I
coloni israeliani godono di bilanci preferenziali e sussidi, e giocano
un ruolo fondamentale in un sistema di segregazione e espropriazione.
Chi gli ha permesso di unirsi alla “Marcia per l’Uguaglianza” con le
comunità di Israele più trascurate e svantaggiate?
Questa
settimana attivisti sociali israeliani e dirigenti di amministrazioni
locali hanno iniziato una marcia verso Gerusalemme, la “Marcia per
l’Uguaglianza”, per chiedere uguaglianza nei finanziamenti pubblici per i
servizi sociali ed educativi nelle loro trascurate comunità delle aree
economicamente e geograficamente periferiche di Israele.
Mentre
i manifestanti avanzavano lungo la strada dal deserto del Negev verso
Gerusalemme, sono stati raggiunti da alcuni membri della Knesset [il
Parlamento israeliano. Ndtr. ], dal capo del più importante sindacato
del Paese e da altri.
La
lotta in merito ai finanziamenti per l’educazione ed il sistema di
welfare destinati alle comunità svantaggiate di Israele è importante e
giusta. Anche l’idea di una manifestazione inclusiva, che promuova
l’unità tra residenti di comunità periferiche disperse, è ottima. Una
tale lotta merita tutto il nostro appoggio.
C’è
solo un problema: la partecipazione dei coloni. Tra i partecipanti
all’iniziativa, che comprende i sindaci di due delle città israeliane
più impoverite, Rahat e Netivot (rispettivamente, un Comune beduino e
una cittadina in maggioranza composta da mizrahi [ebrei di origine
araba. Ndtr.]), c’erano i dirigenti dei governi locali delle colonie
Binyamin, Gush Etzion e delle colline a sud di Hebron, in Cisgiordania. I
dirigenti delle colonie non sono arrivati per esprimere solidarietà con
le più deboli comunità israeliane, ma piuttosto per cercare e trovare
spazio per loro stessi dietro lo striscione impugnato dalle città
ignorate e oppresse della periferia israeliana.
La
loro partecipazione solleva tre domande inquietanti: in primo luogo, di
quale discriminazione nella destinazione dei fondi pubblici soffrono le
colonie della Cisgiordania? (Non parlo degli insediamenti degli
ortodossi. Le colonie degli ultra-ortodossi effettivamente patiscono di
gravi carenze nei finanziamenti). Solo ieri il governo ha approvato il
trasferimento di ulteriori 82 milioni di shekel [ quasi 19 milioni di €]
agli insediamenti della Cisgiordania, oltre ai 340 milioni [più di 78
milioni di €] che sono stati promessi come parte di un accordo di
coalizione.
E
si tratta di un’integrazione al bilancio normalmente destinato alle
colonie. Questa settimana l’istituto di ricerca “Molad” [gruppo di
analisti israeliano di tendenza progressista. Ndtr.] ha evidenziato che i
servizi pre-scolastici nelle colonie delle colline di Hebron ricevono
per bambino migliaia di shekel in più rispetto a quanti sono destinati
ad Ashkelon e ad Ashdod, città all’interno della Linea Verde (confine
tra Israele e Cisgiordania prima del ’67. Ndtr.] considerate
periferiche. Molad nota che i fondi del governo per lo sviluppo,
l’alimentazione e l’agricoltura sono più consistenti negli insediamenti,
e in generale il governo investe il 28% in più per un colono della
Cisgiordania che per un residente in Galilea [nel nord di Israele.
Ndtr.] ( e ciò escludendo i costi aggiuntivi per le spese della
sicurezza negli insediamenti della Cisgiordania).
Un
altro esempio: il centro Adva [centro indipendente di studi politici di
Tel Aviv. Ndtr.] ha scoperto che nel 2014 la spesa pro capite di
un’amministrazione locale nelle colonie non ortodosse della Cisgiordania
è stata superiore a quanto è stato speso nei 15 Comuni considerati
economicamente più importanti all’interno della Linea Verde.
Come
ha ripetutamente evidenziato Dani Gutwein [professore di storia ebraica
all’università di Haifa, Ndtr.], anche nella sua serie video “Il piatto
d’argento” [documentari della rete televisiva israeliana “Canale 8”.
