Il Beitar Gerusalemme e il nazionalismo israeliano


Lo scorso luglio, dopo un’operazione durata alcuni mesi, la polizia israeliana ha arrestato più di cinquanta persone ritenute collegate a “La Familia”, un gruppo di ultras che seguono la squadra di calcio del Beitar Gerusalemme, una delle più conosciute del paese e la più importante della capitale israeliana. “La Familia” è il gruppo ultras più violento e problematico d’Israele nonché una delle più xenofobe e razziste tifoserie d’Europa (la federazione israeliana fa parte della UEFA, quindi nel calcio Israele conta come Europa). Le persone arrestate sono state accusate di aver partecipato negli ultimi mesi a diversi episodi di violenza; nelle case di alcuni di loro la polizia ha trovato una quantità di armi che Benny Ablaya, capo dell’operazione, ha definito “sorprendente”. Sono state trovate soprattutto granate con gas lacrimogeno ed esplosivi rudimentali. Fra gli arrestati ci sono nove membri dell’esercito israeliano e alcuni minorenni. L’accusa più grave è tentato omicidio, rivolta a sei persone che nell’ottobre del 2015 ferirono gravemente con un’accetta un tifoso dell’Hapoel Tel Aviv.
La squadra seguita dalle persone arrestate a luglio, il Beitar Gerusalemme, nacque in circostanze particolari e tuttora è un club unico nel suo genere. Venne fondato nel 1936 come squadra di calcio del movimento giovanile del Partito revisionista sionista, il Beitar, creato nei primi decenni del Novecento. Il revisionismo è una particolare corrente del sionismo secondo la quale – semplificando – l’obiettivo a lungo termine di Israele dovrebbe essere ottenere la sovranità su tutta Eretz Yisrael, cioè la terra che secondo gli ebrei Dio ha donato loro migliaia di anni fa. Il partito conservatore che in questo momento governa Israele, il Likud, è ispirato dalle teorie del Partito revisionista sionista, così come lo è Israel Beitenu, il partito della destra nazionalista guidato da Avigdor Lieberman, ex ministro degli Esteri ed ex vice primo ministro d’Israele del governo di Benjamin Netanyahu, attuale primo ministro e capo del Likud.

