Amira Hass : L’esercito israeliano sta conducendo una campagna di gambizzazione in Cisgiordania?
di Amira Hass,
27 agosto 2016, Haaretz
Il numero dei palestinesi feriti da pallottole vere sta aumentando, e i ragazzi che tirano pietre dicono che viene loro comunicato che sfidare i soldati può renderli zoppi per tutta la vita.
La manifestazione in onore dei feriti
del campo profughi di Deheisheh è iniziato quasi in orario, alle 20,20
di domenica scorsa. Nella via principale, parzialmente chiusa al
traffico, sono state sistemate file di sedie. Gli automobilisti che
utilizzavano l’altra strada erano pazienti e si muovevano in entrambe le
direzioni, creando due ingorghi di traffico che miracolosamente hanno
lasciato passare un’ambulanza a sirene spiegate. Qualcuno ha instradato
il traffico a destra e a sinistra ed in pochi secondi si è creato un
varco. Dopo il passaggio dell’ambulanza, si sono di nuovo formati gli
ingorghi, sotto le bandiere rosse del Fronte Popolare per la Liberazione
della Palestina e sul lato opposto di un enorme memoriale in cemento,
con la forma della mappa della Palestina.
Recentemente, tre incursioni
dell’esercito israeliano in meno di due settimane nel campo a sud di
Betlemme si sono concluse con qualche arresto, ma 15 persone sono
rimaste gravemente ferite da colpi di fucile.
Questo alto numero di palestinesi
colpiti alle ginocchia dai soldati, probabilmente rimasti disabili per
sempre, hanno ricordato a tutti molti altri feriti in modo simile nei
recenti raid.
“I notiziari vi dicono che non ci sono
stati morti, solo feriti, perciò tutti si tranquillizzano senza rendersi
conto delle sofferenze che stiamo passando,” dice N., 23 anni, in una
conversazione con Haaretz. Dice di essere stato colpito a una gamba da
una pallottola due anni fa, mentre soccorreva un altro ferito e lo
portava in salvo. Si parlò di amputargli la gamba, ma lui era deciso a
tenerla e ha trovato delle cure adeguate in Germania. Tuttora cammina
con una stampella, ma non parla del suo dolore.
Due ragazzi di 15 e 16 anni e uomini
intorno ai vent’anni, arrancano con le stampelle per i vicoli scoscesi
del campo. Sono stati feriti durante lo scorso anno, o prima ancora.
Ognuno di loro ha subito complessi interventi chirurgici, e ne subiranno
altri. E ciascuno deve affrontare un costante monitoraggio e ripetute
pulizie alle ferite per rimuovere i frammenti dei proiettili, ed
assumere farmaci antinfiammatori e sostituire le protesi di platino. Uno
dei giovani ha avuto la gamba amputata.
Questi ragazzi parlano con cognizione di
causa di farmaci anticoagulanti, di differenti tipi di antidolorifici e
di operazioni. Raccontano di lunghi mesi in cui non potevano fare una
doccia o andare al bagno senza essere accompagnati, di muscoli
indeboliti, del desiderio di camminare senza assistenza.
Qualcuno ha visto il cecchino che li ha
colpiti prendere la mira, con un ufficiale alle sue spalle. Qualcuno
ricorda i mirini telescopici sul fucile, altri parlano di un treppiede
usato dal cecchino. Qualcuno ipotizza che sono stati colpiti da un
cecchino posizionato sull’alto edificio fuori dal campo.
Alcuni dei feriti hanno ottenuto le
stampelle dove potevano – a volte sono spaiate, e alcune hanno la gomma
così consumata che li fa scivolare. Le cure sono costose ed anche
prendere un taxi per andare all’ospedale per i controlli è un peso
economico.
Molti di loro non hanno assicurazione
sanitaria, ma gli interventi chirurgici vengono comunque eseguiti. Però
talvolta solo un’operazione all’estero potrebbe salvare una gamba e ciò
rappresenta un problema finanziario più grave. Ci vogliono capacità e
determinazione per ottenere una donazione da una delle istituzioni
dell’Autorità Nazionale Palestinese.
