L’apartheid idrico israeliano asseta la Cisgiordania
L’apartheid idrico israeliano asseta la Cisgiordania
Electronic Intifada Charlotte Silver – 1 agosto 2016
Charlotte Silver – 1 agosto 2016
La
mancanza d’acqua non è una novità per i palestinesi. Sia nella Striscia
di Gaza occupata che in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, la
fornitura di acqua che scorre nelle case palestinesi è rigidamente
limitata od ostacolata da Israele.
Appena durante l’estate la temperatura sale, i rubinetti si prosciugano. Clemens Messerschmid,
un idrologo tedesco che ha lavorato per due decenni con i palestinesi
nel loro servizio idrico, chiama la situazione ” apartheid idrico”.
Quest’anno
la giornalista israeliana Amira Hass ha pubblicato dati che provano che
l’Autorità Idrica Israeliana ha ridotto la quantità di acqua
distribuita ai villaggi della Cisgiordania.
In
alcuni luoghi l’approvvigionamento è stato ridotto alla metà. I suoi
dati contraddicono le smentite ufficiali che la fornitura d’acqua alle
città e villaggi palestinesi sia stata tagliata durante l’estate, benché
neanche questo sia una novità.
Quest’estate
cittadine e piccoli villaggi sono rimasti fino a 40 giorni senza acqua
corrente, obbligando quelli che se lo possono permettere a rifornirsi da
cisterne d’acqua.
Quando
Israele ha occupato la Cisgiordania nel 1967 ha anche preso il
controllo dell’Acquifero Montano della Cisgiordania, la principale
riserva naturale d’acqua del territorio.
Gli
accordi di Oslo dei primi anni ’90 hanno concesso ad Israele l’80%
delle riserve dell’Acquifero. I palestinesi avrebbero dovuto avere il
restante 20%, ma negli ultimi anni hanno potuto avere a disposizione
solo il 14%, in conseguenza delle restrizioni israeliane alle
perforazioni.
Per
garantire le necessità minime della popolazione, l’Autorità Nazionale
Palestinese è obbligata a comprare il resto dell’acqua da Israele. Ma
anche così, non è sufficiente.
Israele
ha intenzione di vendere solo una limitata quantità di acqua ai
palestinesi. In conseguenza di ciò, i palestinesi utilizzano molta meno
acqua degli israeliani, e un terzo in meno rispetto alle raccomandazioni
dell’Organizzazione Mondiale della Salute di 100 litri a testa al
giorno per uso domestico, ospedali, scuole e altre istituzioni.
“Electronic
Intifada” ha parlato della programmata scarsità d’acqua per i
palestinesi in Cisgiordania con Clemens Messerschmid, che ha lavorato
nel settore idrico in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza fin dal
1997.
Charlotte Silver: la causa della crisi idrica in Cisgiordania è la scarsità d’acqua nella zona? O la scarsità è programmata?
Clemens Messerschmid: Ovviamente
non c’è scarsità d’acqua in Cisgiordania. Quello che noi soffriamo in
conseguenza di questa scarsità indotta si chiama l’occupazione. Questo è
il regime imposto ai palestinesi subito dopo la guerra del giugno 1967.
Israele
governa attraverso ordini militari, che hanno il diretto ed
intenzionale risultato di tenere i palestinesi a corto d’acqua. Non si
tratta di una costante e graduale espropriazione come con la terra e le
colonie, ma è stato fatto in un colpo solo grazie all’ordine militare n° 92 dell’agosto 1967.
La
Cisgiordania possiede una vasta falda acquifera. Ci sono grandi
precipitazioni a Salfit, nella Cisgiordania settentrionale, ora nota per
restrizioni idriche particolarmente drastiche.
La
Cisgiordania beneficia di un tesoro di acque sotterranee. Ma questo è
anche la sua maledizione, perchè Israele l’ha preso di mira
immediatamente dopo averne assunto il controllo.
Quello di cui abbiamo bisogno è semplice: pozzi freatici per accedere a questo tesoro. Ma l’ordine militare israeliano n° 158
proibisce rigidamente di scavare pozzi o qualunque altro lavoro di
carattere idrico, comprese le sorgenti, condutture, reti, stazioni di
pompaggio, pozze utilizzate per l’irrigazione, riserve d’acqua, semplici
cisterne per la raccolta dell’acqua piovana, che raccolgono la pioggia
che cade sui tetti.
Ogni
cosa è proibita, o piuttosto non “permessa”, dall’Amministrazione
Civile, il regime di occupazione di Israele. Anche riparare o fare la
manutenzione dei pozzi richiede permessi militari. E semplicemente noi
non li otteniamo.
E’ semplicemente un caso di apartheid idrico – ben oltre qualunque altro regime del passato di cui io sia a conoscenza.
