Hussein Abu Khdeir: “Demolite le case anche dei terroristi ebrei”. Israele: “Non è necessario”


 

 

 

Hussein Abu Khdeir: “Demolite le case anche dei terroristi ebrei”. Israele: “Non è necessario”






di Michele Giorgio – Il Manifesto
Gerusalemme, 9 luglio 2016, Nena News – Non si arrende Hussein Abu Khdeir. Non è soddisfatto della condanna all’ergastolo di Yosef Ben David e dei suoi complici (due minori) che il 1 luglio di due anni fa bruciarono vivo suo figlio Mohammad, 16 anni. Fu una feroce vendetta per il sequestro e l’omicidio di tre giovani coloni ebrei compiuto da una cellula di Hamas qualche settimana prima in Cisgiordania. Due giorni fa, attraverso il suo avvocato, ha presentato la richiesta di demolizione delle abitazioni dei tre assassini di Mohammed. Se la legge è uguale per tutti, dice Hussein Abu Khdeir, anche le case dei condannati devono essere abbattute, come accade per i palestinesi responsabili di «atti di terrorismo». «Lo Stato deve operare contro i terroristi ebrei come fa con i palestinesi. Così come vengono chiuse e demolite le case dei terroristi palestinesi lo stesso deve essere fatto agli ebrei», ha scritto il suo avvocato ai giudici israeliani.
È una sfida aperta, portata ai livelli più alti, che viene lanciata al sistema legale di Israele che afferma di non fare, nelle sue corti, differenze tra ebrei e palestinesi. Tutti sarebbero giudicati allo stesso modo. Yosef Ben Simon e i suoi complici in effetti hanno ricevuto pene molto dure per il crimine che hanno commesso. Da qualche mese però il governo Netanyahu ha introdotto una serie di misure di «deterrenza» per fermare l’Intifada di Gerusalemne, tra queste la demolizione delle abitazioni dove vivevano i «terroristi». È una punizione collettiva che colpisce tutti i familiari degli autori di attacchi tentati o realizzati, inclusi i vecchi e i bambini che, pur non avendo commesso alcun reato, si ritrovano all’improvviso in mezzo alla strada. Negli ultimi mesi i bulldozer dell’esercito e della polizia hanno ridotto in macerie le case di diversi attentatori. L’ultima volta qualche giorno fa nel campo profughi di Qalqiliya (Cisgiordania) dove sono poi scoppiati scontri violenti tra esercito e abitanti, con almeno 10 palestinesi feriti da proiettili veri.
A quanto pare la deterrenza vale solo nel caso dei palestinesi. Il mese scorso il ministero della difesa ha comunicato  di non vedere alcuna ragione per ordinare la demolizione della casa di Ben David e dei suoi complici. «Tenendo presente l’entità del fenomeno di crimini ostili (terrorismo, ndr) da parte della comunità ebraica non appare necessario applicare questo potere di deterrenza», ha scritto il consigliere legale in una lettera inviata alla famiglia Abu Khdeir. Parole che hanno scatenato la rabbia di Hussein Abu Khdeir al quale peraltro qualche mese fa proprio le autorità israeliane avevano offerto di inserire il nome del figlio nell’elenco ufficiale di vittime del terrorismo. «Se non avrò giustizia dall’Alta Corte non esiterò a rivolgermi ai tribunali internazionali» avverte Hussein «quanto è accaduto a mio figlio è gravissimo, è stato bruciato vivo, queste cose le facevano i nazisti. Voglio che (gli israeliani) facciano agli assassini di Mohammed quanto applicano nei confronti dei palestinesi, voglio la distruzione delle loro abitazioni».  Hussein Abu Khdeir respinge le motivazioni date dal consulente legale del ministero della difesa. Sottolinea che gli atti di terrorismo ebraico non sono così infrequenti come sostengono le autorità israeliane. Lo dicono, aggiunge, le violenze e le intimidazioni dei militanti del “Tag Mechir” (prezzo da pagare), a cominciare dall’uccisione di Ali Dawabsha e dei suoi genitori, bruciati un anno fa a Kfar Douma nel rogo della loro abitazione innescato dalle molotov lanciate da alcuni coloni ebrei.

È  determinato ma non si fa illusioni il padre di Mohammed Abu Khdeir. Non crede che i massimi giudici israeliani prenderanno una decisione che finirebbe per scatenare forti reazioni del mondo politico israeliano e da parte dello stesso governo di destra guidato da Benyamin Netanyahu. L’Alta Corte di Giustizia peraltro raramente nella sua storia ha sentenziato in opposizione alle politiche del governo e delle forze armate in materia di sicurezza.
Intanto sulla strage della famiglia Dawabsha è calato di nuovo un velo dopo l’annuncio, a inizio anno, del rinvio a giudizio di due coloni, Amiram Ben Uliel e di un minore. Del procedimento al momento si sa poco o nulla mentre la destra radicale israeliana chiede la scarcerazione dei due imputati e nega che siano i veri responsabili della morte di Ali e dei suoi genitori. Nena News

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