Giorgio Berruto : Omofobia giudaica in rete
“Il peggior peccato per l’ebraismo dopo l’idolatria”?
L’omosessualità, naturalmente. Dopo che domenica 11 settembre si
è celebrato in Italia, a Roma, il primo matrimonio ebraico
secondo il rito reform tra due uomini, per alcuni giorni sui più
attivi e frequentati gruppi Facebook dell’ebraismo italiano è
stato questo il più diffuso argomento di discussione. Di
discussione, a onor del vero, ce n’è stata poca: di insulti, di
rigurgiti omofobi più o meno consapevoli, più o meno in cerca di
giustificazione presso il Dio degli ebrei, invece, ne ho visti
centinaia. Centinaia. “Avrebbero dovuto pensare che qualcun
altro avrebbe potuto offendersi e risentirsi”, sono le parole di
un consigliere Ucei, una persona che, almeno in teoria, sarebbe
chiamata a rappresentarci. Ci sono inviti a trascinare di fronte
al Bet Din (tribunale rabbinico) i “criminali”; anzi, no -
chiosa qualcheduno che deve ritenersi straordinariamente
moderato - poiché “non sono ebrei” il Bet Din no, sarebbe troppo
onore. Forse voleva dire che gli sposi si sono convertiti, a suo
tempo, secondo rito ebraico riformato, o forse soltanto dare
aria alla bocca senza prima collegarla al cervello: cambiano le
operazioni, il risultato neanche di una virgola. Qualche
impavido paragona il matrimonio a “una seconda Shoah”. Altri,
dando sfogo a penose velleità ironiche, ipotizzano che sia come
l’unione sotto la chuppà di un uomo con una mucca. E poi gli
insulti diretti, espliciti, che non meritano citazione. Infine
c’è chi dall’alto di uno scranno dispensa condanne verso tutti
coloro che, “cogliendo un pretesto si sono precipitati in
trincea”, sorvolando su quella differenza neppure sottilissima
che c’è tra un “mazal tov!” e un’offesa più o meno gratuita.
Nell’arco di poche ore, su un gruppo tradizionalmente caldo
frequentato per la maggior parte da ebrei romani, è stata
toccata quota 500 commenti. Ci sono state anche discussioni
vere, non soltanto interventi grossolani e insultanti, ma ogni
tre, quattro interventi al massimo, ecco spuntare un funghetto
variabilmente velenoso. Se gli amministratori del gruppo non
avessero bloccato a un certo punto i commenti avremmo potuto
raggiungere numeri record - almeno, in proporzione a quelli
tanto piccoli dell’ebraismo italiano. In compenso, l’argomento è
stato risollevato fino alla nausea per più di una settimana sul
medesimo e su altri gruppi, e non ha mancato di tenere banco
nelle discussioni non virtuali.
Certo, quel fenomeno che “Pagine ebraiche” ama definire “demenza
digitale” ha a che fare con questa storia. È un dato di fatto
che in alcuni ambienti, digitali e non, le persone tendano a
esprimere il peggio di sé. E Facebook è senza dubbio un
territorio percorso da legioni di propagandisti, sobillatori e
tifosi; un luogo dove la maggioranza silenziosa trova la parola
e la usa quasi sempre per gridare; uno specchio del Paese reale
infinitamente più fedele delle librerie, dei musei e anche di
molte delle comunità ebraiche italiane, attendibile forse come
mercati di quartiere, concerti pop e incontri di calcio.
Ma non basta. Facebook è un po’ come un castagneto dopo un
acquazzone di settembre: il luogo ideale perché nascano i
funghi, ma non sufficiente al loro sviluppo. La pioggia aiuta le
spore a svilupparsi, non le produce: le spore sono già nel
terreno. Così l’omofobia ha radici profonde nella società, e
anche nelle comunità ebraiche è presente, talvolta a sprazzi,
talaltra diffusamente.
Gli argomenti, quando si parla di omofobia - e di omofobia
ebraica - a me sembrano labili. L’omofobia e ogni altra
discriminazione e pregiudizio in base all’orientamento e alle
scelte sessuali altrui è qualcosa di ripugnante e basta. Lo
stesso vale per gli impavidi commentatori da tastiera che si
rifugiano dietro formule come “non ho niente contro gli
omosessuali, ma...”, foglie di fico che tanto ne ricordano di
analoghe: “non ho niente contro gli ebrei, ma...”, “non ho
niente contro l’esistenza di Israele, ma...”. Ma, ma,
ma: ante di vetro sottile che non riescono a celare gli
scheletri ammonticchiati nell’armadio, ante trasparenti. Tanti,
tantissimi ma, tutti di troppo.
Concludo con una analogia - non un paragone - duplicemente
discutibile. Credo che, di fronte alle sempre più frequenti
stragi compiute dal terrorismo islamico, sia oggi legittimo
pretendere dalle autorità dell’universo musulmano una presa di
posizione. È fin troppo banale sottolineare che responsabile di
un’azione è chi la compie e basta, non va però dimenticato che
il terrorismo è una delle molte declinazioni possibili
dell’Islam - naturalmente non la più diffusa - non un incidente
di percorso di origine esogena. Le autorità e i maestri, in ogni
caso, sono sempre responsabili, e lo sono doppiamente quando
rimangono in silenzio. Analogamente, credo che le autorità e i
maestri dell’ebraismo, anche in Italia, dovrebbero prendere una
posizione sull’omofobia, rispondendo a chi la giustifica in nome
del Dio degli ebrei.
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