Associazione palestinese per gli animali : Un prigioniero, una gattina e due uccellini


Tradotto in English  Italiano 
Un prigioniero, una gattina e due uccellini

Palestinian Animal League الجمعية الفلسطينية للرفق بالحيوان


Un prigioniero, una gattina e due uccellini

Palestinian Animal League الجمعية الفلسطينية للرفق بالحيوان


La storia di Mohammad detto Dob (Orso)
“A volte mi sembra di non essere niente. Non sono niente. A volte mi sembra di essere i tre proiettili conficcati nel mio corpo, le gambe rotte e sanguinanti.”
“Tutto il mio mondo si è rimpicciolito. È diventato così piccolo. È il recinto intorno alla mia stanza. È l’alto muro che si erge intorno a quel recinto, creando una prigione all’interno di una prigione. Io sono qui, sul lato sfortunato del muro. Sono uguale a dei piccoli uccelli, ossa e piume non ancora abbastanza forti per prendere il volo, esseri innocenti che sono caduti dal nido, strappati involontariamente alla loro casa e alla loro famiglia ed atterrati, come me, sul lato sfortunato del muro”.
“Ogni volta che penso al tempo trascorso in carcere, la mia mente ritorna lì. Mentre il mio corpo ora è libero, alla mia mente basta poco perché io ritorni ad essere un prigioniero sul lato sfortunato del muro, anche se sono seduto qui, con te.  Non mi piace pensare a quel periodo, ma voglio parlare. Ti prego, scrivi di me, perché questa è la mia vita. Questa è la mia storia. E anche se il ricordarla fa male, non voglio che svanisca dalla mia memoria.”
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Questa è la storia di Mohammed, un ragazzo palestinese  di 18 anni , un ragazzino, quando visse l’esperienza di cui ci parla. Mohammed è un figlio e un fratello amorevole ed è parente di Ahmed, il fondatore di PAL.
Quando era piccolo era così alto rispetto alla sua età che era stato  soprannominato “Dob” , orso. Sopravanzava tutti i suoi compagni di classe, mentre ora fa fatica a camminare.13819585_1757728284509744_341023550_n
La sua esperienza è fin troppo comune in Palestina. Imprigionato in giovane età dalle autorità israeliane per un presunto “crimine” che non è mai stato né dimostrato né provato, ci si potrebbe aspettare che ora Dob sia arrabbiato. Ci si potrebbe aspettare che durante la sua permanenza in carcere si sia “radicalizzato” o “indurito”. Ci si potrebbe aspettare che abbia perso la speranza in se stesso e nel suo futuro.
Invece, e nonostante stia ancora lottando per venire a patti con ciò che gli e’ accaduto, in carcere Dob non ha perso se stesso, ma ha trovato dentro di sé una resilienza, una forza e una compassione che potrebbero avergli salvato la vita.
E tutto è iniziato con una gattina.
Ma stiamo correndo troppo. Innanzitutto dobbiamo spiegare come Dob si è trovato dal lato sfortunato del muro.
“La morte mi visita in incubi ricorrenti. Ma nessun incubo è peggiore di quel giorno in cui mi sono svegliato dolorante, ammanettato, circondato dai soldati e dalle loro armi. ”
Dob aveva 17 anni quando i soldati israeliani gli spararono ad una gamba per ben tre volte. Era uno studente, stava studiando per gli esami finali ed era uscito per fumare una sigaretta e per schiarirsi le idee prima di tornare alla materia su cui stava lavorando. Non ha visto i soldati prima che questi gli sparassero. Si era fermato per strada, aveva portato una sigaretta alle labbra e aveva fatto scattare l’accendino. In quel momento arrivarono i proiettili; tre, in rapida successione. Le gambe cedettero sotto di lui. Il dolore era lancinante. Non poteva scappare. Le sue gambe erano una massa sanguinolenta. Più tardi gli fu detto che era stato colpito perché i soldati, nascosti dietro un edificio, avevano “pensato che si stava preparando a lanciare una granata”. Non c’era nessuna granata. Non c’erano prove. Non c’è ancora alcuna prova. Dob è stato arrestato a prescindere. E ‘ stato portato via dalla sua famiglia, dalla madre sconvolta e dai fratelli, per quelli che furono 26 mesi in carcere.
13815172_1757732021176037_1918555692_n (1)Fu un trauma l’essere stato cosi vicino alla morte, non morire, ma perdere la vita in un altro modo. Dob fu spostato di prigione in prigione fino ad essere definitivamente trasferito nel Negev, in un carcere per prigionieri politici nel mezzo del deserto. Vi arrivò non ancora guarito, quasi del tutto impossibilitato a camminare, fare la doccia, andare in bagno senza assistenza. Gli mancavano la madre, le sorelle, gli amici, la sua vecchia vita, sempre più lontana e sfuocata  man mano che passavano le settimane. Quando gli domandammo quali fossero i ricordi peggiori di quei giorni in prigione, ci disse: ”Ogni mattina era il momento peggiore. Svegliarsi e sapere che tutto quello che mi circondava non era un brutto sogno.”
