Ambasciatore curdo: Il mio popolo è stato usato e abbandonato dagli Usa
Continua
l’offensiva turca in territorio siriano, oltre 50 carri armati
oltreconfine. Ankara parla di “25 terroristi curdi uccisi”. Attivisti
pro-diritti umani ribattono:…
Di AsiaNews.it
Continua l’offensiva turca in territorio
siriano, oltre 50 carri armati oltreconfine. Ankara parla di “25
terroristi curdi uccisi”. Attivisti pro-diritti umani ribattono: vittime
civili. In Cina a margine del G20 faccia a faccia fra Erdogan e Obama.
Saywan S. Barzani: "In Medio oriente vivono guerre di procura, serve
accordo fra Washington e Mosca".
Membej (AsiaNews) - Gli Stati Uniti “hanno usato i curdi” e poi
“li hanno abbandonati” come è già successo in passato, sono eventi “che
si trascinano ormai da un secolo”. È quanto denuncia ad AsiaNews
Saywan S. Barzani, ambasciatore irakeno in Olanda e nipote di Massoud,
governatore del Kurdistan, che parla di “guerre di procura” combattute
in Medio oriente “fra diversi Paesi, dietro i quali vi sono americani e
russi”. Serve “un accordo”, aggiunge il leader curdo, fra “le due
potenze mondiali… Usano la religione e le ideologie per una guerra di
economia e di influenza”.
Nel nord della Siria continua l’invasione turca, in violazione del diritto internazionale, per fermare l’avanzata delle milizie curde. Ieri il governo di Damasco ha inviato una lettera al segretario generale Onu Ban Ki-moon e al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, in cui accusa la Turchia di “invasione, attacchi e crimini contro l’umanità” commessi ai danni di “civili inermi”.
Sono arrivati a 50 i carri armati turchi entrati in territorio siriano, che continuano ad avanzare cercando di andare oltre la missione prefissata - e applaudita dagli Stati Uniti - di “combattere Daesh [acronimo arabo per lo Stato islamico]”. Finora, in realtà, nessuna postazione dei jihadisti è stata davvero bombardata dall’esercito di Ankara oltreconfine.
Il vecchio sogno di Ankara, ambito da almeno cinque anni, di creare una zona cuscinetto fra Siria e Turchia sembra essere il vero scopo di questo intervento diretto dei turchi nel conflitto siriano. Esso mira soprattutto ad impedire ai curdi di realizzare il sogno di “Rojava”, la provincia autonoma curdo-siriana. Insieme alla Provincia autonoma del Kurdistan irakeno, essa avrebbe rappresentato l’incoraggiamento più esplicito alla secessione dei curdi in Turchia, per unirsi ai fratelli oltre-confine e creare la tanto ambita Federazione del Kurdistan unito e indipendente.
L’occupazione militare turca di una parte del nord della Siria ha, per ora, spezzato questo sogno, interrompendo la continuità territoriale curda fra Ain el Arab ed Afrin, a Jarablus e Mirado. Una avanzata fermata all’improvviso, dopo aver occupato circa 30 villaggi a sud di Jarablus nell’Hinterland nord-ovest della provincia di Aleppo.
Su esplicita richiesta di Washington, i curdi siriani si sono ritirati dalle sponde est dell’Eufrate, con rammarico e rancore. Brucia ancora il voltafaccia degli Stati Uniti, che hanno negato il sostegno ai curdi nel caso fossero rimasti sulla sponda del fiume, dopo averli incoraggiati a lungo nei mesi scorsi a occupare Membej e cacciare i combattenti di Daesh. La sensazione è che le vittime fra i curdi, caduti per liberare Membej su richiesta statunitense, siano caduti “invano” e oggi accusano tutti: Washington, Mosca, Teheran, Damasco, Tel Aviv, colpevoli di averli abbandonati e traditi.
Secondo quanto riferisce il governo di Ankara, ieri gli attacchi aerei dell’aviazione militare turca hanno ucciso “25 terroristi curdi” e aver “distrutto cinque palazzi usati come sedi” nel nord della Siria. L’Osservatorio siriano per i diritti umani ha parlato di decine di vittime civili, morte a causa dei bombardamenti turchi a sud di Jarablus. Sul fronte turco, l’agenzia di stampa turca Dogan parla di un soldato morto e due feriti, oltre al danneggiamento di due carri armati colpiti da missili.
Intanto è previsto un incontro fra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il presidente Usa Barack Obama in Cina, il prossimo 4 settembre, a margine del summit del G20 che si terra ad Hangzhou. Si tratta del primo faccia a faccia fra i due leader dopo il fallito colpo di Stato in Turchia; secondo quanto riferisce la Casa Bianca, al centro della discussione la situazione nel nord della Siria in seguito all’invasione turca e le modalità della “lotta contro Daesh”.
Interpellato da AsiaNews Saywan S. Barzani sottolinea che “le guerre in Medio oriente”, anche quella contro il sedicente Stato islamico “sono create ad arte” e sono il frutto dello scontro fra due fronti. Da un lato Iran e Siria, che sono sotto l’ombrello della Confederazione russa; e, dall’altro, Europa, Stati Uniti, Arabi e Turchia, dove però vi sono interessi contrapposti in gioco, sono divisi fra loro e perseguono obiettivi alle volte contrapposti.