Tra il 1920 e il 1948, durante il Mandato britannico della Palestina, molti di quelli che qualche anno dopo sarebbero diventati dirigenti e giocatori della squadra del Beitar furono membri dei gruppi militari e paramilitari che causarono la morte di centinaia di persone, sia fra i gruppi terroristici arabi sia fra i militari britannici in Palestina. Per questo motivo, prima dell’indipendenza d’Israele, il Beitar venne escluso da qualsiasi tipo di competizione sportiva per circa cinque anni. Quando gli fu permesso nuovamente di ritornare in attività, il Beitar fece del suo passato e della squalifica un elemento fondamentale della propria identità, influenzando di conseguenza la propria tifoseria e i futuri settant’anni di storia del club. Oggi il club è inscindibile dalla sua tifoseria e dai legami che ha con il centrodestra israeliano.
Il Beitar, soprannominato anche La Menorah per via del logo del club, iniziò a ottenere risultati rilevanti a partire dagli anni Settanta, con le prime vittorie in campionato e nella coppa nazionale, e già all’epoca i suoi tifosi erano ritenuti violenti e problematici. Verso la fine del decennio la tifoseria del Beitar diventò più popolare e attirò nuovi tifosi: nel 1977 infatti, il Likud, fondato nel 1973, divenne il partito di governo per la prima volta nella sua storia; fino a oggi è stato il principale partito di centrodestra israeliano, nonché quello che ha governato più a lungo. Molti dei membri del Likud, per via dei legami con il movimento Beitar, erano tifosi della squadra: e questo comportò un rapido aumento della popolarità del club, che coincise anche con il periodo più vincente della sua storia.
Agli inizi degli anni Duemila il fenomeno del tifo organizzato iniziò a prendere piede anche in Israele, partendo dalle squadre più importanti e seguite del paese. Come conseguenza, durante le partite fra il Beitar e le squadre arabe d’Israele si intensificarono le violenze. Nel 2005 i tifosi del Beitar fondarono La Familia, che oggi è uno dei rari casi in cui un gruppo di ultras è ufficialmente riconosciuto dal proprio club, che lo considera come il proprio fan club e lo finanzia. Nonostante sia noto per le condotte violente e xenofobe dei propri membri, molti esponenti del Likud e di Israel Beitenu si sono fatti spesso riprendere nel settore occupato da La Familia al Teddy Stadium di Gerusalemme, o negli eventi organizzati direttamente dal gruppo. Il caso che più ha fatto discutere è quello di Miri Regev, attuale ministro dello Cultura e dello Sport e membro del Likud, che spesso è stata vista tra gli ultras del Beitar, allo stadio e in altre occasioni. Dopo gli arresti di luglio, Regev si è dissociata dal gruppo, sostenendo però che i tifosi non sono il vero problema del club. Anche il primo ministro Benjamin Netanyahu è un tifoso del Beitar, così come Avigdor Lieberman, che non è raro vedere sugli spalti del Teddy Stadium durante le partite della squadra.
Lo stretto legame tra il club e la politica è la base su cui si fondano le accuse rivolte al governo dalle altre società e dai partiti, secondo i quali si tenderebbe sempre a sminuire gli episodi riguardanti La Familia e a tollerare il comportamento razzista dei suoi membri.
Nello stesso anno in cui fu fondata La Familia, il Beitar venne acquistato dall’oligarca russo di origini israeliane Arcadi Gaydamak, sulle cui attività già allora in molti sospettavano esserci perlomeno qualcosa di sospetto. Gaydamak investì fin da subito diversi milioni di euro nella squadra, che per i successivi anni fu composta dai migliori giocatori israeliani in circolazione e vinse il campionato per due anni consecutivi fra il 2006 e il 2008, non riuscendo però a qualificarsi per le coppe europee. Gaydamak iniziò a finanziare regolarmente La Familia e concesse al gruppo diversi trattamenti di favore all’interno dello stadio. Nel 2008 Gaydamak si candidò alle elezioni per il sindaco di Gerusalemme, e lì si iniziò a capire quali fossero le sue reali intenzioni. Gaydamak non comprò solo il Beitar, ma divenne sponsor della squadra basket di Gerusalemme, l’Hapoel, per tentare di ottenere consensi fra due società sportive molto influenti a Gerusalemme, ma senza successo. Alle elezioni ottenne poco più del 3 per cento dei voti e dopo la sconfitta elettorale diminuì drasticamente gli investimenti nelle due società, soprattutto nel Beitar.
L’affare che nel 2013 portò due giocatori ceceni di religione musulmana al Beitar, inizialmente considerato come un tentativo da parte della società di allontanarsi dall’immagine di squadra xenofoba, fu dovuto in realtà agli interessi imprenditoriali di Gaydamak in Cecenia. In quel periodo infatti era in stretto contatto con l’imprenditore russo di origini azere Telman Izmailov, che possedeva delle attività commerciali nella regione. Nel gennaio del 2013 Gaydamak portò la squadra a Groznyj per disputare una partita amichevole contro il Terek, squadra locale che gioca tuttora nella prima divisione russa. In Cecenia la squadra venne accolta anche da Ramzan Kadyrov, presidente della Cecenia, membro del partito di Putin, Russia Unita, e proprietario del Terek. Il Beitar tornò da Groznyj con due nuovi calciatori, Kadiyev e Sadayev, che molto probabilmente non immaginavano cosa sarebbe successo durante la loro permanenza a Gerusalemme. L’acquisto dei due giocatori fu una mossa di Gaydamak per giustificare la strana relazione tra le due società.
Alla conferenza stampa di presentazione dei due giocatori partecipò anche il sindaco di Gerusalemme, oltre a Gaydamak e al direttore generale del club, ma appena arrivati al centro sportivo per l’allenamento, Kadiyev e Sadayev iniziarono a essere insultati da un centinaio di tifosi del Beitar, che non tolleravano la presenza di musulmani nella loro squadra. A marzo, nel corso della partita in casa contro il Maccabi Netanya, Sadayev segnò un gol. Parte dello stadio esultò normalmente, ma gli ultras abbandonarono lo stadio in segno di protesta, insultando chi stava festeggiando. Kadiyev e Sadayev rimasero in Israele quattro mesi, poi fecero ritorno in Cecenia.
Tutta la dirigenza, Gaydamak compreso, lasciò il Beitar al termine di quella stagione. Lo scorso novembre Gaydamak si è consegnato alle autorità francesi per scontare una condanna di tre anni e mezzo che nel 2009 gli fu comminata per il traffico illegale d’armi durante la guerra civile in Angola, caso noto anche come “Angolagate”.
Dai primi anni Duemila, La Familia, aiutata dai legami con il centrodestra israeliano prima e dagli interessi di Gaydamak poi, è diventata sempre più influente nella gestione del club. Fino agli anni Novanta i giocatori musulmani venivano acquistati dal Beitar, senza creare molti problemi tra la tifoseria. Da quindici anni però la situazione è radicalmente cambiata: la presenza degli ultras ha allontanato dallo stadio molte persone e ha attirato sempre più estremisti, facendo diventare il club un simbolo del nazionalismo israeliano.

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