Amira Hass: Sono andata a vedere il dramma delle colonie inaridite. Ho trovato una piscina
Mentre
Israele ha ridotto le forniture idriche ai palestinesi, ho visitato due
colonie in cui gli abitanti si presume stiano anche loro soffrendo.
di Amira Hass | 28 giugno 2016
Dunque
venerdì il deputato della Knesset Bezalel Smotrich (del partito “Casa
Ebraica” [della destra ultranazionalista, rappresentante dei coloni
fondamentalisti nazional-religiosi. Ndtr.]) ha twittato: “Non si
scherza: siamo tornati indietro di 100 anni!” Ha riferito di cinque
cisterne d’acqua potabile che erano state piazzate quella mattina nella
colonia di Kedumim [prima colonia costruita nella Cisgiordania
centro-settentrionale. Ndtr.].
Quel
giorno il settimanale sionista-religioso Makor Rishon ha pubblicato un
articolo intitolato “La crisi dell’acqua in Giudea e Samaria [la
Cisgiordania nella denominazione dei nazionalisti israeliani. Ndtr.]:
nella colonia di Eli grandi contenitori di acqua potabile sono stati
distribuiti ai residenti.”
Così
sono andata in due insediamenti per testimoniare questa sofferenza.
Sono partita prima di vedere il tweet di un tal Avraham Benyamin in
risposta a quello di Smotrich: “Stiamo aspettando una serie di articoli
solidali su Haartez. Continueremo ad aspettare.”
In
effetti la scorsa settimana ho iniziato a scrivere la mia serie annuale
di articoli sul sistematico furto d’acqua a danno dei palestinesi. Sono
rimasta sorpresa di non aver trovato nessun servizio giornalistico sui
problemi idrici delle colonie. Non ce n’era nessuno sulla radio
dell’esercito né su Radio Israele – che notoriamente sostengono
clandestinamente il movimento BDS. Ma non ho trovato nessun riferimento
nemmeno sui siti web legati alla lobby dei coloni.
Dopo
tutto, fin dall’inizio di giugno, quando Mekorot, l’impresa nazionale
dell’acqua, ha iniziato a ridurre le forniture idriche del 30% fino al
50% ai palestinesi nelle zone di Salfit e Nablus, i portavoce israeliani
hanno sostenuto che era in atto una riduzione anche nelle colonie (o,
con le parole per niente asettiche di un impiegato palestinese
dell’amministrazione civile [denominazione ufficiale del governo
militare israeliano nei territori occupati. Ndtr.]: “Stanno tagliando
agli arabi in modo che ci sia acqua per i coloni”).
Il
giornalista di Makor Rishon Hodaya Karish Hazony ha scritto: “Nelle
comunità di Migdalim, Yitzhar, Elon Moreh, Tapuah, Givat Haroeh, Alonei
Shiloh ed altre ci sono state interruzioni nell’erogazione dell’acqua.
‘A questo proposito siamo tra la follia e la disperazione,’ ha detto un
residente.”
Così
sono andata a verificare la scarsità d’acqua che sta portando la gente
tra la follia e la disperazione ad Eli. Ho cercato persone in fila per
l’acqua. Non le ho trovate. Allora ho viaggiato dal centro del
lussureggiante insediamento all’isolata “Collina n° 9”, il luogo del
sobborgo di Hayovel citato nell’articolo.
Lì
ho trovato due grandi contenitoti blu pieni dell’Autorità delle Acque,
con dei rubinetti attaccati. Una scritta chiedeva di “mantenere
l’ordine” nell’attesa e ricordava che “sarebbe stata data priorità agli
anziani, ai malati ed ai bambini.”
Alle
15 circa non ho visto nessun anziano, malato o bambino in attesa vicino
ai rubinetti. Neppure un adulto qualunque. Qualche goccia scendeva dai
rubinetti e bagnava l’asfalto. Gente saliva e scendeva dalle auto. Erba
artificiale adornava le zone nei pressi delle case prefabbricate del
quartiere.
