Israele: “Mustafa ucciso per errore” il palestinese ucciso dalla polizia israeliana non era un assalitore

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Per la seconda volta in una settimana le autorità israeliane ammettono di aver ucciso senza ragione. Convocata la famiglia Nimir. La sua auto crivellata di colpi

 Mustafa Nimir (Fonte: Ma’an News)
AGGIORNAMENTO ore 15.00 – ISRAELE RITRATTA: LA COLPA E’ DI ALI, IL FRATELLO DI MUSTAFA
Dopo aver ammesso di aver ucciso Mustafa Nimri per errore, la polizia israeliana accusa il fratello – ferito dai poliziotti a Shuafat mentre guidava – di aver guidato in un modo da costringere ad aprire il fuoco. Per questo Ali è ora accusato di aver provocato la morte di Mustafa, un escamotage che porterebbe alla chiusura dell’inchiesta che Israele aveva detto di voler aprire.
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della redazione
Roma, 7 settembre 2016, Nena News – “Vostro figlio è stato ucciso per errore”: questo è quello che Talal Nimir e sua moglie si sono sentiti dire ieri, dopo essere stati convocati dai servizi israeliani nella stazione di polizia di Nabl Yaqoub a Gerusalemme Est. Il figlio, Mustafa, 27 anni, è morto nella notte tra domenica e lunedì nel campo profughi di Shuafat: la sua auto è stata investita da una raffica di colpi che hanno ucciso lui e ferito il fratello Ali, 25 anni, tuttora in ospedale.
A Shuafat era in corso un raid della polizia israeliana per ragioni non meglio precisate e, secondo gli stessi poliziotti, i due avrebbero cercato di investirli con l’automobile. Non era vero. Erano andati a comprare del cibo. Testimoni sul posto avevano raccontato subito che si era trattato di un omicidio a sangue freddo. E ora lo ammette anche la polizia israeliana, costretta ad aprire un’inchiesta sull’avvenuto: Mustafa e Ali non volevano investire nessuno. Le foto della loro auto mostrano cos’erano andati a fare: pane e vestiti per bambini erano ancora sul sedile posteriore.
Quella sera a Shuafat la tensione era alta: le forze di polizia israeliane hanno invaso il campo, su tre lati. Decine di poliziotti erano in strada e sparavano proiettili di gomma ai manifestanti che protestavano: “Durante gli scontri – racconta un testimone – un’Opel Corsa bianca stava passando a bassa velocità e la polizia ha aperto il fuoco”. Una donna, che stava sul balcone, dice di aver visto – testimonianza provata da un video – che dopo gli spari i poliziotti hanno fatto scendere Ali ferito e l’hanno costretto a sdraiarsi a terra. Gridava: “Non ho fatto niente”. “Ma i soldati – aggiunge la donna – gli hanno ordinato di togliersi i pantaloni e lo hanno perquisito nonostante le ferite”.
Il corpo senza vita di Mustafa è rimasto sul sedile del passeggerro per mezz’ora prima che permettessero l’arrivo dei medici.
“Le loro scuse non porteranno indietro Mustafa – ha detto ieri il padre – I soldati israeliani non danno valore alla vita umana e uccidono per tante ragioni e con scuse diverse. Non c’è motivo per uccidere i nostri bambini. Anche se gli avessero davvero ordinato di fermare la macchina, perché gli hanno subito sparato?”.
E, nonostante le scuse, Ali Nimr è ancora agli arresti in ospedale. Una settimana fa, ad al-Ram, quartiere di Gerusalemme la stessa cosa era successa al 22enne Anwar Falah al-Salaymeh. Anche lui crivellato di colpi mentre era in auto perché – ha detto l’esercito – la sua macchina stava tentando di investirli. A giugno a morire era stato un adolescente, di ritorno dalla piscina, Mahmoud Badran. In entrambi i casi, successivamente, le autorità israeliane hanno ammesso l’errore.
Casi simili costellano i 50 anni di occupazione militare dei Territori Occupati e la più recente ondata di scontri e violenze, cominiciata il primo ottobre dello scorso anno. Molti testimoni di omicidi extragiudiziali hanno raccontato che le vittime palestinesi non rappresentavano alcuna minaccia e, in alcuni casi, video e foto lo dimostrano. Nonostante ciò le violenze continuano come continua l’assenza di inchieste serie da parte delle autorità israeliane. I soldati e i poliziotti responsabili non vengono puniti. E, sebbene le prove spesso siano schiaccianti, vengono difesi ad oltranza sia dall’opinione pubblica che dal governo. Come nel caso dell’uccisione a sangue freddo ad Hebron di Abdel Fattah al Sharif, giustiziato mentre si trovava a terra sanguinante. Nena News