Parecchi di loro sono stati arrestati
subito dopo l’intervento chirurgico, o prima di una seconda operazione, e
condannati ad alcuni mesi di carcere e ad una multa. La convinzione dei
feriti – di rappresentare il proprio popolo ed un principio, e di
contrastare gli attacchi nemici al loro campo tirando pietre – viene
sostituita da uno schiacciante senso di solitudine nel momento in cui
affrontano le conseguenze delle loro ferite.
Molti nel campo di Deheisheh sono
convinti che dietro tutto ciò ci sia la mano del “capitano Nidal” – un
ufficiale del servizio di sicurezza dello Shin Bet che si accanisce sul
campo perché qualcuno lo ha fotografato durante uno dei raid e lo ha
postato su Facebook.
A febbraio è comparso nel campo uno
striscione con i simboli di Fatah e dell’FPLP (Fronte Popolare per la
Liberazione della Palestina, gruppo storico della resistenza marxista,
ndtr.). Con una spacconata tipica della parte più debole l’avviso
conteneva la promessa che le pietre del campo avrebbero colpito “Nidal e
i soldati”.
Nel campo si racconta che durante gli
interrogatori, al telefono o nelle visite notturne nelle case del campo,
il capitano Nidal dice ai ragazzi che non ci saranno martiri nel campo,
ma “tutti voi finirete sulle stampelle”. O, secondo un’altra versione,
“Vi renderemo tutti disabili”.
Il capitano Nidal (il nome che ha
adottato è sacrilego, poiché significa “lotta” in arabo) fece la sua
comparsa nel campo 18 mesi o due anni fa – i miei interlocutori non
riescono a ricordare esattamente quando. Qualcuno ha detto ad Haaretz
che diverse organizzazioni internazionali hanno denunciato il suo
comportamento brutale. E’ scomparso per alcuni mesi, ma poi è ritornato.
E’ anche emerso che nel villaggio di
Tekoa, più ad est, circa altri venti ragazzi sono stati colpiti alle
gambe nell’arco di pochi mesi. Nel loro caso, si tratta di un “ capitano
Imad” dello Shin Bet (è questo il nome che i funzionari del comune
ricordano, benché non ne siano sicuri al 100 percento). Gli abitanti
dicono che lui promette ai giovani che se affronteranno i soldati quando
fanno le incursioni verranno azzoppati. E molte delle ferite da
pallottole nel villaggio di Al-Fawwar, attaccato anch’esso dall’esercito
due settimane fa, erano alle ginocchia.
In altri termini, Deheisheh non è solo, non è l’unico.
Un portavoce dell’esercito dice che i
soldati usano fucili Ruger nei loro raid. I giornalisti (e probabilmente
il portavoce) dicono che si tratta di un’arma non letale. Ma questa
affermazione è falsa, o è un tentativo di trarre in inganno. Almeno
quattro palestinesi disarmati, compreso un minore, sono stati uccisi
dalle pallottole calibro 22 sparate da fucili Rugers negli ultimi 18
mesi. Sembra che il diciottenne Mohammed Abu Hashash [colpito durante
scontri con le forze israeliane, ndt] sia stato anch’egli ucciso nello
stesso modo ad Al-Fawwar [campo profughi nei pressi di Hebron, ndt] la
settimana scorsa.
Ad Hebron e Deheisheh sono stati creati
dei comitati per prendersi cura dei feriti. In molti luoghi sta
crescendo l’impressione che l’esercito stia intensificando l’uso di
pallottole vere negli scontri con ragazzi disarmati che tirano pietre, e
che le ferite provocate siano deliberatamente più gravi. Ci devono
essere più di 100 persone in Cisgiordania, compresi molti minori, che
sono stati azzoppati dall’esercito israeliano nello scorso anno. Ma non
si dispone ancora di informazioni o di dati che confermino l’apparente
tendenza.
