Israele vuole un processo di pace, ma soltanto se è destinato a fallire


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Israele vuole un  processo di pace, ma soltanto se è destinato a fallire
Di Jonathan Cook
6 giugno 2016
Con un usuale intorbidamento delle acque, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha passato la settimana scorsa a parlare bene della  pace,  allo stesso tempo criticando ferocemente il summit di venerdì in Francia – l’unica iniziativa diplomatica all’orizzonte.
Quando i ministri degli esteri di 29 nazioni sono arrivati per un incontro di un giorno a Parigi, Netanyahu ha rispolverato il logoro argomento che qualsiasi segnale di appoggio diplomatico ai palestinesi, li  incoraggerebbe a fare “richieste estreme”.
La Francia spera che l’incontro servirà come preludio a dare il via a un processo di pace nei prossimi mesi. Il presidente francese François Hollande ha detto che sperava di ottenere una “pace [che] sarà solida, sostenibile e sotto la supervisione internazionale”.
Con straordinaria sfrontatezza, il funzionario israeliano Dore Gold ha paragonato il summit al “culmine del colonialismo” di un secolo fa, quando la Gran Bretagna e la Francia si erano spartite il Medio Oriente tra di loro. Ha opportunamente trascurato il fatto che è stato lo stesso colonialismo britannico che promise una “patria” ebraica invece della originaria popolazione palestinese .
In precedenza, Netanyahu e il suo nuovo ministro della difesa di estrema destra, Avigdor Lieberman, si erano pubblicamente impegnati per una “ricerca incessante” di una strada verso la pace.”
In un’intervista di due minuti alla CNN, il portavoce David Keyes è riuscito a citare non meno di cinque volte la formula “due stati per due popoli”.
Piuttosto che l’iniziativa francese, Netanyahu ha affermato che si dovrebbe lasciare che Israeliani e Palestinesi si impegnino nel tipo di colloqui faccia a faccia, “senza precondizioni” che sono ripetutamente falliti. Il motivo di questo è che Israele, in quanto parte più forte, è stato in grado di invalidarli, imponendo le sue proprie condizioni.
Sembra che Netanyahu sia entusiasta di qualsiasi processo di pace soltanto finché non sia quello attuale iniziato a Parigi.
Parte del motivo di aver portato Lieberman nel governo è stato di fornire maggior margine di manovra diplomatica. Avendo Lieberman che consolida le credenziali diplomatiche di Netanyahu con l’estrema destra, è ora libero di vomitare confuse banalità sulla pace, sapendo che i partner nella sua coalizione è improbabile che lo prendano in parola e che lascino il governo.
Ma, mentre il fronte interno è al sicuro, brontolii di dissenso rimbombano all’estero.
L’Europa è sempre più timorosa che un governo israeliano imbaldanzito, possa presto annettersi tutte le parti più importanti della Cisgiordania, ostacolando qualsiasi speranza di creare uno stato palestinese gravemente monco.
La conferenza di Parigi è un segnale della disperazione crescente in Europa di frenare Israele.
Mentre la Francia non sta per progettare una svolta, Netanyahu è comunque preoccupato.
E’ la prima volta che Israele si è trovato nella situazione di essere trascinato in colloqui non preseduti dal loro “patrono” di Washington. Questo rischia di stabilire un pericoloso precedente.
Sebbene il Segretario di Stato John Kerry fosse presente, è stato decisamente calmo nei riguardi del summit. Tuttavia Netanyahu si preoccupa che questa volta Washington potrebbe non essere in grado o disponibile, a guardargli le spalle.
Se la conferenza porterà a colloqui nei prossimi mesi, questo avverrà quando Barack Obama si starà preparando a lasciare la presidenza.  Netanyahu ha paura di sorprese. I funzionari israeliani hanno una specie di panico che Obama possa cercare una rivalsa per gli anni di umiliazioni sopportati da parte di Netanyahu.
Un modo sarebbe che Washington accetti la supervisione francese dei colloqui che segua un rigido programma e che stabilisca “squadre” di diplomatici per risolvere i problemi sull’assetto definitivo.
Anche se i negoziati falliscono, come sembra inevitabile, si potrebbero fissare dei parametri per futuri colloqui.
Netanyahu sa anche che l’atmosfera più ampia è probabile che lo lasci isolato come parte intransigente.
Un rapporto del Quartetto*, che è imminente, si ipotizza che critichi Israele per non essere riuscito, in passato a fare dei passi verso la pace. E un rapporto della settimana scorsa a cura di una gruppo congiunto di esperti di difesa statunitensi e israeliani, hanno indicato che le “preoccupazioni per la sicurezza” da parte di Israele riguardo alla fatto che la Palestina diventi uno stato,  non sono così difficili da gestire come si sostiene. Netanyahu vuole invece deviare l’attenzione verso “un summit regionale per la pace ”. La chiave è stata l’appoggio dell’Egitto a una rinascita di negoziati diretti tra Israele e i Palesinesi, basati su un Piano di Pace arabo del 2002. Ha promesso a Israele relazioni normali con il mondo arabo in cambio della fine dell’occupazione.
L’improvviso interesse di Israele per il  piano, è strano, dato che non è stato discusso nel governo fin da quando i Sauditi lo svelarono 14 anni fa.
In verità, Netanyahu appoggia l’idea perché sa che sarebbe impossibile raggiungere un accordo in tutta la regione, dato che il Medio Oriente è in subbuglio.
I funzionari di Israele hanno già insistito che delle parti del piano del 2002 hanno necessità di “aggiornamento”.  Israele, per esempio, vuole la sovranità sul Golan, un territorio siriano che aveva preso nel 1967 e che attualmente promette nuove ricchezze petrolifere.
Al summit, il ministro degli esteri saudita ha detto ci sarebbe stata opposizione ai tentativi di Israele di “annacquare” il piano. I funzionari egiziani si sono affrettati a prendere le distanze dalla proposta di Netanyahu e ad appoggiare il processo di Parigi.
Israele, tuttavia, tenterà di superare l’iniziativa francese fino a quando il prossimo anno verrà nominato il successore di Obama. Allora, come spera Netanyahu, potrà dimenticare una volta per tutte la minaccia dei due stati.

 
 
 
 
 
 
Israele vuole un processo di pace, ma soltanto se è destinato a fallire Di Jonathan Cook 6 giugno 2016 Con un usuale intorbidamento delle acque, il primo
znetitaly.altervista.org

*https://it.wikipedia.org/wiki/Quartetto_per_il_Medio_Oriente


Jonathan Cook ha vinto il Premio Speciale  Martha Gellhorn per il Giornalismo.  I suoi libri più recenti sono: “Israel and the Clash of Civilisations: Iraq, Iran and the Plan to Remake the Middle East” [Israele e lo scontro di civiltà: Iraq, Iran e il piano per rifare il Medio Oriente] (Pluto Press) e Disappearing Palestine: Israel’s Experiments in Human Despair” [La Palestina che scompare: gli esperimenti di Israele di disperazione umana] (Zed Books).  Il suo nuovo sito web è: www.jonathan-cook.net.
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/israel-wants-a-peace-process-but-only-if-its-doomed-to-fail/
Originale: non indicato
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2016 ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC BY NC-SA 3.0

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