Poi un giorno trovò una gattina. Vagava per il compound, sola e affamata. Non sapeva come fosse arrivata, ma era li. Come lui. Dalla parte sbagliata del muro. Si ricorda di averla guardata, consapevole del destino che l’attendeva se non l’avesse aiutata. Si sentiva simile a lei, senza speranza. Cercò di decidere cosa fare. Poteva ignorarla e andare avanti cercando di restare vivo. Doveva essere duro per sopravvivere, in quel luogo non c’era spazio per la compassione, che poteva essere interpretata come debolezza e usata contro di lui. Pensò che fosse meglio lasciarla al suo destino.
Ma poi si guardò attorno, guardò i soldati israeliani che lo controllavano costantemente. Osservando un esserino più debole di lui, si rese conto che per la prima volta da mesi e mesi era in una posizione di forza. Avrebbe potuto indirizzare il suo destino decidendo semplicemente di aiutarlo. Poteva decidere di salvarlo, e offrirgli quella compassione che a lui era stata negata. Così raccolse la piccola gattina arruffata e divenne il suo guardiano.
La chiamò Simba. Le fece un giaciglio per la notte con l’unico cambio di abiti che possedeva. Simba lo seguiva dappertutto e andava a trovare anche gli altri prigionieri. Dob profuse in lei tutte le sue cure e le sue attenzioni, come se fosse un bambino. Quando senza preavviso fu trasferito per due settimane in un’altra prigione, la  pensò costantemente , preoccupato per lei  e sentendo la mancanza della sua confortante presenza. Quando tornò, lei era lì ad aspettarlo.
Tutto accadde di nuovo quando Dob trovò due minuscoli uccellini nascosti all’interno di un nido rotto caduto dalla cima del muro. La loro madre svolazzava sopra di loro, spaventata, incapace di riportare il nido da dove era caduto. Dob aveva guardato quella madre e aveva pensato alla propria, alla sua paura quando lui le era stato portato via. La sua amorevole madre che non avrebbe mai immaginato che suo figlio un giorno sarebbe stato intrappolato tra le mura di un carcere.
Come aveva fatto con Simba, Dob nutrì gli uccellini con la sua razione giornaliera di pane. Quando furono grandi e forti, in grado di prendere il volo e lasciare il carcere, Dob rimase stupito nel vedere che preferivano stare con lui. Gli rimanevano sempre vicino, tranne alcuni momenti del giorno in cui, passando attraverso un piccolo foro nel tetto metallico, volavano nel cielo. Dob non li perdeva mai di vista.13713409_1757728327843073_1427795162_n
Dob senti che lui, Simba e i due uccellini stavano condividendo la stessa vita e lo stesso destino e, in quella consapevolezza, Dob trovò la libertà. Le mura e i reticolati della prigione potevano sì imprigionare il suo corpo, ma non potevano imprigionare la sua mente, i suoi pensieri, la sua compassione e i suoi sogni. Con il suo piccolo atto di cura per gli animali, la sua mente aveva violato le spesse mura del carcere ed era in grado di ricordare un mondo dove accadevano cose buone, dove le persone si prendevano cura le une delle altre, dove persino un piccolo animale poteva essere al sicuro dalla violenza.
“Ci si sente spezzati in prigione. O si smette di provare sentimenti e si diventa violenti, o si diventa forti. Ed essere forti significa essere gentili. Gentili verso le altre persone, gentili verso gli animali che sono ancora più’ deboli, gentili verso qualsiasi cosa.”
Nel condividere con noi la sua storia, Dob guarda verso i tetti del campo profughi di Jalazoun, dove è nato e cresciuto e dove è finalmente tornato a vivere con la sua famiglia.
Un leggero sorriso balena sul suo volto mentre osserva uno stormo di uccelli che vola in cerchio sopra di noi e che lui osserva, così come faceva dalla sua gabbia nel Negev. Siede sotto di loro, le gambe fratturate stese davanti a sé. Ha pianificato di farsi curare, di imparare a camminare di nuovo senza difficoltà, di tornare a studiare, e di continuare a lottare per gli animali così come ha imparato a fare con Simba.
E’ un uomo, uscito da poco dall’’infanzia. E’ un palestinese dalla storia tragica, una storia resa ancora più straziante dalla consapevolezza che migliaia di palestinesi come lui hanno sofferto e continuano a soffrire un simile destino.
Alcuni di loro non conosceranno mai la libertà. In questo preciso momento, il suo paese sta combattendo per il diritto di esistere ed un intero popolo viene lasciato solo nel decidere cosa significhi essere forte, lottare, costruire un mondo migliore.
Dob ha deciso di essere uno di coloro che combattono per realizzare tutto questo. Porta con sé le sue esperienze e il suo semplice messaggio rivolto al mondo: “E’ solo liberando gli altri che possiamo sperare di trovare la liberazione per noi stessi”.
Da quando è uscito di prigione, Dob ha seguito suo zio Ahmed in varie attività di PAL, come il censimento dei cani randagi a Ramallah, dove PAL spera di poter cominciare nei prossimi mesi la sua campagna di cattura, sterilizzazione e rilascio.
Il team di Pal è già’ molto orgoglioso di Dob e dell’energia positiva che sta infondendo nel suo impegno verso gli uomini e gli animali, e non vede l’ora di vedergli realizzare grandi cose in futuro

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