L., di Tekoa, dice che suo padre era
così arrabbiato con lui quando è stato ferito, che si è rifiutato di
andarlo a trovare in ospedale o di parlargli per i primi due giorni;
solo più tardi si è calmato. L. confessa che non sfiderà nuovamente i
soldati israeliani, anche se si trovava molto lontano da loro quando è
stato colpito da un cecchino.
Y., un quindicenne di Deheisheh, è
tornato dall’ospedale solo la settimana scorsa dopo avervi trascorso due
settimane. Suo padre, che è sempre stato accanto a lui, ha detto: “Sono
stati i soldati a venire verso di noi, verso le nostre case. Non siamo
andati noi da loro.”
Ho incontrato 12 persone ferrite in tre
giorni. Per i “fortunati”, la pallottola ha colpito solo i loro muscoli.
Altri hanno avuto le ossa fratturate o i nervi ed i tendini lacerati o
bruciati, o entrambe le cose.
A. è stato colpito da due pallottole ed è
rimasto in coma 10 giorni. Tutti pensavano che sarebbe morto. I suoi
amici non hanno lasciato il suo letto finché non si è svegliato, bianco
come un cencio.
In alcuni casi la pallottola è entrata
in una gamba, ne è uscita ed è entrata nell’altra, provocando un esteso
danno. Alcuni ragazzi sono stati colpiti dai soldati due volte, in
ognuna delle gambe. E’ ciò che è successo a Y. ed al suo amico H., che
cercava di soccorrerlo.
Y. era fuori dalla sua casa all’alba
quando ha visto avvicinarsi 20 soldati. E’ stato colpito ad una gamba ed
è caduto. H., di 18 anni, è corso in suo aiuto, lo ha sollevato e si è
diretto verso la loro casa. Allora un soldato ha sparato ad H., che
cercava di andare avanti, mentre sorreggeva Y. Ma un soldato gli ha
sparato di nuovo, lui è inciampato ed entrambi sono caduti. Allora Y. è
stato nuovamente colpito all’altra gamba.
L’altro effetto farfalla
“Appena sono stato colpito, il mio piede
tremolava come un pezzo di carta al vento”, racconta M., diciannove
anni, di Deheisheh, a cui hanno sparato lo scorso dicembre. Ha subito
sette operazioni, ma tuttora non può reggere alcun peso sul suo piede.
Dice anche che i soldati sparavano alle persone che cercavano di
soccorrerlo. Tra uno svenimento e l’altro, si è reso conto che veniva
trasportato dai suoi amici dalla casa al cortile e dal cortile alla
casa, per metterlo su una macchina che lo portasse all’ospedale.
L., il ragazzo di Tekoa, ha ripetuto ciò
che il suo medico aveva descritto: la pallottola agisce come una
farfalla, muovendosi dentro la gamba e distruggendo ciò che trova prima
di fuoruscire. La gente che riferisce delle ferite nella zona di Hebron
ha usato un’altra immagine – quella di un trapano.
La maggior parte dei ragazzi feriti ha
deciso di non spiegare le circostanze del loro ferimento con un
giornalista israeliano. Hanno preferito non ammettere che stavano
tirando pietre ai soldati che sono comparsi all’alba o dopo mezzanotte
nei vicoli del campo per arrestare i loro amici o vicini, o per
consegnare una convocazione di interrogatorio.
Uno ha raccontato che gli era successo
di svegliarsi presto quel mattino, un altro che stava viaggiando fuori
Betlemme, un terzo che stava pregando, un quarto che stava lavorando al
supermercato. “In breve, stavate tutti andando a comprarvi un gelato
alle tre del mattino,” ho concluso io, e loro si sono messi a ridere.
Yazan Laham, comunque, non stava andando
a comprare un gelato alle 2 e mezza del mattino del 28 luglio, e non
stava nemmeno affrontando i soldati. Il ventiduenne era stato fuori con
gli amici e stava accompagnando a casa uno di loro con la jeep di suo
padre.