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Gerusalemme, il palestinese ucciso dalla polizia israeliana non era un assalitore



Il 27enne Mustafa Nimr è morto per colpi di arma da fuoco. Gli agenti temevano un attacco a bordo di una vettura. La polizia indaga sulla persona alla guida. Testimoni riferiscono che l’auto non costituiva una minaccia per la sicurezza e procedeva entro i limiti di velocità.
Gerusalemme (AsiaNews/Agenzie) - Il giovane palestinese ucciso dalle forze di sicurezza non stava effettuando un attacco - a bordo di una vettura - contro un gruppo di ufficiali di polizia, come dichiarato in un primo momento. Il 5 settembre scorso un gruppo di agenti di pattuglia nei pressi del campo profughi di Shuafat, nella zona di Gerusalemme est sotto il controllo israeliano, avevano aperto il fuoco contro un’auto nel timore di un attentato.              
Una delle persone a bordo della vettura, il 27enne Mustafa Nimr, è morta dopo essere stata colpita dai proiettili. Non si sono registrate vittime né feriti fra gli agenti.
Luba Samri, portavoce della polizia, riferisce dell’apertura di un fascicolo di inchiesta a carico del 20enne Ali Nimr, cugino della vittima e alla guida dell’auto al momento dell’incidente. Egli è accusato di omicidio, omicidio colposo, guida senza patente, guida sotto l’influenza di alcolici e comportamento irresponsabile. Un modo, secondo alcuni, per scagionare gli agenti che hanno sparato.
Al contempo, il Dipartimento responsabile delle forze di polizia del ministero israeliano della Giustizia ha aperto un secondo fascicolo per accertare eventuali responsabilità dei poliziotti.
Alcune immagini diffuse dall’emittente israeliana Channel 10 mostrano che gli agenti avrebbero continuato a sparare anche dopo che la vettura si era fermata. In quel momento il giovane Mustafa Nimr era già a terra, ferito o forse deceduto.
Un testimone, dietro anonimato, racconta che i due giovani stavano rientrando nel campo profughi dopo aver acquistato le pizze per la cena. Il giornale Hareetz aggiunge che una seconda vettura stava seguendo l’auto dei due cugini; a bordo vi erano la ragazza di Mustafa, di origine ebraica, e il fratello del giovane.
Nato e cresciuto nel sobborgo di Shuafat, il 27enne si era trasferito da qualche tempo a Tel Aviv e conviveva con la ragazza.
Secondo altre fonti la vettura non avrebbe messo in pericolo la vita dei poliziotti e procedeva rispettando i limiti di velocità. Gli agenti della polizia di frontiera che hanno aperto il fuoco si trovavano all’interno del campo profughi nel contesto di una operazione di pattugliamento. Per le forze di sicurezza israeliane è prassi comune compiere questi raid alla ricerca di armi o sospetti.
Già in passato vi erano stati casi di morti e uccisioni di giovani palestinesi inermi e innocenti per mano della polizia israeliana. A giugno alcuni soldati dell’esercito hanno ucciso un ragazzo dopo aver aperto il fuoco contro un gruppo di giovani, di ritorno da una nuotata, scambiandoli per manifestanti che lanciavano pietre.
La vicenda aveva sollevato numerose polemiche e alimentato i dubbi sui mezzi usati dall’esercito e della polizia con la stella di David. In più di una occasione sono emerse accuse di “uso eccessivo della violenza” per uccisioni e sparatorie a carico di giovani palestinesi inermi e che non costituivano alcuna minaccia.
Dall’ottobre scorso, dopo una serie di provocazioni di ebrei ultra-ortodossi che sono andati a pregare sulla Spianata delle moschee, si sono moltiplicati incidenti e scontri in Israele e nei territori palestinesi, nel contesto della cosiddetta “intifada dei coltelli”. Finora sono stati uccisi almeno 236 palestinesi, 32 israeliani, due americani, un sudanese e un eritreo.
La maggior parte dei palestinesi è stata uccisa mentre tentava di accoltellare o colpire con armi o con l’auto passanti o soldati. Altri sono stati uccisi nel corso di manifestazioni o scontri con i militari.
A fronte di questa escalation di violenze, culminata nell’attacco a Tel Aviv dell’8 giugno scorso, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha deciso di rafforzare la politica delle demolizioni delle case di assalitori palestinesi. Una misura che, secondo le voci critiche, rappresenta una “punizione collettiva” la quale finisce per esasperare la tensione.



 
 
 
 
 
Il 27enne Mustafa Nimr è morto per colpi di arma da fuoco. Gli agenti temevano un attacco a bordo di una vettura. La polizia indaga sulla persona alla guida.…
Di AsiaNews.it

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