Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente : A proposito di Sumaya Abdel Qader, candidata PD a Milano, e dei Fratelli musulmani
Nelle
liste legate al candidato sindaco Giuseppe Sala appaiono due candidati
ebrei e due candidate musulmane: Stefano Levi della Torre (tra i
fondatori del CIPMO e esponente della sinistra ebraica), candidato della
lista “Sinistra per Milano” e Daniele Nahum, dirigente della Comunità
Ebraica milanese, candidato PD; Sumaya Abdel Qader (scrittrice e
coordinatrice del progetto Aisha, promosso dal CAIM - Coordinamento
delle associazioni islamiche di Milano, Monza e Brianza e dal Comune di
Milano, un progetto volto a contrastare la violenza contro le donne e la
loro discriminazione) e Maryan Ismail (somala, rifugiata politica
insieme alla sua famiglia, esponente di un islam laico e pluralista). A
tutti auguro di essere presenti nel prossimo Consiglio Comunale. Sarebbe
un bel segnale di pluralità e interculturalismo, importante per la
nostra città.
Sulle due candidate musulmane si è sviluppato un curioso dibattito: Sumaya Abdel Qader dipinta come la cattiva, in quanto esponente dei Fratelli Musulmani; Maryan Ismail descritta come la buona, perché riconosce Israele ed è esponente della Co.Re.Is, l’organizzazione che riunisce gli italiani convertiti all’Islam: una organizzazione importante per la sua apertura religiosa e politica, ma certo non maggioritaria nell’Islam italiano. Al di là del fatto che Sumaya Abdel Qader ha dichiarato di non aderire ai Fratelli Musulmani, penso che il confronto abbia talora raggiunto toni di demonizzazione inaccettabili.
Sumaya, palestinese, ha dichiarato che lo Stato di Israele è oggi una realtà ineludibile e che accetta il Piano Arabo di Pace come base per la soluzione del conflitto. A me questa pare, per un palestinese, una posizione corretta: non mi pare si debba pretendere dai palestinesi una dichiarazione d'amore per Israele o l'adesione al sionismo, cioè il riconoscimento delle ragioni alla base del movimento nazionale ebraico e della creazione di Israele. Io rispetto la percezione della storia che ha l'Altro, se questo non lo porta ad escludere il mio diritto all'esistenza e le mie ragioni di esistere. Il punto di mediazione possibile è politico e concreto, non ideologico. Solo così si può costruire un futuro condiviso, arrivare a conciliare le reciproche storie. Tra l’altro, proprio in questi giorni anche Netanyahu e il nuovo Ministro della difesa, Lieberman, hanno sottolineato l’importanza del Piano Arabo di Pace, come riferimento per far ripartire il negoziato.
Quanto ai Fratelli Musulmani, devo dire che a me non piacciono, non mi piace il loro integralismo e il loro approccio confessionale. Ma non sono come L'ISIS. L'equazione con l'ISIS, con cui si giustifica da alcuni l'appoggio al Presidente egiziano Al-Sisi in nome della lotta al terrorismo (come ha fatto Sergio Romano in un suo famoso editoriale), è sbagliata. L'ISIS è espressione dell'estremismo wahabita, alimentato dalle fondazioni religiose wahabite oltre che dai servizi segreti sauditi e degli Emirati, anche se esso è nemico della casa regnante saudita e fa attentati contro di essa. Ma i Saudi non possono spingere a fondo l'attacco contro ISIS, perché questo farebbe saltare l'accordo con il clero Wahabita, su cui fin dal '700 si basa e si legittima il loro regime.
L’ISIS, come dice il grande islamologo Olivier Roy, è la punta di lancia del sunnismo wahabita per arginare e respingere l'espansionismo sciita. Ma i sauditi sono nemici dell'Islam politico dei Fratelli Musulmani, anch'essi sunniti, e li vedono come un pericolo, per le loro tendenze repubblicane e per la loro aspirazione a partecipare direttamente alla gestione del potere. Per questo hanno appoggiato e finanziato generosamente il colpo di stato di Al-Sisi, in stretto contatto (anche se non dichiarato) con Israele. Non è un caso che la cessione da parte di Al Sisi ai sauditi delle isole sugli stretti di Tiran (la cui chiusura fu all'origine della Guerra dei 6 Giorni) sia stata accolta senza proteste da Israele, tanto è stretta, anche se sottaciuta, la loro alleanza contro l'Iran.