Laham è un ufficiale del Mukhabarat (il
servizio di intelligence palestinese). Ha studiato sicurezza per 4 anni
all’università Al-Istiqlal di Gerico, che forma reclute per i servizi di
sicurezza palestinesi. Suo padre, Mohammed Laham, è un membro di Fatah
al parlamento palestinese; è un membro veterano del movimento che,
durante la seconda intifada, ha impedito a uomini armati a Deheisheh di
fare fuoco dall’interno del campo, in modo che l’esercito non avesse la
scusa per distruggerlo.
Il giovane Laham ha raccontato ad
Haaretz che due soldati sulla strada principale hanno intimato a lui e
ai suoi tre amici di fermarsi e scendere dalla jeep vicino distributore
di benzina di Al-Huda, a nord del campo. Laham ha detto loro di far
parte delle forze di sicurezza palestinesi, ma questo non li ha
impressionati. Uno di loro era un cecchino. I soldati hanno detto loro
di mettersi accanto ad un negozio di gommista lì vicino. Di tanto in
tanto, il cecchino sparava e poi correva con un altro soldato dietro la
jeep di Laham.
I soldati hanno detto a Laham di dire ai
ragazzi che tiravano pietre di smetterla. Lo hanno fatto, ma poi i
soldati hanno ricominciato a sparare. Lui ha protestato e discusso con
loro e i soldati lo hanno picchiato, dice. Dopo più di un’ora, lo hanno
lasciato tornare alla jeep con i suoi amici. Stava andando verso la
jeep, a distanza di 10 metri, quando è stato colpito alla gamba
sinistra. Non ha visto chi gli ha sparato, ma lo ha fatto con un fucile
Ruger. Ha subito due operazioni e cammina con le stampelle, incapace di
appoggiare il piede. Lo attende un lungo periodo di fisioterapia.
Suo padre, Mohammed, quella notte era a
Ramallah. Suo cognato, Nasser Laham – giornalista e capo redattore del
sito web Maan – è riuscito a raggiungerlo solo alle 10 del mattino del
giorno seguente. “Mi ha detto che cosa era successo a Yazan,” dice
Mohammed Laham. “Gli ho chiesto se fosse morto. Nasser mi ha assicurato
di no, perciò gli ho detto ‘allora non va così male’. Che cosa potevo
dire?
Non ho parlato pubblicamente di questo.
Ci sono così tanti feriti. Ogni giorno ne visito qualcuno, quindi perché
dovrei parlare solo di mio figlio? Ma quella notte ho parlato con il
presidente (Mahmoud Abbas). Gli ho detto che c’era un’evidente
escalation da parte di Israele. Perché c’è bisogno di 50 soldati per
recapitare una convocazione di interrogatorio? Gli ho detto che erano
tecnici, non soldati, quelli che sparavano. Sono tecnici con dei
cavalletti che mirano attentamente alle ginocchia.”
Il portavoce dell’esercito israeliano ha
risposto a queste accuse affermando: “Le nostre forze in Giudea e
Samaria [la Cisgiordania secondo la definizione israeliana, ndt] seguono
le regole di ingaggio, che non sono state cambiate di recente. Ogni
incidente con pallottole vere viene riferito ai comandanti. Le attività
dell’esercito nel campo di Deheisheh sono normalmente accompagnate da
azioni di disturbo violente e dal lancio di congegni esplosivi verso le
nostre forze.
Nei due incidenti a cui si riferisce
questa storia l’esercito è entrato nel campo per eseguire degli arresti.
Durante l’operazione sono stati lanciati ordigni esplosivi contro le
nostre forze e ne sono seguiti violenti disordini. L’esercito ha
risposto impiegando misure per disperdere i tumulti, compresi colpi di
fucili Rugers. Un’indagine preliminare ha dimostrato un comportamento
non inusuale da parte dell’esercito, ma vi saranno ulteriori indagini.”
Lo Shin Bet intanto ha risposto:
“Nell’ambito delle attività degli ufficiali dei servizi di sicurezza al
fine di garantire la sicurezza della regione e proteggere i residenti
dalle minacce dei terroristi, essi mantengono un dialogo quotidiano con i
residenti del luogo. Le accuse sollevate nel vostro articolo sono state
prese in esame e riscontrate prive di fondamento.”
(Traduzione di Cristiana Cavagna)
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