#OpenGaza. 600mila firme per la fine del blocco della Striscia. L’appello delle Ong

#OpenGaza. 600mila firme per la fine del blocco della Striscia. L’appello delle Ong

di Gaia Pascucci
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ROMA – Un anniversario da ricordare per far tornare a vivere Gaza. A due anni dall’operazione “Protective Edge”, infatti, gran parte della Striscia è ancora in rovina. Interi quartieri non hanno acqua corrente, ospedali e centri sanitari ancora distrutti dai bombardamenti dell’estate 2014. Meno del 10% delle 11.000 case distrutte sono state riabilitate. Sono più di 75.000 i palestinesi di Gaza ancora sfollati. A frenare la ricostruzione il blocco dei confini che impedisce l’entrata dei materiali edili e di beni di prima necessità. E’ quanto denunciano Terre des Hommes e Cospe, rilanciando l’appello #OpenGaza di AIDA, l’associazione delle 80 Ong internazionali attive nei Territori Occupati Palestinesi, che chiede l’abolizione del blocco e il mantenimento delle promesse d’aiuto fatte dalla comunità internazionale, attraverso una petizione online che ha già raggiunto 600mila firme.
«Secondo la legge internazionale il blocco è una misura illegale in quanto costituisce una punizione collettiva per l’intera popolazione – dichiara Piera Redaelli, responsabile dei progetti di Terre des Hommes in Palestina. Solo la sua fine immediata potrà portare alla ricostruzione dei servizi essenziali, alla ripresa dell’economia e alla sicurezza a lungo termine dei Palestinesi e Israeliani».
È sui bambini che l’impatto del blocco di Gaza è più preoccupante. Su 1,8 milioni di abitanti, la metà è costituita da minori. Centinaia di bambini che necessitano di cure vitali, non possono essere curati adeguatamente perché non possono lasciare la Striscia. E i traumi causati dal conflitto hanno segnato un’intera generazione: si calcola che siano almeno 300.000 i bambini bisognosi di un supporto psicologico e psicosociale.
«Israele deve rispondere della grave situazione di emergenza in corso a Gaza da ormai diversi anni, dal momento che controlla quasi completamente l’intero confine, via terra e via mare, con la Striscia- commenta Giorgio Menchini, presidente COSPE. È compito della comunità internazionale esigere il rispetto dei diritti umani, ponendoli alla base delle relazioni commerciali e diplomatiche con lo stato di Israele».
Il tasso di disoccupazione generale nella Striscia è oltre il 40%, quello tra i giovani – che supera il 60% – è uno dei più alti del mondo. L’80% della popolazione è dipendente dagli aiuti internazionali per le sue necessità quotidiane. La comunità internazionale ha promesso di inviare fondi sufficienti per la ricostruzione. Finora solo un terzo dei fondi promessi (3,51 miliardi di dollari) è stato stanziato e gli sforzi diplomatici non hanno prodotto a un reale cambiamento delle condizioni drammatiche della popolazione civile.
«A meno di progressi immediati, i palestinesi che vivono a Gaza non saranno in grado di portare avanti la loro vita e vivere in libertà, dignità e sicurezza- dichiara Chris Eijkemans, direttore di Oxfam in Palestina. I leader mondiali hanno promesso di lavorare per uno sviluppo sostenibile e di lungo periodo per i palestinesi che vivono a Gaza. Tuttavia, ci sono poche evidenze realmente concrete di tali promesse».
A seguito dell’operazione israeliana “Protective edge” (7 luglio – 26 agosto 2014)  un gruppo di Ong italiane presenti in Palestina (Terre des Hommes, CISP, COSPE, CISS, CRIC, Medina, Overseas, Coopi, ACS, ARCS, ARCI, GVC, VIS, EducAid, Vento di Terra, Nexus) hanno lanciato un appello di raccolta fondi per aiutare la popolazione della Striscia di Gaza. Complessivamente sono stati raccolti 166.760 euro che hanno permesso di acquistare farmaci salvavita e materiali medicali indispensabili per l’ospedale di Shifa e per la Palestinian Medical Relief Society (PMRS), associazione di medici che opera da oltre 30 anni a Gaza. Una parte dei fondi sono stati utilizzati per la distribuzione di aiuti umanitari agli sfollati.
Per firmare la petizione online dell’AIDA: https://secure.avaaz.org/en/gaza_blockade_aida/

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