Massimo Borghesi : Se l’Isis ha paura di un Papa che dialoga con l’Islam



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La copertina della rivista Dabiq urla il suo titolo: “Rompi la croce”

31/08/2016
ROMA

Questo Papa è troppo dialogante con l’Islam, troppo cedevole. Da mesi il fronte duro dei cattolici anti-Bergoglio martella con insistenza, nella galassia dei blog, contro Francesco. Il Papa non avrebbe il coraggio di dire chiaro e tondo chi è l’avversario principale della fede cristiana in questo momento storico: l’Islam. Non parlerebbe di Asia Bibi, né delle innumerevoli vittime dell’Isis, dei cristiani perseguitati nei Paesi a maggioranza islamica. Questa accusa di ignavia portata al Pontefice è, in realtà, un pretesto con cui lo si vuole colpire. Come ogni analista serio può documentare, il rifiuto di Francesco di criminalizzare l’Islam, di andare alla guerra santa dell’Occidente “cristiano” contro di esso, è la miglior strategia per combattere l’ideologia dello Stato islamico. Il Papa, perfettamente consapevole che il conflitto religioso attuale è, innanzitutto, una conflitto interno all’Islam non vuole regalare l’intero mondo musulmano all’Isis. Non vuole fare ciò che vuole la destra occidentale la quale, identificando Islam ed Isis, realizza il sogno programmatico di Daesh.

Una conferma di ciò viene ora dall’ultimo numero, il 15, della rivista “Dabiq”, il magazine ufficiale dell’Is pubblicato ogni mese anche in inglese. Il motto della copertina è eloquente: Break the cross (“Rompi la croce”). Lo slogan è accompagnato da una foto di un jihadista, con la bandiera nera del Califfato, che distrugge una croce alla sommità di una chiesa. Nel servizio principale, al centro della rivista, troviamo la foto di Francesco con il sottotitolo: «Nelle parole del nemico». Il numero della rivista rappresenta un invito alla lotta contro l’avversario cristiano: «Tra questa pubblicazione di Dabiq e il prossimo massacro che verrà eseguito contro di loro dai soldati nascosti del Califfato i crociati possono leggere perché i musulmani li odiano e li combattono». Siamo di fronte, com’è evidente, ad una strategia che prende di mira, per la prima volta in modo sistematico, il mondo cristiano. In questo orizzonte, come scrive Marco Ansaldo su Repubblica.it, «colpisce, soprattutto, la veemenza dell’attacco al Pontefice. Nessun gruppo jihadista aveva mai fatto nulla del genere, né Al Qaeda, né altre frange salafite che da 15 anni hanno lanciato una guerra totale contro l’Occidente. Lo scontro non era mai stato focalizzato contro il Vaticano, né tantomeno personalizzato contro la figura del Papa. Ora con il territorio del Califfato stretto d’assedio, il Daesh alza il tiro. E lo fa con un’invettiva pubblicata pochi giorni dopo l’uccisione di padre Jacques Hamel, il parroco di 86 anni sgozzato in Francia da due ragazzini».

Nel numero di “Dabiq” le accuse al Pontefice sono soprattutto due. La prima: di aver pregato per le vittime di Orlando, in Florida, dove nella notte tra l’11 e il 12 giugno sono state massacrate 49 persone in una discoteca frequentata da omosessuali. Il Papa avrebbe qui pregato per persone immorali. Un modo per screditarlo dal punto di vista di una coscienza religiosa rigorosamente puritana. La seconda accusa è, però, quella più significativa, ed è quella di dividere l’Islam, di non assumerlo in blocco come un modello unico rappresentato, nella sua forma ortodossa, dallo Stato islamico. L’Isis, cioè, muove al Pontefice la stessa accusa che gli muove la destra occidentalista, cattolica e laica: di “salvare” un Islam positivo. Nella rivista il vescovo di Roma è ritratto assieme a Ahmed al Tayeb, imam della importante Università islamica Al Azhar al Cairo, considerato qui come un “apostata” per aver definito il cristianesimo «una fede di amore e di pace». Questo incontro tra cristianesimo e Islam è proprio ciò che Daesh paventa, che non vuole. Per questo lo scontro deve essere favorito, mediante attentati sul suolo europeo, in modo che il fossato possa allargarsi e l’odio possa prevalere sul dialogo fraterno. Uno scontro che vede nel Papa il “nemico”, l’avversario per eccellenza. Francesco, con la sua mano tesa ad un Islam non integralista, è l’ostacolo principale alla radicalizzazione dello stesso mondo islamico, la sconfessione clamorosa, da parte del capo di una religione di più di un miliardo di persone, che Dio non è il Dio della guerra ma della misericordia. Per questo, dal punto di vista dell’Isis, la deviazione “crociata” della guerra intraislamica, che divide sunniti e sciiti, si rende obbligatoria.