CS: Israele
ha incrementato la quantità di acqua che vende ai palestinesi, ma non è
ancora sufficiente ad evitare che i villaggi rimangano a secco. A parte
il fatto che il controllo di Israele sulle risorse dell’Acquifero è un
grave problema, perchè Israele non vuole vendere più acqua ai
palestinesi?
CM: Innanzitutto Israele
ha drasticamente ridotto la quantità di acqua a disposizione dei
palestinesi. Ha vietato ogni accesso al fiume Giordano, che ora è
letteralmente prosciugato nei pressi del lago di Tiberiade.
Inoltre
Israele impone una quota sul numero di pozzi e nega metodicamente i
permessi per le più indispensabili riparazioni dei vecchi pozzi dei
tempi giordani – la Giordania ha amministrato la Cisgiordania dal 1948
fino all’occupazione israeliana -, soprattutto i pozzi per
l’agricoltura. Ciò significa che il numero dei pozzi è costantemente in
diminuzione. Ne abbiamo meno che nel 1967.
Ora,
l’unica cosa che è aumentata è la dipendenza dall’acquisto di acqua
dagli espropriatori, Israele e Mekorot, la società idrica pubblica
israeliana.
Ciò
è riportato continuamente nella stampa occidentale, perchè questo è il
punto che Israele sottolinea: “Vedete quanto siamo generosi?”
Per
cui, sì, da Oslo gli acquisti da Mekorot sono aumentati costantemente.
Ramallah ora riceve il 100% della sua acqua da Mekorot. Neanche una
goccia proviene da un solo pozzo che abbiamo noi.
La
fornitura ai villaggi da parte di Israele non è stata fatta come un
favore. E’ stata iniziata nel 1980 da Ariel Sharon, allora ministro
dell’Agricoltura, quando è cominciata il rapido aumento della
colonizzazione. La fornitura di acqua è stata “incorporata”, per rendere
irreversibile l’occupazione.
Quello
che più importa qui è l’apartheid strutturale, cementato e incastonato
nel ferro di queste condutture. Una piccola colonia è rifornita
attraverso grandi tubature di trasmissione da cui se ne dipartono altre
più piccole per andare verso le aree palestinesi.
Israele
è molto contento di Oslo, perchè ora i palestinesi sono “responsabili”
della fornitura. Responsabili, ma senza un briciolo di sovranità sulle
risorse.
La
cosiddetta crisi idrica attuale non è affatto una crisi. Una crisi è un
cambiamento improvviso, una novità o un punto di svolta durante lo
sviluppo. La riduzione nella fornitura ai palestinesi è voluta,
pianificata e accuratamente eseguita. La “crisi idrica estiva” è la più
prevedibile caratteristica nel calendario dell’acqua per i palestinesi. E
la quantità annuale di piogge o la siccità non hanno alcun rapporto con
la presenza e le dimensioni di questa “crisi”.
Vorrei
sottolineare che per quanto questo succeda regolarmente, in ogni
singolo caso si tratta di una decisione consapevole di qualche burocrate
e ufficio in Israele o nell’Amministrazione civile. Qualcuno deve
andare sul campo e chiudere le valvole della deviazione verso il
villaggio palestinese. Questo, come ogni estate, è stato fatto agli
inizi di giugno. Da qui, crisi idrica in Cisgiordania.
CS: Quali fattori possono aver contribuito all’aggravamento di quest’anno nelle interruzioni della fornitura d’acqua?
CM: Sembra
che la domanda [di acqua] delle colonie sia aumentata drasticamente
dallo scorso anno. L’Autorità Israeliana per le Acque ha riscontrato una
maggiore domanda dal 20 al 40%, che è molto significativa.
Alexander
Kushnir, il direttore generale dell’Autorità per le Acque, la
attribuisce all’espansione delle irrigazioni dei coloni sulle montagne
melle colonie a nord della Cisgiordania, attorno a Salfit e a Nablus.
CS: Com’è possibile che la gente dell’attuale Israele sembri
godere di un surplus di acqua da quando il Paese ha iniziato ad
utilizzare la desalinizzazione, mentre la gente sotto occupazione in
Cisgiordania è rimasta con così poca [acqua]? Si dice che anche i coloni
israeliani abbiano riscontrato una riduzione nelle forniture idriche.
CM: E’ vero che per la prima volta Israele ha dichiarato qualche anno fa che ha
un’economia con eccedenza d’acqua ed è interessato a vendere più acqua
ai suoi vicini, a cui in primo luogo ha espropriato l’acqua.
I
palestinesi stanno già comprando l’acqua che Israele ha rubato, ma,
come segnalato, non in modo affidabile o in percentuali sufficienti.
Francamente non lo so. Perchè questo particolare, elevato ed aggravato desiderio di Israele di non vendere neppure acqua sufficiente alla Cisgiordania?
In
alcune zone, come nella Valle del Giordano, l’acqua è attivamente
utilizzata come uno strumento per la pulizia etnica. Fin dal primo
giorno dell’occupazione l’agricoltura è sempre stata presa di mira.
