Ramzy Baroud :Israele sta spingendo verso una guerra civile palestinese?
Maannews 7 settembre 2016
Di Ramzy Baroud
La divisione all’interno della società
palestinese ha raggiunto livelli inediti, diventando un grave ostacolo
sul cammino verso una strategia unitaria per porre fine alla violenta
occupazione israeliana o compattare i palestinesi dietro un singolo
obbiettivo.
Il neoeletto Ministro della Difesa israeliano Avigdor
Lieberman, ultranazionalista, lo ha capito fin troppo bene. La sua
tattica, fin dalla sua nomina lo scorso maggio, è incentrata
nell’investire maggiormente su queste divisioni, come via per annientare
ancor di più la società palestinese.
Lieberman è un “estremista”, anche rispetto ai bassi
standard dell’esercito israeliano. Il suo passato è pieno di
dichiarazioni violente e razziste. Tra i suoi più recenti exploit
troviamo l’attacco a Mahmoud Darwish, il più famoso poeta palestinese.
E’ arrivato al punto di paragonare la poesia di Darwish – che si schiera
per la libertà del suo popolo – all’autobiografia di Adolph Hitler,
Mein Kampf.
Ma non è certo la dichiarazione più scandalosa di Lieberman.
Le passate provocazioni di Lieberman sono moltissime.
Recentemente, nel 2015, ha minacciato di decapitare con un’ascia i
cittadini palestinesi di Israele, se non fossero totalmente fedeli allo
“stato ebraico”, ha propugnato la pulizia etnica dei cittadini
palestinesi di Israele ed ha lanciato una minaccia di morte all’ex Primo
Ministro palestinese, Ismail Haniye.
A parte le scandalose dichiarazioni, l’ultima trovata di Lieberman è comunque la più stravagante.
Il Ministro della Difesa israeliano sta pianificando
di evidenziare in diversi colori le comunità palestinesi nella
Cisgiordania occupata, distinguendole in verdi e rosse, dove verde
significa “buono” e rosso “cattivo”; in base a ciò, le prime dovranno
essere premiate per il loro buon comportamento, mentre le seconde
subiranno una punizione collettiva, se anche un solo membro della
comunità oserà opporre resistenza all’esercito di occupazione
israeliano.
Un piano di questo genere è stato tentato circa 40
anni fa, ma è del tutto fallito. Il fatto che un’idea così mostruosa si
palesi nel XXI° secolo senza scatenare lo scalpore internazionale è
vergognoso.
Le mappe colorate di Lieberman verranno accompagnate
da una campagna per far rinascere le “Leghe di villaggio”, un altro
esperimento israeliano fallito, mirante ad imporre una leadership
palestinese “alternativa”, “reclutando” notabili palestinesi – leaders
non eletti democraticamente.
La soluzione di Lieberman sta nel costituire una
leadership che, come le Leghe di villaggio degli anni ’70 e ’80,
sicuramente sarà considerata collaborazionista e traditrice dall’insieme
della società palestinese.
Ma che cosa sono esattamente le “Leghe di villaggio”, e questa volta funzioneranno?
Nell’ottobre 1978 dei sindaci palestinesi eletti,
insieme a consiglieri comunali e diverse istituzioni nazionaliste,
iniziarono una campagna di mobilitazione di massa sotto l’egida del
National Leadership Committee, il cui principale obbiettivo era
contestare il Trattato di Camp David – firmato da Egitto ed Israele – e
le sue conseguenze politiche di emarginazione dei palestinesi.
In quel momento, il Movimento era la rete di
palestinesi più strutturata ed unitaria che fosse mai stata creata nei
territori occupati. Israele immediatamente represse con durezza i
sindaci, i dirigenti sindacali ed i nazionalisti di diverse istituzioni
professionali.
La risposta a livello nazionale fu ribadire l’unità
dei palestinesi a Gerusalemme, in Cisgiordania ed a Gaza, tra cristiani e
musulmani, tra palestinesi in patria ed in “shattat”, o diaspora. La
risposta di Israele fu analogamente dura. A partire dal 2 luglio 1980
partì una campagna di uccisioni contro i sindaci democraticamente
eletti.
Gli accordi di Camp David ed i tentativi di eliminare
i leader nazionalisti nei territori occupati, e poi la crescente
violenza degli ebrei estremisti in Cisgiordania, determinarono proteste
di massa, scioperi generali e violenti scontri tra giovani palestinesi e
soldati israeliani.