Paradossalmente se Francesco avesse sposato la tesi di un’opposizione radicale tra cristianesimo e Islam non sarebbe stato un vero avversario, bensì, indirettamente, un prezioso alleato. Avrebbe dimostrato, agli occhi del mondo, che le tesi del Califfato erano giuste e che nessuna coesione è possibile tra i veri credenti e gli infedeli. Quello che i cattolici risentiti con Francesco non capiscono l’Isis dimostra, con una intelligenza politica infinitamente maggiore, di comprendere perfettamente: e cioè che la distinzione tra le interpretazioni dell’Islam è il modo vero per combattere la riduzione teologico-politica dell’islamismo radicale. Il che, ovviamente, non è una bella notizia per la incolumità dei cristiani, sul suolo europeo in particolare.



 
 
 



Nella rivista ufficiale del Califfato attacchi a papa Francesco e Benedetto XVI, l’appello a rompere la croce del Vaticano. Per mar Sako è un tentativo di “esercitare pressioni” sull’Occidente. A rischio i musulmani che cercano dialogo e riconciliazione. L’islam non può conoscere il cristianesimo dal Corano. Lettera aperta del primate caldeo ai musulmani contro il “cancro” dell’Isis.
Baghdad (AsiaNews) - L’attacco frontale e le minacce di morte lanciate dallo Stato islamico (SI) in questi giorni contro papa Francesco fanno parte di una strategia di “propaganda”, per “esercitare pressioni sull’Occidente usando la figura del pontefice”. È quanto sottolinea ad AsiaNews il patriarca caldeo mar Louis Raphael Sako, commentando l’ultimo numero della rivista “Dabiq”, il magazine ufficiale della “guerra santa” di Daesh [acronimo arabo per lo SI]. Dalla copertina, con il titolo “Rompi la croce” alle pagine interne, il numero è un inno alla lotta contro la cristianità e i suoi simboli più noti, fra cui il Vaticano e lo stesso papa.
Diffusa su internet, con una versione in inglese per il jihad internazionale, la rivista racconta perché i musulmani “odiano e combattono” - secondo l’ideologia del Califfato - i “crociati”. Primi in assoluto fra i gruppi estremisti islamici, i miliziani di Daesh usano la propaganda per un attacco personale al pontefice. Un tentativo, forse, di rispondere a parole all’assedio militare in Iraq e Siria.
L’ultimo numero di Dabiq, oltre a contenere un articolo sulla barbara uccisione di p. Jacques Hamel, 86enne sacerdote francese sgozzato nella sua chiesa da due giovani, attacca Francesco per l’attenzione agli omosessuali e l’opera di dialogo con il mondo musulmano moderato. Nella rivista vi è un’immagine del papa assieme all’imam Ahmad al-Tayyib, guida dell’Università islamica del Cairo, anch’egli bollato come “apostata” per aver definito il cristianesimo religione di pace.
Con Bergoglio (e il papa emerito Benedetto XVI) vengono presi di mira imam moderati e personalità musulmane aperte al dialogo; a seguire, attacchi ai sufi e nuovi appelli alla “guerra santa” con immagini delle recenti violenze in Francia, Bangladesh e Germania. Infine, bambini con meno di 10 anni che sfilano in uniforme, pronti a combattere fra le “nuove leve” del Califfato.
“Vogliono intimidire l’Occidente usando la figura del papa” spiega ad AsiaNews il primate della Chiesa caldea, secondo cui i jihadisti “non fanno distinzioni fra Stato laico e religione cristiana, perché per loro non vi sono distinzioni fra l’ambito politico e quello religioso”. “Hanno in testa il progetto di una nazione teocratica, basata sull’islam - aggiunge - condita da una ignoranza di fondo: ritengono che anche i cristiani abbiano uno Stato teocratico, che è il Vaticano”. Non capiscono che “si tratta di una entità diversa”, mentre “l’Occidente è fondato sul principio della laicità”.
