F. Landi :SHIMON PERES/ La strategia di un Nobel che la pace non l'ha voluta
E'
stato scritto nelle ultime ore che Shimon Peres (1923-2016) è stato
l'uomo che ha cercato la pace con i palestinesi. Vero, ma solo in parte:
ecco perché. FILIPPO LANDI.
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Shimon Peres (1923-2016) (LaPresse)
E'
stato scritto nelle ultime ore e, forse, lo si farà nei prossimi giorni
che Shimon Peres (1923-2016) è stato l'uomo che ha cercato la pace con i
palestinesi. L'affermazione è vera, ma non chiarisce perché la pace non
è stata raggiunta. Le ragioni sono, ovviamente, molte, ma qualcuna,
inaspettatamente per il grande pubblico, ricade anche sulle spalle del
politico che si è spento ieri a Tel Aviv.
E' giusto allora ricordare il
dibattito, vivacissimo interno al Partito Laburista, intorno ad uno dei
temi centrali del negoziato di pace con i palestinesi: il futuro di
Gerusalemme. Un argomento talmente centrale da determinare una falla non
più richiudibile negli accordi di pace di Oslo, del 1993. In quelle
intese, il futuro di Gerusalemme veniva lasciato in sospeso e rinviato
ad un'ulteriore intesa tra le parti, da raggiungere con altri colloqui e
comunque dopo il rafforzamento della pace su altri campi: le
frontiere, l'amministrazione dei territori palestinesi, la sicurezza
assicurata dalle nuove forze di polizia palestinesi.
In una trattativa
politico-diplomatica quando un argomento viene posto all'ultimo
capoverso del materiale in discussione, questo vuol dire che è
particolarmente spinoso. D'altra parte ben pochi potevano immaginare che
l'argomento sarebbe rimasto insoluto e nel contempo la pace avrebbe
potuto rafforzarsi.
Yossi Beilin, uno dei più
importanti mediatori di parte israeliana degli accordi di Oslo, era di
questo convinto, della necessità di affrontare in modo "negoziale" anche
il problema di Gerusalemme. A Tel Aviv, in una calda giornata estiva
durante un convegno del Partito Laburista, nel 2003, anche di questo si
discute. Ebbene, Shimon Peres prende la parola e scandisce, rivolto al
suo uditorio, che Gerusalemme non potrà mai più essere divisa e dovrà
rimanere la capitale, indivisa, dello Stato Ebraico.
E' un colpo durissimo a chi
ricerca su Gerusalemme un compromesso con le aspirazioni dei
palestinesi. Yossi Beilin chiede immediatamente la parola per
contestare le affermazioni di Peres, ma il dibattito si esaurisce in
breve tempo, ciascuno fermo sulle proprie posizioni. Beilin, qualche
tempo dopo, lascerà il Partito Laburista e più tardi la vita politica.
Peres, viceversa, si avvicinerà alle posizioni del generale Sharon,
lascerà il Partito Laburista, condividerà con Sharon il piano di ritiro
dei profughi da Gaza ed insieme il rifiuto di ogni possibilità per i
palestinesi di fare di Gerusalemme anche la loro capitale. Peres
diventerà il presidente di Israele, con il sostegno decisivo del partito
di centro, Kadima, fondato proprio da Sharon.
Aver ricordato la posizione di
Peres su Gerusalemme, sconosciuta al pubblico internazionale, può invece
aiutare a capire perché gli accordi di Oslo sono poi collassati.
Altro punto su cui riflettere è
la presenza sempre più massiccia dei coloni ebrei nei territori
palestinesi. Giustamente è stato ricordato che fu proprio Shimon Peres,
ministro della difesa, all'inizio degli anni 70 ad autorizzare
l'ingresso dei primi coloni e la costruzione dei primi insediamenti.
Dal punto di vista strategico
era certa la volontà di riannodare i legami con una storia, anche
dolorosa, come l'espulsione degli ebrei da Hebron negli anni 30. Dal
punto di vista politico fu un atto disastroso che vide l'espansione
numerica dei coloni ed oggi l'impossibilità a rimuoverli, rendendo ogni
futuro stato palestinese privo di una continuità territoriale.
Il ritiro dei quasi 8mila coloni
ebrei da Gaza, voluto da Sharon e sostenuto da Peres, si accompagnava,
infatti, alla riaffermata volontà di mantenere gli insediamenti
israeliani a Gerusalemme est e in Cisgiordania (oltre 500mila coloni),
con qualche sporadica eccezione. Si comprende bene come questo enorme
problema, che di anno in anno si è accresciuto, non poteva favorire il
raggiungimento di un'intesa stabile. E così è stato.
Il futuro di Gerusalemme e
l'espansione dei coloni in Cisgiordania: questi problemi, decisivi per
una pace vera, Peres non li ha affrontati, o meglio è rifuggito da
quella visione negoziale che Beilin invocava. Strano paradosso per chi
nel contempo affermava, con maturata convinzione, che con i palestinesi
"fare la guerra non ha senso". La politica, quella che si concretizza in
atti per evitare la guerra e fare la pace, non era però il suo punto
di forza. Senza Rabin e senza Sharon, Peres non sarebbe stato il
politico "illuminato".
Il rapporto con Hamas ne è in
qualche modo la prova. Quando Hamas vince le elezioni politiche
palestinesi nel 2006, Peres ne vede solo i pericoli e nessuna
opportunità politica per far cessare terrorismo e una trentennale
ostilità verso Israele. Verso Hamas a Gaza sostiene il blocco imposto da
Netanyahu, ma non coglie la profondità del disastro umanitario e la
crescita del rancore verso Israele.
Su un altro conflitto invece
Peres ha agito pragmaticamente: quello incombente con l'Iran. Dopo aver
per anni alimentato la paura verso un Iran nuclearizzato, dopo aver di
fatto sostenuto Netanyahu nei suoi preparativi militari per un attacco
all'Iran, Peres, negli ultimi cento metri verso il conflitto, ha dato
ragione a Barack Obama: meglio le sanzioni economiche all'Iran che
l'attacco aereo israeliano. Lo ha fatto, convincendo anche Netanyahu,
perché non bisognava mettersi contro un alleato storico. L'accordo con
l'Iran è stato raggiunto, la guerra è stata scongiurata. Israele, in
questi giorni, ha incassato un nuovo accordo decennale, firmato da
Barack Obama, per complessivi 38 miliardi di dollari in aiuti militari
statunitensi. Adesso, però, la politica israeliana non avrà più
l'immagine di Peres, l'uomo che cercava la pace. Con sincerità ed
errori.
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