Fulvio Scaglione: Dopo la Russia, anche l'Iran si riavvicina alla Turchia
Golpe o non golpe, che Russia e Turchia
potessero prima o poi riavvicinarsi stava nell’ordine delle possibilità.
Prima della crisi generata dall’abbattimento del caccia russo sul
confine turco-siriano, le relazioni tra i due Paesi erano molto solide,
se non cordiali. Interscambio commerciale in crescita costante da anni,
partnership ben avviate in settori strategici come gas, petrolio e
nucleare, una generale consonanza di obiettivi per lo sviluppo delle
rispettive economie. Per non parlare del Mar Nero, su cui entrambi
affacciano e sul quale incombe, via Ucraina (rivoluzione di Piazza
Maidan), Moldavia (contrasto tra pro-Ue e pro-Russia), Romania (scudo
stellare Usa) e Bulgaria (il gasdotto North Stream saltato), l’ombra
ingombrante del grande fratello americano e dei suoi interessi globali.
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Un po’ meno prevedibile era, invece, che
la dirigenza dell’Iran si schierasse fin dai primi minuti del golpe a
favore di Recep Erdogan, con gli interventi pesantissimi, e
adeguatamente pubblicizzati, del ministro degli Esteri Mohammad Javad
Zarif (tra i primi uomini di Governo del mondo a esporsi) e del potente,
anche se meno noto, Alì Shamkani, segretario del Consiglio di Sicurezza
Nazionale della Repubblica Islamica. Shamkani in particolare disse,
quando ancora non si sapeva chi sarebbe uscito vincitore dalla notte di
Istanbul: “Siamo solidali con il Governo legalmente eletto della Turchia
e contrari a qualunque tipo di golpe, che sia generato dall’interno o
ispirato da forze straniere”. E, con una certa perfidia, se si pensa a
Erdogan e alla sua politica di sostegno ai ribelli islamisti siriani,
Shamkani aveva aggiunto: “È la stessa posizione che abbiamo sulla
Siria”. Altrettanto (sia sul golpe sia sulla Siria) fece Alì Akbar
Valayati, ex ministro degli Esteri e consigliere per le questioni estere
di Alì Khamenei, la guida Suprema dell’Iran. Questa è gente che non
parla se i massimi dirigenti del Paese non sono d’accordo. E le loro
dichiarazioni sono state nette, senza sfumature. Inequivocabili.
Eppure negli ultimi anni, soprattutto dopo
l’elezione di Hassan Rouhani alla presidenza della Repubblica islamica,
i rapporti tra Turchia e Iran si erano molto raffreddati. Lo
testimonia, con la crudezza delle cifre, il declino dei rapporti
economici: nel 2015 il volume degli interscambi commerciali si era
ridotto del 30% rispetto al 2014. Ovviamente alla base di un tale,
brusco distacco c’erano ragioni politiche. La Turchia era stata molto
ottimista nei confronti della Primavera araba ed Erdogan aveva pensato
di poter “vendere” la democrazia moderatamente islamica turca come un
modello per l’intero Medio Oriente, accrescendo così l’influenza del
proprio Paese nella regione. Da qui, per esempio, l’appoggio ai Fratelli
Musulmani e al presidente Morsi in Egitto, il cui fato dopo sotto le
repressioni del generale Al Sisi dev’essersi agitato come un fantasma
intorno a Erdogan nelle ore del golpe dei suoi generali.
Molto più scettici, per non dire ostili,
gli ayatollah, che un inizio di Primavera araba l’avevano vissuto nel
2009, con le proteste di piazza per la rielezione di Mahmoud
Ahmadinejad, stroncate dalle milizie basij. Quando poi la Primavera era
arrivata in Siria, aveva innescato la guerra civile e questa si era
trasformata in una guerra tra sciiti e sunniti, Turchia e Iran si erano
trovati sulle sponde opposte del conflitto.
Anche qui, però, come nel caso della
Russia, ragioni contingenti e soprattutto di fondo, di lungo e
lunghissimo periodo, si sono imposte su tutto e hanno convinto gli
iraniani a stare con (il piuttosto detestato) Erdogan. Cominciamo con
quelle contingenti. Poco prima del golpe Erdogan aveva segnalato la
volontà di recuperare i rapporti con la Russia, con cui a sua volta
l’Iran è in buona relazione da molti anni. Mettersi di traverso sarebbe
stata, per Teheran, una politica suicida. Inoltre il golpe, proprio
perché sventato, ha indebolito il potenziale militare turco. Erdogan ha
purgato 127 generali delle sue forze armate sui 360 totali, e altri 2
hanno scelto le dimissioni. Con il conflitto in Siria ancora aperto,
questa è una buona notizia per gli strateghi iraniani. Infine, dopo
l’accordo sul nucleare firmato anche dagli Usa e la fine delle sanzioni
economiche internazionali contro l’Iran, le prospettive di un rilancio
delle relazioni economiche bilaterali si era fatto più concreto che mai,
e interessante per entrambe le parti.
Sullo sfondo, assai più pressanti, le
ragioni fondamentali della “strana” solidarietà iraniana. Per
sintetizzare possiamo dire così: non c’è nessuno, in Turchia, che agli
occhi degli ayatollah risulti preferibile a Erdogan. Se davvero il golpe
è stato ispirato da Fethullah Gulen, il predicatore islamico da molti
anni riparato negli Usa, gli ayatollah non avevano scelta: Gulen è
anti-sciita fino al midollo, e la “protezione” Usa non poteva che
accrescere, agli occhi degli iraniani, l’ostilità a un cambio di regime.
Una cosa simile si può dire degli altri partiti e movimenti politici
principali della Turchia: né quelli laici né quelli religiosi né quelli a
base etnica hanno mai mostrato simpatia per la Repubblica islamica
iraniana. Anzi. E dunque…
Infine non bisogna sottovalutare quanto
prema all’Iran conservare una certa stabilità ai confini, vista la
generale instabilità del resto del Medio Oriente. Un’eventuale cacciata
di Erdogan avrebbe potuto generare tensioni insopportabili nella regione
curda dell’Est della Turchia, tensioni che avrebbero investito anche
l’Iran. Gli ayatollah invece hanno bisogno di tranquillità, per il
tentativo ancora in corso di riguadagnare una certa influenza regionale
(per esempio sui fronti di Siria, Yemen, Libano, Iraq…) e insieme
rilanciare l’economia approfittando della fine delle sanzioni.
Come si dice: tanta roba. Tantissime
ragioni per preferire il noto Erdogan e il suo comunque islamico partito
Akp all’ignoto di un regime patrocinato dai militari turchi, i cui
legami con gli ambienti Nato sono storici e ben documentati, e poi forse
gestito da uomini scelti dall’anti-sciita Gulen. Ora si dice che siano
stati i servizi segreti russi e quelli iraniani a lavorare, nei giorni
prima del tentato golpe, per avvertire Erdogan e aiutarlo a schivare il
pericolo. Forse non è vero. Ma verosimile sì.
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