A dispetto dell’attacco diretto, prosegue mar Sako, il papa “non è il vero obiettivo, questa è solo propaganda per scopi e finalità politiche”. Diverso, invece, il discorso per le personalità del mondo musulmano moderato favorevoli al dialogo, come l’imam di al-Azhar: “Questi - avverte il presule - sono obiettivi diretti, perché hanno una ideologia diversa, conciliante, aperta all’incontro. Le minacce, gli attacchi sono uno dei motivi per i quali il mondo musulmano, le autorità islamiche hanno paura di parlare in modo aperto contro lo SI e di condannarne in modo fermo le gesta”.
Per il primate della Chiesa caldea è in atto una “strategia” per “indebolire” e “cambiare il volto” dei Paesi in cui è in corso una guerra. “Vi è una precisa responsabilità - spiega - della comunità internazionale, degli Stati Uniti e della Russia che di certo sanno chi finanzia l’Isis e da dove vengono le loro armi”. Siamo di fronte a un “pericolo globale” e se anche verrà sconfitta “come forza militare”, tuttavia resisterà a lungo “sotto forma di ideologia”, alimentata da “corruzione e povertà” e secondo una “visione deformata del jihad”.
I musulmani, conclude mar Sako, “devono prendere una posizione coraggiosa e chiara”, affermando che “non hanno niente a che fare con la religione e i loro versetti sono estrapolati fuori dal conteso”. Inoltre, è necessario rafforzare il livello di istruzione, la qualità educativa nelle scuole, contrastare media e canali di diffusione dell’ideologia estremista e aiutare i musulmani a conoscere “la verità” sul cristianesimo favorendo “incontro e dialogo”, perché “ciò che sanno viene solo da Corano”.
Da ultimo, ci deve essere “unità” fra irakeni per sconfiggere Daesh, lasciando da parte “interessi e ambizioni: è il tempo dell’unione, per la politica e la risoluzione delle questioni etniche e religiose vi sarà tempo nel futuro”.
In questi giorni il patriarca caldeo ha lanciato anche un appello alla comunità internazionale, alle autorità nazionali e internazionali, e ai fedeli musulmani contro il “cancro” dell’Isis. Ecco, di seguito, la lettera di mar Sako inviata ad AsiaNews: 
È tempo di fermare la diffusione del cancro chiamato “Stato islamico” e di simili organizzazioni
Lo Stato islamico (Daesh) e altre organizzazioni di questa natura hanno colto di sorpresa il mondo intero, limitando la libertà umana in nome dell’islam; civili sfollati e uccisi; o bruciati vivi; donne rese schiave e ridotte allo stato di prigionia; monumenti di carattere religioso e culturale demoliti. Questa ideologia estrema ha finito anche per rovinare le relazioni fra persone all’interno dello stesso paese e della stessa regione.
Eventi di questa natura provocano la seguente domanda: non è questo il momento giusto per musulmani e non musulmani di buona volontà di tutto il mondo per affrontare in modo serio, e non solo in maniera superficiale, la situazione?
In special modo quando sappiamo che la maggioranza dei musulmani sono neutrali/privi di colpe specifiche, di mente aperta e desiderosi di lavorare duro per il bene dei loro Paesi e dei loro concittadini. La loro iniziativa dovrebbe consistere in una presa di posizione forte e univoca, mediante la quale possano fermare la diffusione del cancro “Isis”, opponendosi all’isolamento, all’estremismo e all’odio, alla violenza e al rigetto della coesistenza, della cittadinanza e della tecnologia moderna. E ancora, mettere fine ai proclami dell’Isis, che la sola via per garantirsi il paradiso sia uccidere persone innocenti sia con cinture esplosive, che mediante autobombe o coltelli. Questa è una vera e propria distruzione della ragione.
