Fulvio Scaglione : Hillary Clinton e le relazioni pericolose con l'Arabia Saudita

fscaglioneDonald John Trump, come abbiamo visto, chiuderebbe i confini degli Stati Uniti ai musulmani, tutti potenziali terroristi. E Hillary Rodham Clinton? La candidata del Partito democratico, favorita nella corsa alla Casa Bianca e ora sostenuta dallo stesso Barack Obama, rispose non solo criticando il rivale (che all’epoca, fine 2015, era ancora un pittoresco outsider) ma attaccando tutti i possibili candidati repubblicani: “Ben Carson dice che un musulmano non dovrebbe poter diventare Presidente”, scriveva la Clinton nel sito ufficiale della propria campagna, “Marco Rubio equipara i musulmani ai membri del partito nazista e non esclude la possibilità di mettere sotto controllo e chiudere le moschee. Jeb Bush e Ted Cruz hanno fatto l’ipotesi di istituire un test di affidabilità religiosa per i rifugiati siriani in modo da far entrare solo i cristiani. Chris Christie dice che l’accoglienza dovrebbe essere negata anche agli orfani siriani di tre anni d’età”.
I repubblicani hanno provato il contrattacco. Hanno tirato in ballo presunti legami della Clinton con esponenti dei Fratelli Musulmani. Hanno ripubblicato interviste in cui, subito dopo l’11 settembre, lei si diceva favorevole a misure simili a quelle proposte dai candidati repubblicani in questa campagna elettorale, e da lei ora stroncate. Nulla che abbia impedito alla Clinton di far passare le proprie dichiarazioni come segnali di tolleranza nei confronti dei musulmani e di apertura verso il mondo islamico. Questione non secondaria anche dal punto di vista del marketing politico, perché la giovane età media (24 anni) e il maggior tasso di fertilità (2,8 figli per donna) stanno facendo diventare i musulmani il secondo maggior gruppo religioso d’America dopo i cristiani. Il sorpasso finale sugli ebrei (età media 41 anni, tasso di fertilità 1,9) è previsto intorno al 2050.
Ma siamo sicuri che sia davvero così? Hillary Rodham Clinton, in realtà, ripete il mantra di tutti i politici di spicco degli Stati Uniti: non siamo in guerra con l’islam. Però, come Bush che ha portato la guerra in Afghanistan e in Iraq, anche la Clinton ha una certa tendenza a usare le armi contro Paesi islamici. C’è il suo zampino di segretario di Stato Usa sia nella guerra contro la Libia di Gheddafi (sunnita) sia nelle operazioni poco segrete contro la Siria di Assad (sciita alawita).
Dittatori, si dirà. Ma la Clinton ha una certa dimestichezza, anzi, confidenza con i dittatori musulmani. Nel periodo 1999-2014, l’Arabia Saudita è risultato il terzo maggior donatore per la Fondazione Clinton, dietro l’Ucraina (!!!) e la Gran Bretagna. Nel 2009, quando Julian Assange pubblicò con WikiLeaks migliaia di documenti riservati del Dipartimento di Stato, saltò fuori una lettera della Clinton (segretario di Stato dal 2009 al 2013) ai collaboratori che diceva: “L’Arabia Saudita resta una base decisiva di supporto finanziario per Al-Qaeda, i talebani, Lashkar-e-Taiba e altri gruppi terroristici, compreso Hamas”. E aggiungeva che “i donatori privati dell’Arabia Saudita costituiscono la più significative fonte di finanziamento per i gruppi del terrorismo sunnita nel mondo”.
Nel mondo. Il che non impedì alla Clinton, pochi mesi dopo, di controfirmare con Obama una vendita di armi all’Arabia Saudita per 63 miliardi di dollari, la più grande mai realizzata dagli Usa. Nessun dubbio, a quanto pare, sul fatto che quelle armi potessero andare ad alimentare “i gruppi del terrorismo sunnita nel mondo”.
A Trump l’islam non piace in alcuna forma. Alla Clinton, invece, l’islam piace ricco, sunnita e complice del terrorismo. È una scelta politica di lunga data, come ben ci racconta la giornalista americana Diana Johnstone in una biografia al vetriolo intitolata “Hillary Clinton regina del caos” (Zambon Editore). Un libro “cattivo” ma da non perdere. In particolare, per quanto riguarda il nostro tema, il capitolo in cui la Johnstone ricostruisce il legame particolare (in un certo periodo oggetto persino di pettegolezzo) tra la Clinton e Huma Abedin, entrata alla Casa Bianca a metà anni Novanta come stagista e rapidamente diventata sua assistente particolare. La Habedin non è una qualunque giovane donna saudita di buona famiglia, spedita negli Usa a laurearsi e godersi i soldi di mammà. Al contrario. Prima suo padre Zyed poi sua madre Saleha sono stati alti funzionari della Lega Islamica Mondiale, fondata dai sauditi nel 1962 alla Mecca con lo scopo statutario di finanziare la diffusione del wahabismo (la corrente radicale di islam che è religione di Stato in Arabia Saudita) e il sostegno alle comunità islamiche nel mondo.
Si calcola che dal 1962 a oggi, i soli sauditi abbiano investito nella Lega oltre un miliardo di dollari. E guarda caso nel 2009, appena arrivata al Dipartimento di Stato, la Clinton istituì l’ufficio del Rappresentate degli Usa presso le comunità musulmane, affidato a una compagna di studi della Abedin. Questa, a propria volta, fu anche velatamente accusata di essere un’agente dei servizi segreti sauditi. Cosa che sollevò lo sdegno della Clinton e anche quello del senatore repubblicano John McCain. Perché una cosa nella politica Usa è sempre bipartisan: il silenzio sull’Arabia Saudita.
Fulvio Scaglione
(11 giugno 2016)

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