B’Tselem: “Le inchieste per la guerra a Gaza sono superficiali e non hanno prodotto alcun risultato”



“L’obiettivo principale è dare la falsa impressione che il sistema israeliano volto a ricercare la verità funzioni” si legge nel documento pubblicato oggi dalla ong.…
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Roberto Prinzi
Roma, 20 settembre 2016, Nena News – “Gli organismi israeliani che dovrebbero investigare quanto accaduto durante l’offensiva militare a Gaza del 2014 agiscono prima di tutto per dare la falsa impressione che il sistema volto a ricercare la verità funzioni”. La grave denuncia è contenuta in un nuovo rapporto pubblicato stamane dall’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem. Nel suo documento, “The Whitewashing procedure: the ostensible investigation of the event of Operation Protective Edge”, la ong fa il punto di cosa è accaduto dal punto di vista giudiziario nei due anni post guerra. Il risultato è allarmante: chi ha commesso violazioni del diritto umanitario internazionale, si legge nel report, non è stato nemmeno interrogato e anche quando sono partite le inchieste, queste sono state soltanto ispezioni superficiali che hanno riguardato un numero di casi isolati privi di alcun tipo di contesto.
Nonostante il numero alto di vittime civili (due terzi dei 1.391 gazawi uccisi non erano coinvolti negli scontri), l’organizzazione per i diritti umani sottolinea come nessun ufficiale di governo, né un comandante militare di alto grado sia stato finora incriminato per gli ordini presi, né tantomeno è stato interrogato. “Dopo due anni, infatti, non è stata aperta alcuna inchiesta sulle politiche [adoperate nel corso dell’offensiva]. Tra queste, quella di colpire case abitate causando la morte di centinaia di persone, l’indiscriminato uso dell’artiglieria, la distruzione di terreni agricoli e di migliaia di abitazioni”.
Allo stato attuale, sostiene lo studio dell’organizzazione non governativa, solo un’indagine ha prodotto alcuni rinvii a giudizio: è il caso di due militari accusati di saccheggio e di un terzo incriminato per complicità. B’Tselem sostiene che le inchieste hanno riguardato sin dall’inizio solo pochi episodi e si sono concentrate colpevolmente soltanto sui soldati impegnati sul campo di battaglia. Pertanto, per come sono state impostate, hanno escluso in partenza dalle loro analisi le alte sfere politiche e militari (che pure quegli ordini li hanno dati) preferendo trattare gli episodi incriminati come se fossero responsabilità dei singoli (le famose mele marce) e non, eventualmente, figlie di un intero sistema.
Sul banco degli imputati c’è soprattutto la procura militare (MAG) che ha assolto “tutti coloro coinvolti negli attacchi – a partire dal primo ministro, al Mag stesso fino alle persone che hanno materialmente sparato – perché hanno limitato al massimo i danni sui civili”. Non solo. “Sia prima, ma soprattutto dopo l’offensiva Margine protettivo – scrive il rapporto – politici, giudici, ufficiali di alto grado dell’esercito e il Mag hanno dichiarato che non c’era alcun bisogno di indagare l’esercito” perché avrebbe fatto tutto il possibile per evitare danni alla popolazione civile. “Dalle dichiarazioni rilasciate dai politici si evince come il motivo che li ha portati ad accogliere favorevolmente le inchieste su eventuali violazioni compiute durante l’operazione militare è stato il desiderio di impedire alla Corte penale internazionale dell’Aia di occuparsi della faccenda”.
In questo quadro dove la verità appare insabbiata, la ong chiede “indagini effettive e sincere” non solo per dare giustizia alle vittime e ai loro cari. Ma anche come “deterrente” per azioni future simili perché “se passa che ogni cosa fatta durante i combattimenti è stata morale e legale, allora dovremmo aspettarci che atti come questi, se non peggiori, ricapiteranno”.
La pubblicazione del rapporto di B’Tselem giunge mentre continuano ormai da giovedì le uccisioni di attentatori (veri o presunti) palestinesi. L’ultimo episodio in tal senso è stato registrato questa mattina quando le forze armate israeliane hanno sparato e ucciso Issa Salim Mahmoud Tarayra (16 anni) del villaggio di Bani Naim (Hebron). Secondo la versione fornita dall’esercito, il ragazzo avrebbe tentato di accoltellare dei soldati a un checkpoint. Tarayra è la 230esima vittima palestinese dell’Intifada di Gerusalemme (Intifada dei coltelli per gli israeliani) iniziata lo scorso ottobre. Il settimo palestinese ucciso nel distretto di Hebron (il secondo a Bani Naim) negli ultimi giorni. Trentadue, invece, i morti israeliani in quest’ultimo anno.
Sempre nei pressi di Hebron, nel villaggio di Idhna, ieri sera si è registrato un episodio inquietante: due israeliani hanno accoltellato in più parti del corpo un venticinquenne palestinese, Murad Jamal Tomeizi. Il giovane è stato trasferito all’ospedale al-Ahli di Hebron ed è al momento ricoverato in condizioni gravi, ma giudicate stabili. Per la polizia israeliana si tratta di un caso “puramente criminale”: una disputa per una riparazione di una macchina.
In questo clima di forte tensione, una buona notizia per i palestinesi è giunta ieri sera. Dopo sei mesi di prigione è stata liberata la giornalista di Shabakat al-Quds, Samah Dweik. Dweik, 25 anni, era stata arrestata dalle autorità israeliane lo scorso 10 aprile per “istigazione alla violenza” per un suo post su Facebook. Nena News
 Roberto Prinzi è su Twitter @Robbamir

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