Franco Cardini : «Quando la medicina parlava arabo: fu l'islam a curare la nostra cultura»

La Nazione
Data: 27 ottobre 2016
Pagina: 29



MA INSOMMA — si stanno chiedendo in tanti — si può sapere che cos'hanno a che fare davvero l'Occidente e l'Islam e quali effettivi rapporti ci sono tra loro, a parte quattordici secoli di pur sotto certi versi tempestosa convivenza, fatta tuttavia di soprattutto di scambi culturali e diplomatici? Già questo non sarebbe poco. Ma in sintesi c'è di più. In realtà ebraismo, cristianesimo e Islam condividono l'origine religiosa (il monoteismo fondato verso il XVIII secolo a.C. e attribuito al patriarca Abramo) e la cultura ellenistico-romana, all'interno della quale l'ebraismo ha vissuto almeno dal IV secolo a.C. e l'Islam ha prosperato dal VII d.C., da quando cioè da una parte ha conquistato la Siria e l'Egitto bizantini e dall'altra quella Persia sasanide dove a sua volta l'ellenismo era ben conosciuto e dove avevano trovato rifugio verso il 530 d.C. i dotti pagani della Scuola d'Atene, esiliati dall'imperatore Giustiniano che voleva impedir loro d'«inquinare» la cultura pagana con le loro follie platoniche e aristoteliche. Il grande filosofo e scienziato Ibn Sina che noi conosciamo come Avi-cenna testimonia che nel X secolo la città persiana d'Isfahan, dove egli lavorava, possedeva una biblioteca di libri greci. Da lì la conoscenza di Platone e di Aristotele, insieme con le cognizioni geografiche, mediche, fisiche, chimiche, astronomiche e fisiologico-medicinali tratte dalle culture indiana e cinese, in quei campi ben più avanzate di quella greca, fecero — debitamente tradotte in arabo — il giro del mondo musulmano, cui appartenevano anche Spagna e Sicilia.
E DALLA SPAGNA soprattutto (ma anche dalla Sicilia e dalla Grecia) si diffusero tra XI e XIII secolo, tradotte dall'arabo e dall'ebraico in latino, nella Cristianità occidentale. L'Europa delle università e delle cattedrali, la nostra grande Europa di Abelardo, di Tommaso d'Aquino e di Dante, è figlia di quest'immensa, meravigliosa rivoluzione culturale in cui assieme ai commerci ebbero una qualche parte anche le crociate, guerre certo ma non "totali", anzi occasioni continue di scambi. Avicenna è uno dei protagonisti di quest'epopea mozzafiato: ben conosciuta e studiatissima, per quanto i nostri media abbiano fatto di tutto, negli ultimi anni, per ignorarla o per "oscurarla". Ma Avicenna aveva un Maestro, un persiano nato a Rey presso Teheran il cui nome lunghissimo suona Abu Bakr Muhammad ibn Zakariya ar-Razi: ma, che, secondo un diffuso costume musulmano, noi conosciamo soltanto come ar-Razi, vale a dire "quello di Rey". Questo dotto persiano che nel nostro medioevo ebbe fama, ovviamente, perfino di mago, visse tra 865 e 925, era in realtà uno dei più grandi geni che il genere umano abbia mai conosciuto. Scrisse ovviamente in arabo, la lingua sacra dell'Islam e koinè diàlektos di tutto il mondo musulmano. Visse soprattutto a Baghdad, che all'epoca contendeva a Còrdoba (entrambi erano sedi di due califfati sunniti concorrenti, abbaside l'uno e umayyade l'altro) e alla cristiana Costantinopoli il primato delle arti, delle scienze, della cultura e della bellezza. Si occupò non solo della sua grande passione, la musica (suonava benissimo il liuto) ma anche di logica, di filosofia, di poesia, di politica, di fisica, di astronomia e soprattutto di medicina, che poté studiare a Baghdad sotto la guida di un grande scienziato, at-Tabari.

I SUOI LIBRI sono moltissimi e tutti famosi. Ma tra essi ce n'è uno fondamentale per la stessa cultura europea: l' al-Mansuri fi t-tibb, un monumentale trattato generale di fisiologia e di medicina noto nella sua traduzione latina come Liber medicinalis Almansoris o Tractatus ad regem Almansoris, Si tratta di un'immensa opera in dieci libri il nono dei quali, conosciuto appunto come Nonus Almansoris, è servito ordinariamente come manuale nelle nostre università in tutto il medioevo. L'opera di ar-Razi fu diffusa in un numero straordinario di manoscritti in arabo e conobbe, come tutte quelle dei grandi studiosi musulmani, una quantità di traduzioni in latino: magari non perfette, anzi spesso sommarie e lacunose, comunque importanti per il progresso delle scienze. A loro volta queste traduzioni venivano più o meno divulgate nei diversi idiomi "volgari" della nostra Europa, forme arcaiche delle lingue che ancor oggi parliamo.
FIRENZE e la Toscana furono fra XIII e XV secolo attivissimi centri diffusori di queste spurie e problematiche eppur preziose opere, dette "volgarizzamenti". Uno di questi testi, opera di un anonimo medico o studioso di medicina fiorentino del primo Trecento, è conservato nella Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze. Esso è stato recentissimamente pubblicato in due grossi volumi dall'editore Aracne di Roma in edizione critica, largamente confrontata con le versioni araba e latina del medesimo testo, da uno straordinario studioso arabo-italiano, Mahmoud Salem Elsheikh dell'Accademia della Crusca. Egiziano musulmano, Salem El-sheikh giunse a Firenze oltre 65 anni or sono. Allievo tra i migliori di Gianfranco Contini, sposato con una bella signora lucchese e cattolica, egli è incredibilmente tra i massimi, forse il massimo specialista degli idiomi volgari fiorentino e senese del basso medioevo. Si è occupato molto di storia della medicina araba, alla quale ha anche dedicato un libro in collaborazione con il dottor Luciano Sterpellone; e naturalmente è studioso appassionato di Dante a proposito del cui rapporto con l'Islam ha scritto cose originali e ben documentate. Il volgarizzamento del Liber medicinails verrà presentato oggi alle 17 nei locali della Biblioteca Medicea Laurenziana, attigua alla basilica di San Lorenzo. Sarà un'occasione unica per conoscere un autentico monumento culturale del medioevo fiorentino ed europeo; e per applaudire uno studioso straordinario come Salem Elsheikh, che alla città di Firenze e ai rapporti fra mondo europeo e mondo islamico ha dedicato con dottrina e generosità l'intera esistenza.

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