Ndtr.], gli insediamenti sono un’alternativa, che Israele ha creato al
di fuori dei propri confini, allo Stato sociale. Negli insediamenti le
case costano meno, gli investimenti pubblici nell’edilizia e nello
sviluppo sono molto più alti e i servizi fondamentali, come i trasporti
pubblici, sono sovvenzionati ad un livello significativamente superiore.
I servizi pubblici che stanno scomparendo all’interno di Israele
abbondano dall’altra parte della Linea Verde.
Uguaglianza sotto un regime militare
A
livello più basilare, se prendiamo in considerazione la situazione al
di fuori del contesto, ci dovremmo rallegrare che il governo stia ancora
investendo nei settori tipici dello Stato sociale, ma questo ci porta
alla seconda domanda: quale posto hanno, in una manifestazione per
l’uguaglianza, i dirigenti di una classe privilegiata in un regime
militare separato in base alla “razza”*? Unendosi alla marcia, i
dirigenti delle colonie stanno cercando di rendere normale la propria
posizione nella società israeliana, per presentare se stessi
semplicemente come un qualunque governo locale delle comunità
israeliane, che per caso si trova fuori dai confini dello Stato ed è
illegittimo in base alle leggi internazionali. Cercano di eliminare il
fatto che la loro stessa esistenza gioca un ruolo attivo nella
quotidiana espropriazione dei palestinesi e nella perpetuazione di
sistemi giuridici paralleli, uno per gli ebrei e uno per gli arabi.
Mentre
i sindaci delle città ebraiche del Negev potrebbero voler marciare
insieme a quelli delle vicine cittadine arabe di Hura e Rahat, non si
vedrebbero i capi del consiglio dei coloni delle colline a sud di Hebron
marciare insieme agli abitanti palestinesi di Susya, sottoposti al
regime militare israeliano, in cui loro giocano un ruolo attivo. In
virtù della loro partecipazione, i rappresentanti dei coloni hanno
apposto un piccolo asterisco sullo striscione della marcia per
l’uguaglianza, una nota a pié di pagina che dice: “Uguaglianza, ma non
per i palestinesi dei territori occupati.”
Il
capo del consiglio regionale dell’insediamento di Shomron, Yossi Dagan,
ha enunciato molto chiaramente questo approccio discriminatorio in un
editoriale di “Ynet” [sito web di notizie del giornale israeliano
“Yedioth Aharonot’. Ndtr.] del lunedì, edizione in ebraico: “Un bambino è
un bambino e merita le stesse opportunità, che sia nato a Tel Aviv, a
Karnei Shomron o a Taibe.” (Karnei Shomron è una colonia in
Cisgiordania, Taibe è una città araba all’interno di Israele).
Certo,
ci dovrebbe essere parità di diritti per i bambini di Tel Aviv, Karnei
Shomron e Taibe, per quel che riguarda Dagan; ma non per i bambini di
Burkin, Nablus o Deir Istiya, città e villaggi palestinesi che soffrono
quotidianamente a causa dell’esistenza dell’insediamento che lui guida –
per qualche ragione loro rimangono esclusi. E’ qui che Dagan traccia il
limite, e si porta dietro tutta la manifestazione per l’uguaglianza.
Perciò,
cosa ci fanno i coloni alla manifestazione? Cercano una legittimazione
per se stessi. Si stanno ritagliando alleanze con attivisti sociali e
sindaci di comunità che effettivamente sono prive di servizi e
discriminate, infiltrandosi in una lotta sociale nel tentativo di
annullare le differenze tra loro e la reale periferia economica e
sociale in Israele.
E
questo ci porta alla nostra terza domanda: perché lasciare che si
uniscano alla manifestazione? Perché il sindaco di Sakhnin, una grande
città araba in Israele, è disposto ad andare insieme a loro? Perché il
sindaco di Yerucham, un pacifista del partito laburista, è d’accordo?
Perché il “movimento delle periferie” sta marciando con loro, mano nella
mano?
Non auguro altro che il successo per la “marcia per l’uguaglianza”, ma fatela senza i coloni.
*i
traduttori di Zeitun non condividono l’uso del termine “razza”, ma per
rispettare l’opinione dell’autore hanno deciso di mantenere la
definizione originale.
(traduzione di Amedeo Rossi)
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