I musulmani dovrebbero mostrare il vero volto dell’islam al mondo e confermare che l’estremismo è contrario alla loro fede. In altre parole, dovrebbero precisare il significato del messaggio dell’islam, che è ben diverso dai proclami dell’Isis. Come sappiamo, la missione di tutte le religioni è l’amore, la tolleranza e il perdono; essi vanno compresi nell’ottica di una valutazione della spiritualità dei testi e delle loro prescrizioni. Per questo crediamo che i musulmani debbano mostrare impegno verso il messaggio centrale dell’islam, rispettando Dio e delle altre religioni.
In conclusione, i cristiani aspettano governi e autorità religiose per lavorare insieme in un’ottica di confronto e per smantellare il terrorismo e l’estremismo, attraverso la diffusione di una cultura di libertà, ragione, apertura, tolleranza, coesistenza, amore, rispetto dei diritti umani e della diversità. Tutto questo può essere ottenuto mediante una riforma dei programmi scolastici, che sono oggi la principale fonte di diffusione del terrorismo; la creazione delle fondamenta per la pace, stabilità, cooperazione e giustizia; adottare un dialogo civile, pacato, coraggioso per risolvere le molte crisi che colpiscono e devastano le persone e i loro Paesi; stabilire lo Stato di diritto e le istituzioni a sostegno.
Infine, le persone hanno il diritto di vivere una vita stabile e sicura, godendo degli stessi diritti e assolvendo i medesimi doveri, nel quadro di un livello ragionevole di servizio pubblico.
Per dimostrare a cosa mi riferisco quando si parla di ingiustizia e violazione della libertà umana sommate all’abuso della religione, vi propongo di seguito un elenco di alcuni passaggi tratti da sermoni e fatwa ostili verso i cristiani, che devono essere fronteggiati con decisione:
  • Ogni religione diversa dall’islam è infedeltà ed eresia, e ogni luogo di culto che non sia la casa dell’islam è luogo di eresia e deviazione
  • Sono considerati infedeli anche quanti fra i musulmani considerano le chiese come luoghi in cui si rende culto a Dio, o quello che fanno ebrei e cristiani è una forma di culto. 
  • I musulmani devono rispettare la proibizione di fare gli auguri ai cristiani per Natale e Pasqua. 
  • Pregare Dio perché renda vedove tutte le mogli dei cristiani e i loro figli orfani. 
Sono discorsi e atteggiamenti come questi che, senza dubbio, creano persone che trasformano l’odio delle parole in azioni e combattono coloro i quali sono classificati come “infedeli” secondo queste fatwa!
Il cristianesimo è nato ed è cresciuto in Oriente, i cristiani possiedono in modo legittimo questa terra e formano una parte essenziale del tessuto della società mediorientale. Essi hanno partecipato alla costruzione e allo sviluppo della cultura e della civiltà araba. È un peccato che siano stati aggrediti senza motivo nel corso della storia e che la loro esistenza nella regione sia stata a più riprese messa a repentaglio. Per questo è urgente formulare una posizione ufficiale, chiara e coraggiosa per sostenerli e incoraggiarli a rimanere in Medio oriente, anche perché la maggioranza rappresenta il nucleo più qualificato nell’educazione, economia, cultura, etc… Tutto questo può essere raggiunto solo garantendo sicurezza e diritti legittimi ad ogni essere umano, che conducano alla vera uguaglianza e al consolidamento della coesistenza.
 
 

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