Quanto ai Fratelli Musulmani, Morsi ha certamente fatto errori clamorosi, con una condotta esclusiva che ha progressivamente emarginato le componenti laiche che avevano animato la Primavera egiziana: isolandosi, mandando in rovina l'economia e attirandosi l'odio della popolazione. L'esercito egiziano ne ha così approfittato per riprendersi il potere, che aveva dovuto cedere sotto la pressione della Primavera araba, una volta spezzata l'alleanza tra laici e islamici che ne era stata alla base.
Ma Al-Sisi ha sbagliato a mettere i Fratelli musulmani fuori legge e a massacrarli. Non si può governare contro la metà del paese. Questo ha compattato la Fratellanza sulle posizioni più estremiste, spingendola anche al ricorso al terrorismo. Il Sinai è fuori controllo, il turismo è in coma e l'economia egiziana si regge solo sui miliardi di dollari che le passa l'Arabia Saudita. Il regime egiziano è fragile e frammentato, come dimostra anche il caso Regeni.
D'altronde, l'arcipelago della Fratellanza Musulmana è variegato: in Tunisia e Marocco, forse ammoniti dagli sviluppi egiziani, essi hanno fatto scelte diverse, inclusive e non esclusive; e in Tunisia, una volta perse le elezioni, i Fratelli hanno accettato di tornare all'opposizione. Per questo contro il tentativo tunisino si scaglia il terrorismo ISIS, con gli attentati al Museo del Bardo e sulle spiagge de paese.
Anche in Siria, la cosiddetta opposizione moderata, su cui punta l'Occidente per contrastare l'ISIS e creare un'alternativa a Assad, si richiama ai Fratelli musulmani, anche se va detto che questi gruppi sono oramai i più deboli sul terreno.
Perfino Hamas resta al potere a Gaza perché Israele non ha voluto portare a fondo l'attacco militare nella guerra di due anni fa, per timore di spianare la strada ALL'ISIS e a Al Qaeda: anche adesso il suo regime si regge sui rifornimenti e l'energia che gli passa Israele.
Quanto alla Turchia, L'AKP di Erdogan si richiama anch'esso alla Fratellanza, e per questo è in rotta con Al Sisi e appoggia Hamas. L'involuzione di Erdogan è nota e preoccupante, ma ora la crisi con la Russia lo sta spingendo a chiudere il contenzioso con Israele: l'unico intralcio sono gli egiziani, che vogliono tenere la Turchia fuori da Gaza.
In Medio Oriente non c'è il bianco e il nero, ma predomina il grigio, o meglio le mille sfumature di grigio. E questo vale anche per i Fratelli musulmani.
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Sulle due candidate musulmane si è sviluppato un curioso dibattito: Sumaya Abdel Qader dipinta come la cattiva, in quanto esponente dei Fratelli Musulmani; Maryan Ismail descritta come la buona, perché riconosce Israele ed è esponente della Co.Re.Is, l’organizzazione che riunisce gli italiani convertiti all’Islam: una organizzazione importante per la sua apertura religiosa e politica, ma certo non maggioritaria nell’Islam italiano. Al di là del fatto che Sumaya Abdel Qader ha dichiarato di non aderire ai Fratelli Musulmani, penso che il confronto abbia talora raggiunto toni di demonizzazione inaccettabili.
Sumaya, palestinese, ha dichiarato che lo Stato di Israele è oggi una realtà ineludibile e che accetta il Piano Arabo di Pace come base per la soluzione del conflitto. A me questa pare, per un palestinese, una posizione corretta: non mi pare si debba pretendere dai palestinesi una dichiarazione d'amore per Israele o l'adesione al sionismo, cioè il riconoscimento delle ragioni alla base del movimento nazionale ebraico e della creazione di Israele. Io rispetto la percezione della storia che ha l'Altro, se questo non lo porta ad escludere il mio diritto all'esistenza e le mie ragioni di esistere. Il punto di mediazione possibile è politico e concreto, non ideologico. Solo così si può costruire un futuro condiviso, arrivare a conciliare le reciproche storie. Tra l’altro, proprio in questi giorni anche Netanyahu e il nuovo Ministro della difesa, Lieberman, hanno sottolineato l’importanza del Piano Arabo di Pace, come riferimento per far ripartire il negoziato.