Il governo israeliano fece in modo di destituire i
sindaci eletti della Cisgiordania, poco dopo aver insediato, nel
novembre 1981, una “Amministrazione Civile” per governare i territori
occupati direttamente attraverso il proprio esercito. L’amministrazione
militare aveva l’obbiettivo di emarginare qualunque leadership
palestinese effettivamente rappresentativa e consolidare ulteriormente
l’occupazione. Ancora una volta i palestinesi risposero con uno sciopero
generale e una mobilitazione di massa.
Israele ha sempre cercato di creare una leadership
alternativa per i palestinesi. Questi sforzi culminarono nel 1978,
quando costituì le “Leghe di Villaggio”, conferendo ai loro membri
poteri relativamente ampi, incluso quello di approvare o respingere i
progetti di sviluppo nei territori occupati. Furono date loro armi e
usufruirono anche della protezione militare israeliana.
Ma anche questo era destinato al fallimento, in
quanto i membri della Lega vennero considerati dei collaborazionisti da
tutte le comunità palestinesi.
Qualche anno dopo Israele riconobbe il carattere
artificioso della sua creatura, ed il fatto che i palestinesi non
potevano essere indotti ad accettare l’impostazione israeliana di
occupazione militare permanente e di autonomia di facciata.
Nel marzo 1984 il governo israeliano decise di
sciogliere le “Leghe di villaggio”. Non che Lieberman sia un brillante
studente di storia, ma che cosa spera comunque di ottenere da questo
stratagemma?
Le elezioni municipali del 1976 galvanizzarono le
energie dei palestinesi per raggiungere l’unità; misero insieme idee
comuni e trovarono una piattaforma unitaria nell’Organizzazione per la
Liberazione della Palestina (OLP). Oggi la discordia interna alla
Palestina è inequivocabile. Il protratto conflitto tra Fatah e Hamas ha
alterato profondamente il discorso nazionalista sulla Palestina,
trasformandolo in una forma di tribalismo politico.
La Cisgiordania e Gaza sono divise, non solo
geograficamente, ma anche geopoliticamente. Fatah, che è già in
difficoltà su più di un fronte, sta precipitando in ulteriori divisioni
tra sostenitori dell’attuale anziano leader, Mahmoud Abbas, e l’
esiliato, benché onnipresente, Mohammed Dahlan.
Ancor più pericoloso di tutto questo è il fatto che
il sistema israeliano di premi o punizioni ha effettivamente diviso i
palestinesi in classi: quelli molto poveri, che vivono a Gaza e
nell’area C della Cisgiordania, e quelli relativamente benestanti, la
maggior parte dei quali è legata all’Autorità Nazionale Palestinese a
Ramallah. Dal punto di vista di Lieberman, deve essere una buona
occasione per perfezionare e imporre di nuovo le “Leghe di villaggio”.
Che funzionino nella forma originale o falliscano poco importa, poiché
l’idea è di creare ulteriore divisione tra i palestinesi, generare
disordine sociale, conflitto politico e, forse, replicare la breve
guerra civile di Gaza dell’estate 2007.
La comunità internazionale dovrebbe respingere del
tutto questi progetti arcaici e queste idee distruttive, e costringere
Israele a rispettare il diritto internazionale, i diritti umani, e le
scelte democratiche del popolo palestinese.
Quelle potenze che si sono imposte come “mediatori di
pace” e garanti del diritto internazionale dovrebbero capire che
Israele è bravissimo ad appiccare incendi, ma quasi mai capace di
spegnerli.
E Lieberman – il buttafuori russo diventato uomo
politico e poi ministro della difesa – non deve essere lasciato libero
di colorare la mappa delle comunità palestinesi, di premiarle e punirle a
suo piacimento.
Una breve occhiata alla storia ci dice che le tattiche di Lieberman falliranno; il problema però è: a quale costo?
Ramzy Baroud è un
giornalista accreditato a livello internazionale, scrittore e fondatore
di PalestineChronicle.com. Il suo ultimo libro è ‘Mio padre era un
combattente per la libertà. Storia non raccontata di Gaza’.
Le opinioni
espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono
necessariamente la politica editoriale della Ma’an News Agency.
Traduzione di Cristiana Cavagna
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