse, paga i salari e sta persino
trattenendo, indisturbato, i corpi di due soldati dell’IDF. Allo stesso
tempo in Cisgiordania ci sono organizzazioni che hanno dichiarato
apertamente di voler vivere in pace con Israele – e noi le stiamo
indebolendo.”
Meno colonie, meno soldati
Shamni
esprime preoccupazione rispetto alla mancanza di rapporti tra
israeliani e palestinesi. “Sono cresciuto a Gerusalemme,” dice. “Li ho
conosciuti là, gli arabi erano i nostri vicini. Non avevo amici arabi,
ma li vedevo. Sono stato in quartieri arabi, ho visitato la Città
Vecchia, non li ho visti solo in televisione e sui giornali. Oggi non
c’è interazione. Semplicemente non ci sono prospettive di riuscire a
vivere insieme nello stesso Paese. I palestinesi non accetteranno mai
che questa situazione continui per sempre. Per cui dobbiamo cominciare a
prendere le misure necessarie.”
Quali, per esempio?
“Se
tu dici che il tuo obiettivo strategico finale è di arrivare ad una
separazione, allora ci sono cose che fai ed altre che non fai. E’ più o
meno chiaro come saranno i tuoi confini. Lo Stato di Israele lo ha
riconosciuto; il primo ministro anche. La soluzione sono i due Stati.
Sulla base, più o meno, dei confini del 1967 con uno scambio di
territori. Quanto territorio Israele può concedere senza danneggiare il
fronte interno? Due per cento, 2,5% – questo è il massimo. Sono più o
meno i blocchi di colonie e tutti gli insediamenti adiacenti alla
barriera [di separazione]. Se oggi sai che questo è il tuo scopo e la
tua direzione strategica, tu inizi fin da ora a fare le cose giuste.
Costruisci nei blocchi di colonie e non fuori da questi. Non crei una
situazione in cui la realtà demografica renderà estremamente difficile
mettere in atto questa mossa in futuro.”
Considerazioni
relative alla sicurezza costituiscono uno degli argomenti per
giustificare gli insediamenti, ma ora l’esercito è lasciato lì per
proteggerli. Cosa viene prima?
“L’esercito
è lasciato lì perché Israele non ha intenzione di lasciare quel
territorio. Nel frattempo sempre più progetti di insediamenti sono
avviati. Mettiamola così: se ci fossero meno coloni ebrei in
[Cisgiordania], ci sarebbero meno ragioni che l’IDF fosse schierato in
centri abitati. Prenda ad esempio il nord della Samaria [della
Cisgiordania. Ndtr.]. Lì non ci sono insediamenti, e dove gli
insediamenti sono stati evacuati c’è meno esercito. Perché se hai meno
israeliani, meno insediamenti, è perfettamente chiaro che hai bisogno di
meno forze. Ma non è questo il punto. La questione è se è possibile
mantenere una situazione in cui l’IDF non c’è sul terreno quando non ci
sono insediamenti, e se è possibile difendere Israele con i nuovi
confini. Io dico di sì.
“La
questione se il progetto di insediamento è giustificato dal punto di
vista della sicurezza non è più rilevante. In generale, gli insediamenti
sono stati costruiti nei pressi delle strade principali. L’IDF non ne
ha più bisogno. L’esercito può difendere il Paese e le sue frontiere
senza fare ricorso agli insediamenti. Al contrario: dove ci sono rischi
oggi, evacueremo gli insediamenti nelle retrovie. Si parla di evacuare
le comunità attorno alla Striscia di Gaza nel caso di un altro scontro
con Hamas, ecc. Abbiamo evacuato comunità nel nord durante la seconda
guerra del Libano. E c’erano progetti di evacuazione dalle Alture del
Golan e da ogni sorta di posti. Non si vogliono civili sulla linea del
fronte. In una situazione di guerra contro forze militari, i civili sono
un peso.”
Per cui lei pensa che dovremmo aspirare a spostarci su frontiere che saranno tracciate da Israele?
“No. Non credo a mosse unilaterali.”
Lei si rammarica del disimpegno da Gaza [deciso unilateralmente da Sharon. Ndtr.]?