Vicino
al posto di guardia dei soldati, a circa 50 metri da un contenitore
d’acqua, c’era un’area di erba naturale che era assolutamente verde. Lì
vicino c’erano alcuni alberelli, e il terreno attorno a loro era
bagnato, con parecchie pozzanghere. Un soldato ha detto che durante la
settimana ci sono state varie interruzioni del servizio idrico, e
pensava che i contenitori fossero stati portati giovedì. L’articolo
parlava di mercoledì.
In
un piccolo edificio pubblico lì vicino, il gabinetto era aperto e
perfettamente pulito. Lo sciacquone scorreva abbondantemente, e acqua
rinfrescante usciva dal rubinetto del lavandino. Una donna che è uscita
dalla sua auto vicino al contenitore pieno d’acqua ha detto,
timidamente: “L’ho usata qualche volta.” E perché non più spesso? “E’
sgradevole; l’acqua è tiepida.”
Più avanti, nel centro di Eli, ho incrociato ragazze che portavano borse con asciugamani e costumi da bagno. “La piscina è aperta? Dov’è?”, ho chiesto.
Seguendo
le loro indicazioni sono arrivata alla piscina di Eli. Da dietro la
recinzione si potevano sentire il rumore dell’acqua e le grida allegre
dei bagnanti. L’erba attorno alla piscina era naturale e verde. Mi sono
chiesta: “Dov’è la solidarietà? Perché non prendono l’acqua dal centro
di Eli e la portano al quartiere che sta soffrendo a causa dell’altezza
[della collina, per la mancanza di pressione nelle tubature. Ndtr.]?
Makor
Rishon ha citato Meir Shilo, responsabile delle infrastrutture del
consiglio regionale di Mateh Binyamin: “Il problema è l’eccessivo
consumo dovuto all’aumento della popolazione (dei coloni) e soprattutto,
pare, per il consumo dell’acqua per l’agricoltura.”
Dror
Etkes, un ricercatore indipendente della politica di colonizzazione
israeliana, ha detto ad Haaretz che nei blocchi di insediamenti che
circondano Shiloh “i coloni stanno coltivando 2.746 dunams (circa 274
ettari, la maggior parte attorno a Shiloh: 260 ettari]. Di questi, 213 ettari sono terre private dei palestinesi.”
Il
che significa: negli ultimi anni i coloni hanno scoperto che la
pirateria (contrapposta al furto di Stato) per fini agricoli facilita
l’appropriazione di ancor più terreni palestinesi di quanto facciano la
costruzione di ville o di case prefabbricate.
L’esercito,
impedendo ai legittimi proprietari palestinesi di raggiungere la loro
terra, ha reso possibile questa forma di pirateria. E questa agricoltura
privata illegale determina anche l’aumento nel consumo di acqua a spese
dei palestinesi, della loro agricoltura ed acqua potabile.
Da
Eli ho viaggiato verso ovest fino alla colonia di Kedumim, dove mi hanno
accolta le strade lussureggianti. Ho cercato le cisterne d’acqua di cui
aveva parlato Smotrich nel suo tweet.
Dal
parabrezza della mia auto ho visto un cartello: “La piscina di Kedumin è
aperta. Iscriviti adesso.” Forse si sono dimenticati di toglierlo dallo
scorso anno.
Nel
quartiere di Rashi sono arrivata fino ad una cisterna per la
distribuzione dell’acqua, sotto la tettoia della sala di studi religiosi
di Rashi. Dalla parte opposta c’era un camion con una grande cisterna
di acqua. Qualcuno tornava da lì con un secchio e si è diretto alle case
prefabbricate in cima alla collina.
“Sì,
ci sono interruzioni nell’erogazione dell’ acqua,” ha confermato.
“Un’opportunità di sperimentare l’assedio di Gerusalemme [durante il
quale venne rigidamente razionata anche l’acqua. Ndtr.], ” ha aggiunto,
riferendosi agli avvenimenti del 1948.
E
perché non andare giù per rifornirsi d’acqua nei quartieri bassi di
Kedumim? “E’ più comodo in questo modo, vicino a casa,” ha risposto.
Al
rubinetto c’erano bambini che stavano riempiendo vari contenitori. La
ragazza vicino al sacco rosso ha detto all’uomo che la stava
fotografando: “Assicurati che nella foto si veda la bottiglia.”
(Traduzione di Amedeo Rossi)
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