Da Tel Aviv nuove regole d’ingaggio contro l’Intifada


Il centro Adalah per i diritti umani rivela che sono in vigore delle nuove norme che permettono alle forze di sicurezza di sparare munizioni vere su individui «in procinto» di lanciare bottiglie molotov e petardi o che si preparano ad usare una fionda per scagliare sassi

Michele Giorgio   il Manifesto
Gerusalemme, 8 luglio 2016, Nena News – Le immagini girate martedì a una fermata degli autobus nei pressi della colonia ebraica di Ariel mostrano due soldati israeliani che sparano e feriscono gravemente una adolescente palestinese che stringe un coltello in una mano. La ragazza, Jamileh Jaber, di 17 anni di al-Zawiya (Salfit), non ha colpito i militari. Con movimenti goffi agita la sua arma provando ad avvicinarsi a loro. Ma è distante, non in grado di raggiungerli. Loro però sparano subito, la colpiscono all’addome e non alle gambe che avrebbero potuto fare.
Una scena vista tante volte nei nove mesi della nuova Intifada, che in Israele chiamano l'”Intifada dei coltelli” in riferimento agli assalti all’arma bianca tentati o compiuti (e in qualche caso mai avvenuti, affermano i palestinesi) da ragazzini. Le forze di sicurezza negano l’esistenza di ordini che permetterebbero a poliziotti, soldati e anche ai coloni israeliani di fare fuoco per uccidere. I numeri tuttavia dicono che molti degli attentatori palestinesi veri e presunti sono stati “neutralizzati” subito, quelli sopravvissuti sono un numero esiguo.
Uccisioni che i palestinesi denunciano come “esecuzioni extragiudiziali”, figlie di nuove norme che consentirebbero ai militari israeliani di aprire il fuoco con munizioni vere su chi compie o tenta attacchi e anche su chi partecipa a manifestazioni di protesta contro l’occupazione. Il centro Adalah per i diritti umani rivela che sono in vigore delle nuove regole d’ingaggio che permettono alle forze di sicurezza di sparare munizioni vere su individui «in procinto» di lanciare bottiglie molotov e petardi o che si preparano ad usare una fionda per scagliare sassi, una scena abituale da decenni durante manifestazioni e scontri nei Territori occupati.
Uno degli avvocati di Adalah, Mohammad Bassam, avverte che i nuovi regolamenti consentono alla polizia di agire in «maniera incontrollata e criminale». «Queste norme – spiega Bassam – si adattano a un scenario di guerra perché considerano le azioni (dei palestinesi) come atti di guerra. Inoltre non si riferiscono a tutti i lanciatori di pietre. Sono state decise in riferimento solo ai giovani palestinesi che scagliano sassi contro gli israeliani e non anche a quelli israeliani che fanno lo stesso contro i palestinesi». Non tutte le nuove regole d’ingaggio sono note e Adalah chiede che la magistratura imponga ai comandi militari di renderle pubbliche.
L’anno scorso il premier Netanyahu, dopo l’uccisione di un israeliano sulla strada tra Betlemme e Gerusalemme, causata dal lancio di pietre contro la sua automobile da parte di alcuni palestinesi, invocò a vantaggio delle forze di polizia e dell’esercito un allentamento delle restrizioni all’uso di armi letali per meglio rispondere, disse, alla minaccia del terrorismo.
Intanto in Israele continua a riempire le pagine dei giornali il processo al sergente Elor Azaria che lo scorso marzo uccise a sangue freddo un attentatore palestinese ad Hebron, Abdel Fatah al Sharif, ferito gravemente, a terra e non in grado di nuocere. La sua azione fu filmata da un abitante del quartiere di Tel Rumeida ed attivista del centro per i diritti umani B’Tselem. Le immagini fecero il giro della rete e, di fatto, costrinsero i comandi militari e l’ex ministro della difesa Moshe Yaalon ad ordinare l’arresto immediato di Azaria. Un altro filmato diffuso qualche settimana fa, mostra un infermiere israeliano che sposta con un calcio un coltello vicino al corpo del palestinese ferito allo scopo di accreditare la tesi di Azaria di una situazione di «pericolo imminente».
Il sergente invece continua a sostenere di aver sparato per impedire che il palestinese potesse azionare una cintura esplosiva (inesistente). Ad inchiodarlo sono anche le testimonianze dei suoi superiori che hanno negato l’esistenza di pericoli per i militari che erano intorno al palestinese ferito. Per gran parte degli israeliani Azaria comunque resta è un eroe che ha fatto la cosa giusta. Nena News

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