Quanto ai Fratelli Musulmani, devo dire che a me non piacciono, non mi piace il loro integralismo e il loro approccio confessionale. Ma non sono come L'ISIS. L'equazione con l'ISIS, con cui si giustifica da alcuni l'appoggio al Presidente egiziano Al-Sisi in nome della lotta al terrorismo (come ha fatto Sergio Romano in un suo famoso editoriale), è sbagliata. L'ISIS è espressione dell'estremismo wahabita, alimentato dalle fondazioni religiose wahabite oltre che dai servizi segreti sauditi e degli Emirati, anche se esso è nemico della casa regnante saudita e fa attentati contro di essa. Ma i Saudi non possono spingere a fondo l'attacco contro ISIS, perché questo farebbe saltare l'accordo con il clero Wahabita, su cui fin dal '700 si basa e si legittima il loro regime.
L’ISIS, come dice il grande islamologo Olivier Roy, è la punta di lancia del sunnismo wahabita per arginare e respingere l'espansionismo sciita. Ma i sauditi sono nemici dell'Islam politico dei Fratelli Musulmani, anch'essi sunniti, e li vedono come un pericolo, per le loro tendenze repubblicane e per la loro aspirazione a partecipare direttamente alla gestione del potere. Per questo hanno appoggiato e finanziato generosamente il colpo di stato di Al-Sisi, in stretto contatto (anche se non dichiarato) con Israele. Non è un caso che la cessione da parte di Al Sisi ai sauditi delle isole sugli stretti di Tiran (la cui chiusura fu all'origine della Guerra dei 6 Giorni) sia stata accolta senza proteste da Israele, tanto è stretta, anche se sottaciuta, la loro alleanza contro l'Iran.
Quanto ai Fratelli Musulmani, Morsi ha certamente fatto errori clamorosi, con una condotta esclusiva che ha progressivamente emarginato le componenti laiche che avevano animato la Primavera egiziana: isolandosi, mandando in rovina l'economia e attirandosi l'odio della popolazione. L'esercito egiziano ne ha così approfittato per riprendersi il potere, che aveva dovuto cedere sotto la pressione della Primavera araba, una volta spezzata l'alleanza tra laici e islamici che ne era stata alla base.
Ma Al-Sisi ha sbagliato a mettere i Fratelli musulmani fuori legge e a massacrarli. Non si può governare contro la metà del paese. Questo ha compattato la Fratellanza sulle posizioni più estremiste, spingendola anche al ricorso al terrorismo. Il Sinai è fuori controllo, il turismo è in coma e l'economia egiziana si regge solo sui miliardi di dollari che le passa l'Arabia Saudita. Il regime egiziano è fragile e frammentato, come dimostra anche il caso Regeni.
D'altronde, l'arcipelago della Fratellanza Musulmana è variegato: in Tunisia e Marocco, forse ammoniti dagli sviluppi egiziani, essi hanno fatto scelte diverse, inclusive e non esclusive; e in Tunisia, una volta perse le elezioni, i Fratelli hanno accettato di tornare all'opposizione. Per questo contro il tentativo tunisino si scaglia il terrorismo ISIS, con gli attentati al Museo del Bardo e sulle spiagge de paese.
Anche in Siria, la cosiddetta opposizione moderata, su cui punta l'Occidente per contrastare l'ISIS e creare un'alternativa a Assad, si richiama ai Fratelli musulmani, anche se va detto che questi gruppi sono oramai i più deboli sul terreno.
Perfino Hamas resta al potere a Gaza perché Israele non ha voluto portare a fondo l'attacco militare nella guerra di due anni fa, per timore di spianare la strada ALL'ISIS e a Al Qaeda: anche adesso il suo regime si regge sui rifornimenti e l'energia che gli passa Israele.
Quanto alla Turchia, L'AKP di Erdogan si richiama anch'esso alla Fratellanza, e per questo è in rotta con Al Sisi e appoggia Hamas. L'involuzione di Erdogan è nota e preoccupante, ma ora la crisi con la Russia lo sta spingendo a chiudere il contenzioso con Israele: l'unico intralcio sono gli egiziani, che vogliono tenere la Turchia fuori da Gaza.
In Medio Oriente non c'è il bianco e il nero, ma predomina il grigio, o meglio le mille sfumature di grigio. E questo vale anche per i Fratelli musulmani.
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