Fulvio Scaglione : Usa e Russia, la guerra dei diplomatici
Prosegue sul fronte diplomatico lo scontro che ormai apertamente oppone Russia e Stati Uniti sullo scacchiere globale. Anzi, dovremmo dire sul fronte “dei diplomatici”,
visto che uno degli strumenti più impiegati è appunto il disturbo o
l’espulsione del personale delle ambasciate e delle rappresentanze
consolari. Gli Stati Uniti hanno appena rimandato a casa due funzionari
dell’ambasciata russa di Washington, ai quali l’espulsione era stata
notificata il 17 giugno. Non perché si fossero macchiati di qualche
colpa ma come risposta a quella che il Dipartimento di Stato ha
considerato un’aggressione ingiustificata a uno dei loro funzionari dell’ambasciata di Mosca.
Il fatto si era svolto nella notte del 6 giugno, quando l’americano aveva cercato di rientrare nell’ambasciata ed era stato fermato da un poliziotto russo. La cosa era finita in rissa, l’americano ne era uscito con una spalla rotta e i due Paesi con un’ulteriore salva di polemiche. Secondo il Dipartimento di Stato Usa, il funzionario aveva regolarmente esibito le proprie credenziali e si era trattato di un atto ingiustificato di violenza. Secondo il ministero degli Esteri russo di un normale controllo, finito male per il rifiuto dell’americano di identificarsi. Questo perché, dicono i russi, non di un funzionario si trattava ma di un agente della Cia che non teneva troppo a farsi riconoscere.
È di fatto impossibile, in questi casi, capire chi dice il vero e chi
spaccia bugie. Forse entrambi fanno entrambe le cose. Un paio di cose,
invece, sono certe. Da un lato, il Dipartimento di Stato ha aperto un
nuovo fronte mediatico che potremmo intitolare “salvate il povero
diplomatico”. Il 25 giugno, proprio in coincidenza con quest’ultima
crisi, il Washington Post è uscito con un articolo intitolato “La Russia sta molestando diplomatici americani in tutta Europa”
in cui, citando messaggi riservati interni tra le ambasciate e il
ministero, si sostiene appunto che la Russia starebbe mettendo pressione
sui funzionari Usa a suon di “dispetti” come introdursi nelle
abitazioni, spostare i mobili, lasciare i rubinetti aperti, defecare sui
tappeti e, in un caso, ammazzare il cane di casa. Questo in aggiunta ai
vecchi e tradizionali sistemi come pedinare i diplomatici e i loro
familiari.
Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, ha ribattuto sostenendo esattamente la stessa cosa, ma al contrario. E cioè che la polizia americana e l’Fbi molestano i diplomatici russi negli Usa, disturbando le loro attività e il loro tempo libero, anche quando sono con i familiari.
E poi c’è il contorno. John Kerry che affronta il problema con Vladimir Putin nell’incontro del 27 giugno. L’assistente segretario di Stato Victoria Nuland, quella che ha investito 5 miliardi di dollari per provocare la “rivoluzione” ucraina, che organizza incontri per discutere delle molestie russe ai diplomatici americani in Europa. E via così.
Al di là degli evidenti problemi reali, a far pensare che si tratti dell’ennesimo esercizio di soft power arriva, sempre sul Washington Post, la testimonianza di Michael McFaul, ora docente a Stanford ma per due anni cruciali (2012-2014) ambasciatore Usa in Russia. Anche McFaul alza un lamento: i suoi familiari, dice, erano seguiti e gli agenti russi facevano apposta a farsi notare per intimidirli ancor più. “Ci fu una vera escalation mentre ero là”, dice McFaul, “e le cose peggiorarono dopo l’invasione dell’Ucraina”.
