Torah batte Corano nel conflitto israelo-palestinese?
Di Alastair Sloan. Middle East Monitor (13/09/2016). Traduzione e sintesi di Giusy Regina
Che cosa c’è di così speciale nel
conflitto israelo-palestinese? Tutto e niente, soprattutto se sei un
sostenitore delle politiche di sicurezza del Likud (partito del
centro-destra israeliano) e della lenta e dolorosa dissoluzione di un
futuro stato palestinese. Sono i sostenitori di Israele a continuare ad
affermare la specialità di questo conflitto, sottolineando che “Israele è
l’unico stato ebraico”, “un barlume di speranza in Medio Oriente” e
“l’unica democrazia della regione”. Allo stesso tempo il nuovo plotone
antisemita afferma che le critiche stesse di Israele sono antisemite
e che gli attivisti per i diritti umani in occidente si focalizzano
troppo sulla Palestina.
A proposito
della specialità o meno di questo conflitto, alcuni mesi fa ho avuto uno
scambio interessante con un reo confesso della linea dura sionista. Si tratta di un giornalista intelligente, con tante buone idee, che è
stato felice di condividere con me le sue opinioni a riguardo. Sulla
Nakba del 1948 e la conseguente questione dei profughi palestinesi ha
detto che, per quanto sgradevole, si tratta di un problema simile a
quello della cacciata degli indù e dei musulmani durante la partizione
dell’India. Il che oggettivamente è vero. Ma ha dato anche altri
esempi: “Quelli inflitti alle etnie tedesche nel quadro dell’accordo di
Potsdam o lo scambio turco-greco negli anni Venti. Nessuno ormai discute
di queste cose o cerca di farli ritornare nella madrepatria. Le vittime
sono state reinsenrite nei nuovi contesti e non trasformati in
rifugiati apolidi. Allora perché questa eccezione? Cos’ha di così
speciale il conflitto israelo-palestinese?”.
Il punto è che
il conflitto israelo-palestinese è speciale perché ha una dimensione
religiosa mentre molti di questi contro-esempi, altrimenti
altrettanto validi, non ce l’hanno. L’unica
eccezione che viene in mente è l’occupazione cinese del Tibet, dove la
selezione del prossimo Dalai Lama molto probabilmente non avverrà mai. Ma in ogni caso, i tibetani sono stati occupati, non mandati via. Possiamo affermare quindi che il conflitto
israelo-palestinese è speciale perché la controversia non è legata a
territori “qualunque”, bensì a luoghi considerati sacri sia dagli ebrei
che dai musulmani. Tragicamente però si sente parlare sempre meno della
religiosità di quei luoghi per i musulmani: le frasi più sentite sono
riferite alla “Terra promessa” di cui si parla nella Torah e non alla
terra da cui il profeta Mohammed ascese al Cielo, di cui si parla nel
Corano. Nei dibattiti sembra che la Torah abbia la meglio,
religiosamente parlando, sul Corano.
E l’Occidente che posizioni prende a riguardo?
Quante volte
abbiamo sentito i cristiani sostenere il sionismo, citando il Libro
delle Rivelazioni, i Vangeli, l’Antico Testamento e altre parti della
Bibbia? E quanto raramente sentiamo parlare dei Compagni del Profeta che
sono sepolti a Gerusalemme e nella sua entroterra, o il riconoscimento
di profeti dell’islam come Abramo, Mosè, Davide, Salomone e Gesù stesso?
È tutta una questione religiosa dunque, in cui cristiani, ebrei e
musulmani hanno eguali diritti su Gerusalemme, in base ai relativi testi
sacri.
L’ironia è
però che l’approccio locale di gran lunga più diffuso per la risoluzione
del conflitto israelo-palestinese è attualmente l’islamismo,
un’ideologia religiosa e politica non dissimile dal sionismo. Ci
si poteva aspettare che l’ascesa di Hamas si sarebbe tradotta in una
rinnovata simpatia occidentale per le rivendicazioni religiose
dell’Islam in Palestina, Gerusalemme compresa. Ma naturalmente
non è stato così: basti pensare che i musulmani che avanzano qualunque
tipo di rivendicazione religiosa sono associati – da ignoranti o bigotti
– alle forme più estreme dell’Islam come Al-Qaeda o Daesh (ISIS).
Sembra dunque
che, mentre il conflitto israelo-palestinese in sé per sé si sia
“islamizzato” (allontanandosi da soluzioni Marxiste o nazionaliste), la
retorica pro-Palestina si sia allontanata progressivamente da argomenti
islamici e squisitamente religiosi. La reticenza ad usare una retorica
religiosa da parte dei musulmani può essere ricollegata alla sinistra
occidentale, che ha sempre avuto poco a che fare con la religione
stessa.
Quindi sì, il
conflitto tra Israele e Palestina è speciale, non paragonabile a nessun
altro e di primaria importanza per il futuro del mondo musulmano,
dell’Occidente e di almeno tre grandi religioni. Se poi sei un ateo filo-palestinese (come me), non dimenticare comunque la religione: d’altronde è per questo che siamo tutti qui oggi.
Alastair Sloan è giornalista esperto di politica internazionale e diritti umani e scrive per MEMO, Al Jazeera English e Newsweek.
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