Francesco Martone : All’import-export del «modello» israeliano. DDL al Senato -







Sicurezza, parola diventata mantra compulsivo in ogni teoria e attuazione pratica per politica, relazioni internazionali, diritto, economia. Una parola che è come un elastico, la tiri a seconda del bisogno, e quando lo molli, i danni collaterali sono drammatici. Per questo ogni volta che si tratta di sicurezza, in un contesto di guerra asimmetrica che entra fin dentro casa nostra, lo si deve fare con grande cautela, definendone la subordinazione ai diritti umani ed al diritto internazionale. Fa quindi pensare che tra le carte e le agende di lavoro della Commissione Esteri del Senato compare un disegno di legge che dovrebbe richiamare la preoccupazione dei parlamentari e dell’opinione pubblica. E che invece per ora giace lì, acquattato tra i «file», non ancora discusso dopo essere stato presentato dal governo a febbraio scorso.
Spesso queste attese non sono casuali, ma scelte politiche. Come è il silenzio cui il governo Renzi ci ha fin troppo abituato, il far finta di nulla o tacere sulle continue violazioni dei diritti del popolo palestinese, la crescente radicalizzazione della destra israeliana, le reticenze di Nethanyahu ad accettare ogni mediazione internazionale per metter fine all’occupazione militare della Palestina.
Il silenzio è complice per questo è importante aprire quel «file» e renderne noto il contenuto. Giacché questo disegno di legge, il numero S2186 per l’esattezza, riguarda la cooperazione tra Italia ed Israele nel settore della pubblica sicurezza «fatto a Roma il 2 dicembre 2013». E cosa si intende per sicurezza? Dalla collaborazione contro il crimine organizzato, il traffico di sostanze stupefacenti, le immigrazioni illegali, fino alla lotta al terrorismo, e la formazione delle forze di polizia israeliane, lo scambio di expertise per la gestione dell’ordine pubblico, dati sensibili e servizi di intelligence.
È quel riferimento alla lotta al terrorismo che merita una particolare attenzione: oggi in Israele su quei temi si gioca il futuro del paese, quello del popolo palestinese e la capacità o meno di resistere ed opporsi alle politiche di Tel Aviv. Per i palestinesi e per gli israeliani. E perché qui a casa nostra qualcuno vorrebbe l’import-export di quel modello. Due eventi sono lì a dimostrarlo. Il primo è l’approvazione a metà giugno da parte della Knesset di una legge sul terrorismo sostenuta con forza dal ministro della giustizia Ayelet Shaked e che permetterà al governo di mettere fuorilegge qualsiasi ong che «indirettamente» contribuirebbe ad organizzazioni «terroristiche», ampliando notevolmente le prerogative dello stato e le definizioni di terrorismo ed organizzazioni terroristiche.
Mentre lo Shin Bet potrà sorvegliare eventuali sospetti utilizzando mezzi informatici (magari quelli al centro della Campagna «Boycott, Disinvestment, Sanctions»). Questo in un contesto di continue violazioni dei diritti umani da parte delle forze di polizia ed esercito occupanti, maltrattamenti – anche ed in numero crescente di bambini palestinesi – esecuzioni extragiudiziali, persecuzione di difensori dei diritti umani. Se ciò non fosse sufficiente, la Knesset ha approvato a metà luglio a larga maggioranza un’altra legge sui finanziamenti delle Ong che di fatto rende la vita impossibile a quelle organizzazioni che ricevono finanziamenti dall’Unione Europea e si dedicano al monitoraggio dei diritti umani in Israele e Palestina. Un compito improbo, al punto che di recente l’associazione israeliana B’tselem ha deciso di smettere di presentare ricorsi alle autorità per violazioni dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza vista l’impossibilità di ottenere giustizia. Sicurezza appunto. Nessun allarme su diritti umani e diritto internazionale.
Su questo il testo del disegno di legge in Senato è laconico: quando si tratta di valutare eventuali «indicazioni delle linee prevalenti della giurisprudenza ovvero della pendenza di giudizi innanzi la Corte Europea dei diritti dell’Uomo sul medesimo o analogo soggetto» la mano solerte del funzionario scrive «nulla da rilevare». Eppure proprio sulla legge anti-Ong alla voce di protesta del segretario Onu Ban Ki moon si è aggiunta anche quella dell’Ue. Elastici, silenzi e schizofrenie.
Fonte: il manifesto

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