Ma
questa logica non si applica ai centri urbani palestinesi densamente
popolati nella cosiddetta Area A della Cisgiordania [sotto totale
controllo dell’ANP. Ndtr.], che stanno ancora lottando. Dopo 20 anni, mi
lascia ancora perplesso.
E’
importante capire un altro elemento: Israele deve continuamente
impartire una lezione ai palestinesi. Ogni fornitura di acqua, ogni
goccia fornita deve essere intesa come un generoso favore, come un atto
di pietà, non come un diritto.
Israele
ha incrementato la vendita di acqua alla Cisgiordania da 25 milioni di
m³ all’anno nel 1995 ai circa 60 milioni di m³ di oggi. Perchè non ne
vende molta di più? Sicuramente dal punto di vista di una politica
idrica oculata se lo potrebbe permettere – ha un enorme surplus.
Uno dei problemi materiali che posso riscontrare è quello del prezzo, e quindi il significato dell’acqua.
Israele
vuole ottenere finalmente il prezzo più alto per l’acqua desalinizzata
che vende ai palestinesi. Mentre si parla solo di qualche centinaio di
milioni di shekel all’anno (qualche decina di milioni di dollari) – che
per Israele non è molto -, Israele vuole chiudere una volta per tutte la
discussione in merito ai diritti palestinesi sull’acqua.
Israele
non chiede niente di meno che una resa totale: i palestinesi devono
accettare che l’acqua sotto i loro piedi non appartiene a loro, ma per
sempre agli occupanti.
Con la richiesta del prezzo intero per l’acqua desalinizzata, i palestinesi ammetterebbero ed accetterebbero una nuova formula.
Una
parola sulla Striscia di Gaza: a differenza della Cisgiordania, Gaza
non ha fisicamente un accesso possibile all’acqua. La circoscritta e
densamente abitata Striscia non potrà mai essere autosufficiente.
tuttavia Gaza non riceve simili forniture di acqua da Israele. Solo
recentemente Israele ha iniziato a vendere a Gaza i 5 milioni di m³
all’anno stabiliti da Oslo. E’ stato adottato un piccolo aumento di
facciata.
In
un certo modo si potrebbe interpretare questo trattamento differenziato
tra Gaza e la Cisgiordania come un’ammissione israeliana di un certo
grado di dipendenza idrologica.
Israele
riceve la maggior parte della sua acqua dai territori conquistati nel
1967, comprese le Alture del Golan, ma neppure una goccia da Gaza.
Dal
punto di vista di una politica idrica oculata, Gaza non ha risorse da
offrire a Israele. Ciò vale anche per la risorsa principale: la terra.
Da qui un approccio molto diverso a Gaza fin da subito, nel 1967.
Israele non dipende da Gaza da nessun punto di vista materiale. Fin da
Oslo Israele ha chiesto a Gaza di rifornirsi da sola con i suoi mezzi,
come attraverso la desalinizzazione dell’acqua di mare.
CS: In
questo contesto, come si sono comportati i Paesi donatori? Hanno difeso
gli standard minimi internazionali o hanno affermato e rafforzato il
controllo israeliano sulle risorse idriche nella Cisgiordania occupata?
CM: Purtroppo
nel secondo modo. Quando è iniziato Oslo, noi tutti ci siamo illusi che
sarebbe iniziata una fase di sviluppo. Pozzi di cui era stata vietata
la trivellazione per 28 anni sarebbero finalmente stati messi in
funzione.
Abbiamo
rapidamente imparato che Israele nei fatti non aveva mai voluto
concedere “permessi…per espandere l’agricoltura o l’industria, che
possano competere con lo Stato di Israele,” come l’allora ministro della
Difesa Yitzhak Rabin disse nel 1986.
Quello
di cui c’era bisogno allora e adesso – e tutti quanti lo sapevano – era
una pressione politica per ottenere il minimo di permessi di
perforazione garantiti dagli accordi tra palestini e israeliani. Questa
pressione non c’è mai stata. L’Ue o il mio governo tedesco non hanno mai
diramato una dichiarazione pubblica nella quale “deplorassero” o “si
dispiacessero” per gli ostacoli nel settore idrico. E’ un vero scandalo.
Ma ancora peggio, qual è stata la risposta di noi occidentali a tutto ciò? Tutti
i progetti finanziati dai donatori hanno addirittura abbandonato il
settore vitale della perforazione di pozzi. L’ultimo pozzo finanziato
dalla Germania è stato trivellato nel 1999.
Come
per l’attuale cosiddetta crisi idrica, noi come donatori siamo ora
impegnati a finanziare generosamente un’anacronistica distribuzione di
acqua con cisterne ai centri urbani palestinesi tagliati fuori
[dall’erogazione d’acqua] – adeguandoci e stabilizzando lo status quo
dell’occupazione e dell’apartheid idrico.
(traduzione di Amedeo Rossi)
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