“C’è
una grande differenza tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania. Io ero
il comandante della divisione “Gaza” al culmine della lotta contro
Hamas. Non è una cosa di cui sento la mancanza. La nostra situazione
sarebbe molto peggiore se fossimo rimasti nella Striscia di Gaza perché,
dagli accordi di Oslo, non c’era più la presenza dell’IDF nei centri
abitati. Avevamo insediamenti a Gush Katif, a Netzarim, nel nord della
Striscia di Gaza. L’IDF era schierato lì per proteggere i residenti –
che, tra l’altro, erano gente stupenda. C’è un’enorme differenza tra le
caratteristiche degli insediamenti a Gush Katif e quello che sta
succedendo in alcune parti della Giudea e Samaria. Intendo come modo di
comportarsi, carattere, estremismo. Ma, come ho detto, non eravamo
schierati nei centri abitati.
“Arrestavamo
terroristi, demolivamo infrastrutture, entravamo ed uscivamo. Non
controllavamo realmente Gaza, Khan Yunis, Rafah; non eravamo in tutti i
campi di rifugiati. Hamas ha migliorato le sue capacità lì, e più
passava il tempo, più difficile era diventato difendere gli
insediamenti. Ci sono stati episodi molto gravi prima del disimpegno, e
mi lasci dire che non aveva senso continuare a rimanervi. Non avrebbe neppure impedito ad Hamas di rafforzarsi.
“La
gente dice che il nostro ritiro da Gaza ha permesso ad Hamas di
diventare forte, ma è vero solo a metà. Perché persino quando eravamo
lì, Hamas si è rafforzato. Se fossimo rimasti lì, il processo sarebbe
stato un poco più lento. I tunnel esistevano anche quando eravamo lì,
armamenti entravano di nascosto e c’era un’industria bellica locale. Era
molto difficile per noi arrivare dappertutto. Al tempo del disimpegno,
c’era un gran numero di razzi e Qassam [razzi artigianali prodotti a
Gaza. Ndtr.]. E’ vero che non avevano un raggio d’azione di 70
kilometri, come ora, ma erano sparati contro Sderot e il sud di
Ashkelon.”
Forse perché l’IDF non controllava tutta la Striscia di Gaza.
“Beh,
vediamo cosa significa controllare tutta Gaza. Come dopo l’operazione
“Scudo Difensivo” [nel 2002], quando abbiamo controllato la Giudea e la
Samaria e siamo entrati dappertutto [cioé in tutta la zona A, che in
base agli accordi di Oslo era sotto totale controllo dell’ANP. Ndtr.].
Ciò avrebbe significato schierare grandi forze, che avrebbero
danneggiato gravemente l’economia di Israele. In fin dei conti ci sono
dei limiti all’ordine operativo di battaglia. Chiunque dica che dovremmo
rioccupare la Striscia di Gaza non capisce cosa ciò significherebbe.”
Israele non ha la capacità di distruggere Hamas nella Striscia?
“Che
vuol dire ‘distruggere Hamas’? Israele può conquistare Gaza. Non
sarebbe facile, potrebbero volerci pochi giorni o settimane, ma alla
fine la Striscia sarebbe sotto il controllo dell’IDF. Ogni strada e ogni
vicolo. Quale sarebbe la fase successiva? Sarebbe che avremmo due
milioni di persone di cui dovremmo soddisfare le necessità e la cui vita
quotidiana dovremmo gestire.
“La
sicurezza di Israele riposa principalmente sulla deterrenza. E per la
deterrenza c’è bisogno di un punto di riferimento. Oggi siamo fuori,
indebolendo Hamas, garantendo che faccia il lavoro all’interno
[controllando altri gruppi di miliziani] ed esercitando pressioni
sull’organizzazione. E’ lo stesso in Libano. E dovrebbe essere lo stesso
anche in Cisgiordania. E’ impossibile distruggere Hamas. Non si tratta
solo di persone e dirigenti, o di Ismail Haniyeh [uno dei principali
leader dell’organizzazione]. Hamas è consapevolezza. Non puoi sradicare
la consapevolezza. La puoi cambiare. Come? Convincendo la gente. Anche
Fatah aveva altre posizioni, ma è venuto il giorno in cui sono arrivati
alla conclusione che dovevano parlare con noi, che la soluzione non
sarebbe arrivata con la forza.”