McFaul, che diede con largo anticipo le dimissioni per “ragioni familiari”, era stato a lungo consigliere di Barack Obama
sulle questioni russe. Arrivato a Mosca da pochi giorni, accolse in
ambasciata i rappresentanti delle organizzazioni che avevano lanciato le
proteste anti-Putin del 2011, tra i quali Boris Nemtsov, Lev Ponomarev
(Gruppo di Helsinki), Sergej Mytrokhin (Partito Yabloko), Leonid
Kalashnikov (Partito comunista) e altri ancora. Pochi giorni dopo, a
fargli visita andò anche Olga Romanova, responsabile finanziaria del
movimento di protesta.
Un gesto poco diplomatico, anzi: un gesto apertamente ostile al Cremlino. Non deve stupire, quindi, che qualcuno a Mosca possa essersela legata al dito. E che i diplomatici americani vengano o no tormentati spostando loro i mobili di casa o lasciando aperti i rubinetti (ma è strano che l’Fsb non abbia pensato anche a rompere le uova nel paniere o mettere la gomma da masticare nel citofono), un’altra cosa è certa: questa Russia non è disposta a farsi intimidire. Negli ultimi tempi sono stati rispediti a casa diplomatici di Polonia, Germania, Svezia, Germania, Canada. Qualche americano, a Mosca, sta già facendo la valigia. E il “fronte dei diplomatici” resterà aperto ancora a lungo.
Il fatto si era svolto nella notte del 6 giugno, quando l’americano aveva cercato di rientrare nell’ambasciata ed era stato fermato da un poliziotto russo. La cosa era finita in rissa, l’americano ne era uscito con una spalla rotta e i due Paesi con un’ulteriore salva di polemiche. Secondo il Dipartimento di Stato Usa, il funzionario aveva regolarmente esibito le proprie credenziali e si era trattato di un atto ingiustificato di violenza. Secondo il ministero degli Esteri russo di un normale controllo, finito male per il rifiuto dell’americano di identificarsi. Questo perché, dicono i russi, non di un funzionario si trattava ma di un agente della Cia che non teneva troppo a farsi riconoscere.
Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, ha ribattuto sostenendo esattamente la stessa cosa, ma al contrario. E cioè che la polizia americana e l’Fbi molestano i diplomatici russi negli Usa, disturbando le loro attività e il loro tempo libero, anche quando sono con i familiari.
E poi c’è il contorno. John Kerry che affronta il problema con Vladimir Putin nell’incontro del 27 giugno. L’assistente segretario di Stato Victoria Nuland, quella che ha investito 5 miliardi di dollari per provocare la “rivoluzione” ucraina, che organizza incontri per discutere delle molestie russe ai diplomatici americani in Europa. E via così.
Al di là degli evidenti problemi reali, a far pensare che si tratti dell’ennesimo esercizio di soft power arriva, sempre sul Washington Post, la testimonianza di Michael McFaul, ora docente a Stanford ma per due anni cruciali (2012-2014) ambasciatore Usa in Russia. Anche McFaul alza un lamento: i suoi familiari, dice, erano seguiti e gli agenti russi facevano apposta a farsi notare per intimidirli ancor più. “Ci fu una vera escalation mentre ero là”, dice McFaul, “e le cose peggiorarono dopo l’invasione dell’Ucraina”.
Un gesto poco diplomatico, anzi: un gesto apertamente ostile al Cremlino. Non deve stupire, quindi, che qualcuno a Mosca possa essersela legata al dito. E che i diplomatici americani vengano o no tormentati spostando loro i mobili di casa o lasciando aperti i rubinetti (ma è strano che l’Fsb non abbia pensato anche a rompere le uova nel paniere o mettere la gomma da masticare nel citofono), un’altra cosa è certa: questa Russia non è disposta a farsi intimidire. Negli ultimi tempi sono stati rispediti a casa diplomatici di Polonia, Germania, Svezia, Germania, Canada. Qualche americano, a Mosca, sta già facendo la valigia. E il “fronte dei diplomatici” resterà aperto ancora a lungo.
Commenti
Posta un commento