Amira Hass: Cure vietate per gli abitanti di Gaza


Cure vietate per gli abitanti di Gaza

Amira Hass
È raro che io guardi i commenti ai miei articoli online. Mercoledì scorso l’ho fatto, e ancora una volta ho capito perché di solito evito di leggerli. Volgari, ignoranti, crudeli, malvagi. Avevo scritto di Nadia Abu Nahla: 52 anni, tre figli, femminista e direttrice di un’organizzazione per la difesa dei diritti delle donne a Gaza.
Abu Nahla aveva il cancro al seno ed è stata curata con successo in Israele sette anni fa. Da allora ha continuato ad andare con regolarità nello stesso ospedale per i controlli di routine. Per farlo, ha richiesto e ottenuto dei permessi di uscita dalla Striscia rilasciati dalle autorità israeliane. (Ricordatemi di parlare in un altro articolo dei motivi per i quali a Gaza non sono disponibili cure adeguate).
Da marzo Abu Nahla cerca invano di ottenere un permesso per un controllo importante. I servizi segreti dello Shin Bet hanno risposto alle mie richieste di spiegazioni sostenendo che “non rientra nelle categorie di persone a cui è consentito entrare in Israele e in Cisgiordania”, ma che la sua richiesta sarebbe stata comunque riconsiderata.
Minaccia alla sicurezza
È in atto un evidente peggioramento delle restrizioni di movimento in Israele, ma le autorità non vogliono ammetterlo in via ufficiale. A parlarci di questo peggioramento sono i sempre più numerosi uomini d’affari, funzionari di ong internazionali e pazienti ai quali da un giorno all’altro viene negato il permesso di uscire.
“Ogni abitante di Gaza rappresenta una minaccia alla sicurezza”, ha commentato qualcuno al mio articolo. “Fatela andare in Egitto, da quegli antisemiti”, “Comprassero attrezzature mediche invece di armi”, “Perché dovremmo curare il nemico?”, “Perché dobbiamo curarcene?”, “Alcuni pazienti palestinesi hanno abusato dei loro permessi”.
Basta così. La mia pressione può sicuramente fare a meno di tutto questo.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

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