Rapporto Onu: “Israele prima causa della sofferenza palestinese”

Rapporto Onu: “Israele prima causa della sofferenza palestinese”



Il documento, redatto dall’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari umanitari, sottolinea come a incidere negativamente sulle condizioni di vita dei palestinesi siano principalmente l’occupazione della Cisgiordania e l’assedio israeliano imposto su Gaza. Critiche anche ad Hamas e all’Autorità palestinese

della redazione
Roma, 13 giugno 2016, Nena News – La prima causa della sofferenza dei palestinesi è Israele. A sostenerlo è un rapporto dell’Onu dal titolo “Vite Frammentate” pubblicato oggi in inglese, arabo ed ebraico. Secondo il documento dell’Ufficio dell’Onu per il Coordinamento degli Affari umanitari (Ocha), infatti, l’occupazione della Cisgiordania e il blocco imposto dalla stato ebraico su Gaza sarebbero i principali fattori delle “vulnerabilità umanitarie” palestinesi. “Questo mese – afferma David Carden, il capo del ramo palestinese dell’Ocha – i palestinesi entrano nel 50esimo anno da quando è iniziata l’occupazione israeliana. Il [nostro] studio mostra chiaramente quanto sia stato devastante l’impatto di questa situazione [sulle loro vite]”.
Una situazione che è particolarmente dura nella Striscia di Gaza. Qui, sottolinea il rapporto, “alla sofferenza causata dal conflitto del 2014 [l’offensiva israeliana Margine protettivo, ndr] – con circa 90.000 palestinesi ancora sfollati durante la seconda metà del 2015 – si aggiungono gli otto anni di blocco israeliano sulla Striscia, la chiusura semi permanente del valico di Rafah da parte dell’Egitto e le divisioni interne palestinesi”. A pagare il prezzo più alto sono le donne. “Le condizioni precarie di vita delle donne e delle ragazze sfollate incidono sulla loro sicurezza, soprattutto alla luce dell’aumento delle violenze di genere che si registrano”.
Non molto migliore è il quadro che si presenta in Cisgiordania. L’Ocha sottolinea come il numero dei palestinesi uccisi e feriti dalle forze armate israeliane quest’anno sia il più alto dal 2005, da quando cioè l’ufficio delle Nazioni Unite ha incominciato a monitorare la situazione in Palestina. Il documento evidenzia come questo “picco della violenza” abbia riguardato anche gli israeliani uccisi negli attacchi palestinesi. Una violenza da condannare, ma che tuttavia, precisa lo studio, ha portato Israele a rispondere con un “uso eccessivo di forza”.
Particolare attenzione viene poi riposta alla questione degli insediamenti coloniali. E qui il rapporto si fa particolarmente critico nei confronti dello stato ebraico. “La violenza dei coloni, insieme a una insufficiente applicazione della legge da parte d’Israele, ha posto a rischio la sicurezza fisica e la vita delle comunità palestinesi” si legge nel testo. “Casi documentati di attacchi di settler e conquiste di terra avvenute con la forza, lasciano pensare che la violenza rientri in uno sforzo meditato da parte dei coloni che ha come obiettivo quello di cacciare i coltivatori palestinesi da quelle che sono diventate aree de facto controllate da Israele” scrive l’Ocha. Sebbene gli attacchi siano diminuiti nel 2015, il documento denuncia come il “numero dei palestinesi possessori di alberi colpiti da incidenti collegati ai coloni (11.254) sia il più alto dal 2006″.
Criticato dall’Onu è poi il giro di vite deciso da Tel Aviv per fermare l’ondata di attacchi palestinesi. “Alla fine del 2015 – si legge nel rapporto – si è raggiunto il numero più alto di detenuti palestinesi (oltre 6.000) dal 2010 e di bambini arrestati (422) dal 2008″. Stigmatizzata è soprattutto la pratica israeliana della detenzione amministrativa (arresto senza processo) disposizione più volte descritta dall’Onu e dalle ong locali e internazionali come “punizione collettiva”.
Ma se Israele è la prima causa della sofferenza dei palestinesi, non mancano, secondo l’Ocha, responsabilità degli stessi palestinesi. Il documento attacca gli islamisti di Hamas a cui chiede di “rispettare i principi di distinzione, proporzionalità e precauzione” e poi “di porre fine agli attacchi sui civili e alle proprietà israeliane con il lancio di razzi [dalla Striscia]”. Quanto all’Autorità palestinese (Ap), invece, l’agenzia dell’Onu la esorta a istituire una migliore giustizia criminale, a garantire la libertà di espressione e di assembramento e a vietare la pena di morte nelle aree sotto il suo controllo.
Il rapporto Onu colpisce per la sua durezza nei confronti dello stato ebraico, ma inciderà poco o niente sulla vita dei palestinesi. In risposta all’attacco palestinese di mercoledì a Tel Aviv in cui sono rimasti uccisi 4 israeliani, Israele ha usato il pugno di ferro sigillando per giorni i territori occupati e andando alla caccia dei palestinesi “illegali” (per lo più lavoratori senza documenti regolari) presenti sul territorio israeliano. Il giro di vite ha portato all’arresto di 27 “clandestini” soltanto nel weekend. La reazione rabbiosa delle autorità si è scagliata anche contro i proprietari israeliani di due cantieri edili a Petah Tikva (nel centro d’Israele). Dopo essere stati interrogati, i due datori di lavoro hanno ricevuto una multa di circa 12.000$ per aver impiegato manovalanza palestinese priva di regolari documenti d’ingresso. La risposta di Tel Aviv non si ferma però agli arresti: sabato notte le autorità israeliane hanno avvisato la famiglia di Mohammed Makhamera (uno dei due palestinesi responsabili dell’attentato dello scorso mercoledì al Sarona market) che la loro casa potrebbe essere distrutta “in qualsiasi momento”.
Una buona notizia per i palestinesi è giunta stanotte: Israele ha riaperto i valichi di accesso in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Non è chiaro però al momento se sia stata annullata la disposizione del premier israeliano Netanyahu di impedire l’ingresso in Israele e a Gerusalemme est a oltre 80.000 palestinesi in vista del mese sacro islamico di Ramadan. Quel che è certo, però, è che continua l’assedio delle truppe israeliane a Yatta nei pressi di Hebron (il luogo di provenienza dei due attentatori): al momento 120.000 palestinesi non possono circolare liberamente. Nena News

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