Le elezioni a Milano, l'Islam e il superamento delle gabbie identitarie

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Alla fine Sumaya Abdel Qader - 38 anni, figlia di genitori giordano-palestinesi, 3 lauree, 3 figli, ricercatrice e scrittrice - ce l'ha fatta ed è stata eletta nel comune di Milano con 1016 voti. È un evento simbolicamente importante. Non è la prima volta che una persona di fede musulmana entra in un'istituzione rappresentativa dello Stato italiano ma è la prima volta che una donna, figlia delle migrazioni, espressione dell'associazionismo di matrice musulmana in Italia, viene eletta come consigliera di una grande città.
Non è stato un percorso semplice quello che Sumaya Abdel Qader ha percorso nelle ultime settimane. La sua candidatura è stata costellata da attacchi plurimi, fuori dal mondo islamico e dentro lo stesso mondo islamico. Dentro la comunità frange integraliste l'hanno bollata come apostata, sostenendo che una musulmana non deve partecipare alle elezioni di uno Stato di miscredenti. Fuori è stata oggetto di una campagna accusatoria che ha fatto leva sul suo velo e sulla sua appartenenza a gruppi considerati vicini ai movimenti della fratellanza musulmana. Alla fine un diffuso sostegno popolare e intellettuale (si veda ad esempio l'appoggio di Simonetta Agnello Hornby) ha fatto sì che le paure associate al suo nome svanissero e lei si assicurasse un posto come consigliera comunale.
Nella campagna elettorale che l'ha vista protagonista hanno contato molto -in positivo e in negativo- le identità: quella religiosa, in primis, (l'Islam), quella nazionale (l'Italia, ma ancor di più il mondo arabo da cui vengono i suoi genitori), quella di genere (essere una donna), quella generazionale (essere ancora "quasi giovane"), quella politica (il Pd diviso al suo interno sulla sua candidatura e il fantasma dei fratelli musulmani).
A Sumaya è stato chiesto costantemente a quale di queste identità si sentisse più fedele piuttosto che a quali progetti si sarebbe dedicata una volta eletta. Chi l'ha votata e chi non l'ha votata ha visto e fatto di lei un simbolo. Simbolo di un'Italia plurale, di una "Giovine Italia", direbbe la compagnia Almateatro che il 29 e il 30 giugno debutta a Torino con uno spettacolo sulle madri e le figlie delle migrazioni. I simboli sono importanti, si è visto recentemente con l'elezione di Sadiq Khan a sindaco di Londra, ma bisogna andare oltre i simboli e oltre la trappola delle gabbie identitarie.
L'augurio per Sumaya Abdel Qader è che negli anni in cui parteciperà all'amministrazione di Milano possa "appartenersi" - per riprendere il titolo del recente libro di Karim Miské (Fazi 2016) - esprimendo liberamente le sue molteplici appartenenze, e divenendo così un "granello di sabbia nell'ingranaggio dell'identità".




 
 
 
 
 
 
 
 
 
Sumaya, neoeletta dem: «Mi batterò per l’istruzione. Meglio piccoli spazi di una mega moschea. Le molte polemiche in campagna elettorale un tentativo per mettere in difficoltà la coalizione»
milano.corriere.it

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