L’imam americano che combatte il radicalismo con Snapchat



 
 
 
 
 
 
 
L'imam americano che combatte il radicalismo con Snapchat - In copertina: Foto di Jonathan Wiggs/The Boston Globe via Getty Images Di Krithika Varagur. Huffington…
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Come ci si sente ad essere stato denunciato dallo Stato Islamico? “Sinceramente, è un onore”, ha detto l’imam americano Suhaib Webb, accusato di essere un murtadd – apostata – nell’ultimo numero di Dabiq, la rivista propagandistica di Daesh.
Reazione non convenzionale quella dell’imam, dal momento che molti sarebbero spaventati di essere sulla lista nera di Daesh; ma Webb, che guida la comunità CenterDC , è un leader musulmano non convenzionale. Biondo, occhi azzurri, nato in una famiglia protestante in Oklahoma, ex DJ di hip-hop, Webb si è convertito all’Islam a 19 anni attraverso amici che facevano parte del suo mondo musicale. William Webb alla nascita, l’imam ha cambiato il suo nome quando uno dei suoi maestri religiosi gli ha dato il nome di Suhaib, che in arabo significa “dai capelli rossicci”.
57680fc61500002b0073b7d2Webb, ben noto per i suoi discorsi pubblici su questioni relative ai musulmani americani, era da sempre indicato come l’imam bianco. Ciononostante il suo profilo è aumentato considerevolmente negli ultimi tempi grazie ai social media e alla sua attitudine con SnapchatTwitter , YouTube e Facebook. È importante infatti secondo Webb che le voci musulmane tradizionali popolino Internet, perché proprio la rete è sovraccarica di radicalismi. Il suo è un mix unico di teologia classica e carisma oratorio che ben attira la moderna America musulmana. E infatti migliaia di giovani musulmani lo seguono sui social media.
Prima di Washington, Webb era imam a Boston e, proprio durante l’attentato durante la famosa maratona, si è reso conto di quanto fosse diventato fondamentale diffondere mainstream il messaggio di pace che veicola l’islam. Così Webb, presente già su Facebook, Twitter e Youtube, si è unito anche a Snapchat nel settembre 2015 (@imamsuhaibwebb) sotto la spinta dei suoi studenti e colleghi più giovani. E ora ha 30.000 followers che vedono i suoi “snapchat sermons”, “snap-was” (le fatawat su questioni giuridiche), e “snap-seer” (tafseer, ovvero le spiegazioni dei versi Corano).
Webb in questo modo comunica a tutte le ore del giorno e gli piace l’immediatezza della piattaforma e il fatto che generalmente ottiene un feedback positivo e costruttivo, in quanto gli utenti di Snapchat  contattano lui direttamente. Spesso le domande che gli vengono fatte hanno dell’assurdo, ma l’imam è felice di rispondere a qualsiasi dubbio: “Le interazioni umane smontano le paure”, ha detto.
Webb non è l’unico leader musulmano su Snapchat: @imammarc, @ malm2014 e @abdulnasirj sono altri utenti notevoli. Ma Webb ha il maggior numero di followers e messaggi, oltre che contenuti sempre nuovi.
Ma sarebbe un errore pensare che la fama di Webb sia dovuta solo a Snapchat, l’imam infatti è molto attivo nella sua comunità, organizzando spesso eventi e ritrovi, come iftar (rottura del digiuno durante il Ramadan) interreligiosi presso la Chiesa di Santo Stefano per spiegare ai non-musulmani il Ramadan stesso. E il mese scorso, ha organizzato anche un interessante dibattito itinerante chiamato “andare o non andare al ballo?”, in cui gli adolescenti musulmani hanno discusso se andare al ballo di fine anno è haram (proibito) a causa della vicinanza con l’altro sesso e per la presenza di alcool. Webb ritiene che tali discussioni pratiche saranno cruciali per definire l’identità musulmana in America.
“La sfida per l’Islam americano oggi”, ha detto Webb, “è che siamo così preoccupati dei jihadisti, degli estremismi, e dell’islamofobia, che la nostra agenda sociale è ormai trascurata”. Poche persone infatti sono a conoscenza delle posizioni sociali progressiste dell’islam, ha continuato Webb, come sull’aborto, che la legge islamica permette fino a 120 giorni dal concepimento. “Sta a noi musulmani insomma elevare la conversazione, perché la nostra cultura non lo farà per noi”, ha concluso.
Krithika Varagur è giornalista al The Huffington Post e scrive su sviluppo, uguaglianza e diversità. Ha scritto per Vogue India e per il New York Times.
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