Fulvio Scaglione : Fallujah, dove la guerra è bellissima


Prima riflessione: dopo due anni di bombardamenti di scarso effetto, centinaia di miliziani dell’Isis, con tanto di mezzi di trasporto e da combattimento, si fanno beccare come tordi in mezzo al deserto. Che cos’è successo? Quelli dell’Isis, di cui sono state esaltate le capacità operative, sono un po’ rintronati? A furia di combattere e di perdere comandanti, non sono più gli stessi? Qualcosa ci dev’essere, perché il deserto iracheno intorno a Fallujah non è diverso da quello siriano che si estende per 200 chilometri tra Al Raqqa, capitale dello Stato islamico, e Palmira, conquistata dai miliziani dell’Isis nel maggio del 2015. Quanto tempo può essere occorso a una colonna corazzata come quella dell’Isis per percorrere quei 200 chilometri? Quattro, più probabilmente cinque ore? Sollevando nubi di polvere? Ma riuscendo comunque a rimanere invisibile a bombardieri, ricognitori e satelliti occidentali (i russi scenderanno in campo solo nel settembre successivo). Peraltro, per restare in Siria, il deserto di Fallujah, oltre a non essere diverso da quello di Palmira, non è nemmeno diverso da quello di Deir Ezzor, dove da quasi due anni l’Isis cinge d’assedio la guarnigione siriana e soprattutto la città, dove sono intrappolate 200 mila persone.
Seconda riflessione: si fa peccato, anche alla luce di quanto appena detto, a pensare che ci sia un nesso tra questa sorprendente strage di miliziani Isis e la strage avvenuta il giorno prima all’aeroporto di Istanbul (44 morti) per mano di terroristi legati allo stesso Isis? A pensare, cioè, che ci sia stata una sollecitudine americana nel “punire” (giustamente) i terroristi che hanno colpito in modo così orrendo l’alleato Erdogan un po’ superiore a quella impiegata finora contro i terroristi (gli stessi dell’Isis) che si propongono di abbattere Bashar al-Assad e la “sua” Siria? Ammettiamolo: riesce difficile credere che i miliziani dell’Isis siano diventati improvvisamente sbadati e i piloti americani improvvisamente infallibili proprio il giorno dopo Istanbul. Gli uni e gli altri per la prima volta in due anni di guerra. Mentre l’Isis, oltre a combattere Assad, si macchiava di quel “genocidio” denunciato poche settimane fa dal segretario di Stato John Kerry.
Terza riflessione: la prima notizia del raid che ha decimato le truppe dell’Isis vicino a Fallujah è stata data, se non erriamo, dalla Reuters, che ha correttamente riportato come fonte certi “US officials” che parlavano “on condition of anonymity”, ovvero a condizione di restare anonimi. Ok, tutto bene, non cavilliamo. Poiché è un’agenzia seria, però, Reuters (a differenza di tanti altri) non ha potuto fare a meno di ricordare che nella zona a Sud di Falloujah, dove l’Isis ha perso i suoi 250 uomini, “civilians have also been dispiaced”: ci sono anche gruppi di civili fuggiti da Fallujah. In più, aggiungiamo noi, a Fallujah i miliziani dell’Isis si erano insediati due anni e mezzo fa, con tutti i crismi. Il che significa famiglie, donne, bambini. Poiché non risulta che i civili che accompagnano i combattenti islamici siano stati fatti evacuare nelle settimane precedenti l’assedio dell’esercito iracheno, dobbiamo pensare che molti fossero ancora lì, a Fallujah, con i loro padri e mariti disposti a combattere e morire.
Ebbene: qualcuno ha sentito pronunciare l’espressione “vittime civili”, o l’ha letta da qualche parte? 250 miliziani secchi e stop. Morti solo i combattenti. Centro perfetto. Nessun Osservatorio a fare il cacadubbi, questa volta. Nessuna Ong a lamentare (giustamente) le persone innocenti morte mentre i soldati vanno a caccia di terroristi. A Sud di Fallujah, e solo lì, la guerra funziona come un orologio svizzero.

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