I morti di Kabul e la minoranza hazara de «Il cacciatore di aquiloni»
«Per anni tutto ciò che avevo saputo di loro era che discendevano dai
mongoli e che somigliavano ai cinesi». Amir, il protagonista de «Il
Cacciatore di aquiloni», è ancora piccolo. Non sa ancora che la sua
gente, i pashtun, ha da sempre schiacciato senza pietà gli Hazara, il
popolo del suo amico Hassan. È quando Hassan viene violentato dai
compagni di scuola che Amir capisce: gli uomini non sono tutti uguali.
Il suo fratellastro è stato stuprato perché è «un mangiaratti», «un naso
piatto». Uno schiavo hazara non può vincere contro un gruppo di bulli.
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Kabul, la strage al corteo degli hazara
Sciiti, poveri, una maggioranza trasformata in minoranza,
discendenti di Gengis Khan che la storia ha sempre cercato di
cancellare. Nel corso dei secoli sono diventati questo gli hazara. «Gli
esclusi», come li ha definiti un reportage di Phil Zabriskie sul National Geographic del
2010. I trenta milioni che sono sopravvissuti alle persecuzioni oggi
vivono per lo più nella Hazarajat, regione centrale dell’Afghanistan. Il
loro bastione è la provincia di Bamiyan, una delle più povere del
Paese. Alla fine dell’Ottocento vengono massacrati dal re Amir Abdul
Rahman Khan che ordina lo sterminio di tutti gli sciiti. Vengono ridotti
in schiavitù. Le donne violentate, gli uomini deportati. A coltivare le
terre, sotto gli occhi dei due Buddha giganti che hanno visto passare i
mercanti sulla Via della seta, non rimane più nessuno per molto tempo.
Passano più di 90 anni. E all’odio dei pashtun si
aggiunge anche quello dei talebani. «Gli Hazara non sono musulmani,
potete ucciderli» grida il capo dei talebani Maulawi Mohammed Hanif di
fronte alla folla inferocita. Secondo Human Rights Watch,
in un solo giorno, vengono distrutte più di 4.000 case. Intere città
vengono rase al suolo. Come ricorda Zabriskie, un detto taliban sui
gruppi etnici non pashtun dell’Afghanistan recita: «I tagichi in
Tagikistan, gli uzbechi in Uzbekistan e gli Hazara in goristan». Ossia,
al cimitero. Ma gli Hazara sopravvivono anche alla furia del jihad.
Quando arriva l’11 settembre l’offensiva contro l’Hazarajat è al
culmine. I Buddha giganti che vigilavano sulla regione sono già stati
distrutti. Eppure il Bamiyan riesce a diventare una delle province più
sicure dell’Afghanistan. Niente oppio, niente morte, almeno per qualche
anno.
La costituzione del 2004 finalmente garantisce agli
Hazara la parità di diritti. I giovani iniziano a frequentare le
università. Sotto la presidenza di Hamid Karzai vengono ben
rappresentati. Si forma una classe media che riesce a uscire dai ghetti
di Kabul, dove l’acqua e l’elettricità non arrivano. Ma è difficile
strapparsi di dosso quell’etichetta, di schiavi. Impossibile anche
quando nella tua terra manca la luce. Faticoso quando i tuoi fratelli
sono scappati in Europa o in Iran in cerca di un futuro migliore.
«Stiamo assistendo ad un aumento di violenza», spiega Luca Radaelli che
in Afghanistan ha lavorato per sette anni con Emergency. «Ma il rischio è
che l’attentato di ieri rivendicato dall’Isis, gruppo terroristico
sunnita, contro la minoranza sciita non sia certo l’ultimo». E la paura è
che gli aquiloni di Hassan e Amir smettano di nuovo di volare.
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