Quando avverrà con Hamas?
“Perché
succeda, Hamas dovrà sentire di correre un pericolo per la sua stessa
esistenza. E’ per questo che l’organizzazione deve essere tenuta sotto
pressione. Attualmente abbiamo un’eccezionale opportunità perché gli
egiziani odiano Hamas. Guardi cos’è successo con l’operazione “Piombo
Fuso” [2008-2009]. Fortunatamente gli egiziani sono stati duri – perché
ci siamo affrettati a fare ogni sorta di concessione. Quando loro [gli
egiziani] hanno deciso di eliminare i tunnel, lo hanno semplicemente
fatto. Spero che [il presidente egiziano Abdel-Fattah] al-Sissi rimanga
al potere per molti anni ancora.
“In
più, noi non siamo lì [a Gaza], per cui nessuno può sostenere che siamo
occupanti. C’è solo la questione del blocco, che credo si possa
spiegare perché è giustificabile nei termini di considerazioni di
carattere militare. E il fatto è che viene accettato a livello
internazionale, nonostante le critiche. Naturalmente è necessario
garantire che la popolazione non arrivi a condizioni di carestia e di
epidemie. Questo è un lato della formula; l’altro è rendere più facili
le cose in Cisgiordania e rafforzare Fatah e l’Autorità Nazionale
Palestinese.”
Come possiamo rafforzare Fatah in Cisiogrdania?
“Con
una politica molto più estesa per rendere più agevoli gli spostamenti e
la libertà economica. Il piano [del bastone e della carota] del
[ministro della Difesa Avigdor] Lieberman è fantastico: togliere le
restrizioni, permettere la costituzione di zone industriali e agricole
nell’area C [che è sotto totale controllo di Israele per quanto riguarda
la sicurezza], facilitare le esportazioni. Dare un impulso all’economia
palestinese. Ciò inciderà sull’appoggio a Fatah ed alle forze moderate.
Il funzionamento delle strutture dell’ANP, sia militari che civili,
deve essere rafforzato. Devono avere la possibilità di governare, di
aiutare il loro popolo per guadagnarsi l’appoggio politico. Dove ciò
dipende dall’IDF, si sta facendo. Ma l’incarico affidato all’esercito è
limitato. In ultima analisi, quando vuoi dare ai palestinesi più
territorio per sviluppare la loro economia nell’area C, ti scontri con
una questione politica. Il ministro della Difesa dice che lo sta per
fare? Aspettiamo e vediamo quando succederà.”
Lei
si è costruito una vita, una carriera, una sicurezza economica e un
futuro per i suoi figli grazie all’esercito e all’occupazione. Forse
questo comporta che lei non veda situazioni allarmanti?
“Ho
passato la maggior parte della mia vita in Libano e in altre zone. Ma
sì, sono stato anche in Giudea e Samaria e a Gaza. Ma sarei rimasto
nell’esercito anche senza occupazione. Sto parlando per un senso di
preoccupazione non solo per il Paese ma anche per l’IDF, perché ho paura
dell’erosione morale e del fatto che l’IDF non si concentri sui suoi
compiti principali. Invece di combattere, sta controllando una
popolazione. Non attacco l’IDF né chiedo di rifiutarsi di fare il
servizio militare, perché l’IDF è il raggio di luce in questa storia. Ho
perso molti amici lungo il cammino. Prima che cadessero, quando si
resero conto della situazione realmente pericolosa in cui si trovavano,
mi sembrava che stessero sorridendo: Nitzan Barak, il capitano Uri Maoz,
il capitano Tzion Mizrahi, il sergente Elad Rotholtz e molti altri.
Tutta quella gente stupenda era sensibile e umana. Le loro famiglie sono
come parenti per me e per la mia famiglia. Se me lo chiede, quello che
mi rimane del servizio nell’esercito è l’impegno a fare ogni cosa in
modo da pagare un prezzo simile solo se non abbiamo scelta.