“Serve un accordo internazionale - aggiunge l’ambasciatore irakeno in Olanda - per mettere ordine in una zona del mondo in cui vige l’anarchia, in cui i curdi da oltre un secolo sono oggetto di abusi, violenze, vittime di genocidio e persecuzioni”. Il Medio oriente, conclude, “ha bisogno di democrazia, di apertura, di laicità, ma anche di protezione da parte della comunità internazionale. Serve che l’Occidente e i Paesi liberi sostengano governi democratici e aperti… Invece nelle zone teatro del conflitto si trovano miliziani provenienti da oltre 102 nazioni: parlano di problema terrorismo, ma la realtà sono i diversi interessi delle potenze internazionali”. (PB)
Nel nord della Siria continua l’invasione turca, in violazione del diritto internazionale, per fermare l’avanzata delle milizie curde. Ieri il governo di Damasco ha inviato una lettera al segretario generale Onu Ban Ki-moon e al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, in cui accusa la Turchia di “invasione, attacchi e crimini contro l’umanità” commessi ai danni di “civili inermi”.
Sono arrivati a 50 i carri armati turchi entrati in territorio siriano, che continuano ad avanzare cercando di andare oltre la missione prefissata - e applaudita dagli Stati Uniti - di “combattere Daesh [acronimo arabo per lo Stato islamico]”. Finora, in realtà, nessuna postazione dei jihadisti è stata davvero bombardata dall’esercito di Ankara oltreconfine.
Il vecchio sogno di Ankara, ambito da almeno cinque anni, di creare una zona cuscinetto fra Siria e Turchia sembra essere il vero scopo di questo intervento diretto dei turchi nel conflitto siriano. Esso mira soprattutto ad impedire ai curdi di realizzare il sogno di “Rojava”, la provincia autonoma curdo-siriana. Insieme alla Provincia autonoma del Kurdistan irakeno, essa avrebbe rappresentato l’incoraggiamento più esplicito alla secessione dei curdi in Turchia, per unirsi ai fratelli oltre-confine e creare la tanto ambita Federazione del Kurdistan unito e indipendente.
L’occupazione militare turca di una parte del nord della Siria ha, per ora, spezzato questo sogno, interrompendo la continuità territoriale curda fra Ain el Arab ed Afrin, a Jarablus e Mirado. Una avanzata fermata all’improvviso, dopo aver occupato circa 30 villaggi a sud di Jarablus nell’Hinterland nord-ovest della provincia di Aleppo.
Su esplicita richiesta di Washington, i curdi siriani si sono ritirati dalle sponde est dell’Eufrate, con rammarico e rancore. Brucia ancora il voltafaccia degli Stati Uniti, che hanno negato il sostegno ai curdi nel caso fossero rimasti sulla sponda del fiume, dopo averli incoraggiati a lungo nei mesi scorsi a occupare Membej e cacciare i combattenti di Daesh. La sensazione è che le vittime fra i curdi, caduti per liberare Membej su richiesta statunitense, siano caduti “invano” e oggi accusano tutti: Washington, Mosca, Teheran, Damasco, Tel Aviv, colpevoli di averli abbandonati e traditi.
Secondo quanto riferisce il governo di Ankara, ieri gli attacchi aerei dell’aviazione militare turca hanno ucciso “25 terroristi curdi” e aver “distrutto cinque palazzi usati come sedi” nel nord della Siria. L’Osservatorio siriano per i diritti umani ha parlato di decine di vittime civili, morte a causa dei bombardamenti turchi a sud di Jarablus. Sul fronte turco, l’agenzia di stampa turca Dogan parla di un soldato morto e due feriti, oltre al danneggiamento di due carri armati colpiti da missili.
Intanto è previsto un incontro fra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il presidente Usa Barack Obama in Cina, il prossimo 4 settembre, a margine del summit del G20 che si terra ad Hangzhou. Si tratta del primo faccia a faccia fra i due leader dopo il fallito colpo di Stato in Turchia; secondo quanto riferisce la Casa Bianca, al centro della discussione la situazione nel nord della Siria in seguito all’invasione turca e le modalità della “lotta contro Daesh”.
Interpellato da AsiaNews Saywan S. Barzani sottolinea che “le guerre in Medio oriente”, anche quella contro il sedicente Stato islamico “sono create ad arte” e sono il frutto dello scontro fra due fronti. Da un lato Iran e Siria, che sono sotto l’ombrello della Confederazione russa; e, dall’altro, Europa, Stati Uniti, Arabi e Turchia, dove però vi sono interessi contrapposti in gioco, sono divisi fra loro e perseguono obiettivi alle volte contrapposti.
“Serve un accordo internazionale - aggiunge l’ambasciatore irakeno in Olanda - per mettere ordine in una zona del mondo in cui vige l’anarchia, in cui i curdi da oltre un secolo sono oggetto di abusi, violenze, vittime di genocidio e persecuzioni”. Il Medio oriente, conclude, “ha bisogno di democrazia, di apertura, di laicità, ma anche di protezione da parte della comunità internazionale. Serve che l’Occidente e i Paesi liberi sostengano governi democratici e aperti… Invece nelle zone teatro del conflitto si trovano miliziani provenienti da oltre 102 nazioni: parlano di problema terrorismo, ma la realtà sono i diversi interessi delle potenze internazionali”. (PB)
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