“Diciamo
sempre che la differenza tra noi e i nostri nemici è che noi
santifichiamo la vita e loro santificano la morte. Chiedo se non c’è un
crescente numero di persone tra noi che è pronto a sacrificare i propri
figli sull’altare delle proprie convinzioni e che è pertanto
responsabile di farci diventare una società che santifica la morte.”
Se le persone non volessero fare il servizio militare, non ci sarebbe nessuno che parteciperebbe a questo progetto.
“Penso
che in quel caso lo Stato non sarebbe in grado di esistere. Viviamo in
un Paese democratico sotto un governo legittimo. Nel corso della mia
carriera militare non ho visto azioni che potrebbero giustificare il
rifiuto di fare il servizio militare. Penso che, in fin dei conti,
stiamo agendo in modo etico.”
Pensa che sia moralmente accettabile occupare un altro popolo?
“Solo
quando ci sono ragioni di sicurezza. La domanda è dove finiscono le
ragioni di sicurezza e se le cose possono essere fatte in modo diverso.
Lei sa qual è la mia opinione. Penso che dobbiamo arrivare ad una
situazione di separazione perché non ci sono ragioni di sicurezza. Se ci
fossero, chi ne parlerebbe? La democrazia ha strumenti che debbono
essere utilizzati. Mi pare chiaro che c’è una maggioranza che pensa che
ci sia bisogno di un cambiamento ma che è apatica. Purtroppo. Uno dei
miei obiettivi è di scuoterla. Non solo io – molti dei miei amici stanno
cercando di risvegliare la maggioranza apatica.”
Sta pensando di entrare in politica?
“No”
Non ha paura di essere etichettato con la sindrome delle “lacrime di coccodrillo”?
“Assolutamente
no. Ci ho pensato molto nel corso degli anni. Non sento rimorsi di
coscienza per tutte le cose che ho fatto – e c’erano cose scabrose, con
penose conseguenze per gli avversari. Tutto quello che ho fatto, l’ho
fatto nel modo più trasparente possibile, se è possibile chiamarlo così.
Ciò significa che non ho fatto quello che non era necessario. Non sto
solo parlando di me. Tutto sommato, non abbiamo causato danni fini a se
stessi – e questa è proprio la differenza, vede? Quando provochi danni
per il gusto di farlo.”
Forse se gli israeliani non avessero eccelso nell’occupazione, non sarebbe durata 50 anni.
“Ma
c’è una divisione del lavoro. Non è compito dell’esercito decidere se
l’occupazione debba continuare. La strategia deve essere lasciata a
livello politico. Nel momento in cui la tua missione è legale, allora è
bene e positivo che noi abbiamo il nostro esercito, che fa le cose come
le fa.”
Ma Dio non fa le leggi, giusto?
“Giusto. Ma neanche gli ufficiali dell’IDF.”
“Per il futuro di Israele”
Rispondendo
a questo articolo, il deputato Ofer Shelah ha detto: “Gadi Shamni è
stato un amico per circa 40 anni, ed è una persona a cui sono
affezionato e che rispetto. Ho parlato molto con lui, sia di argomenti
personali che politici, ed ho grande stima dei suoi sforzi di stilare un
documento per accordi relativi alla sicurezza che saranno opportuni per
arrivare ad un patto con i palestinesi, insieme a seri partner
americani che ho incontrato e con cui ho parlato. I problemi di
sicurezza in questo tipo di accordo sono tutt’altro che semplici, ma
possono essere risolti con una leadership coraggiosa e determinata.
“[Il
partito] Yesh Atid crede che Israele si debba separare dai palestinesi,
per il bene del futuro di Israele come Stato ebraico e democratico. Ciò
deve avvenire nel quadro di un processo regionale in cui il posto di
Israele nel Medio Oriente sia definito e serva come contesto adeguato
per la ripresa dei negoziati, che sono arrivati ad un punto morto. I
miei amici ed io diciamo questo in ogni occasione e stiamo lavorando per
metterlo in pratica in ogni ambito politico.”
(traduzione di Amedeo Rossi)
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