Sterminate quei monaci. Firmato: il viceré Graziani

È stata la più grande strage di religiosi cristiani mai avvenuta in Africa. Più grande ancora di quella compiuta in questo stesso luogo dagli Ottomani nel luglio del 1531. È costata la vita a circa duemila persone, la metà delle quali erano preti, monaci e diaconi, e a compierla non sono state milizie islamiste ma i soldati al comando del viceré italiano d’Etiopia Rodolfo Graziani. Quella avvenuta nel maggio 1937 nel monastero etiope di Debre Libanos è una voragine nella nostra memoria e una ferita ancora aperta nei rapporti tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa d’Etiopia.

A sollevare il velo di silenzio che ancora avvolge quei fatti è un docufilm di oltre un’ora che sarà trasmesso da Tv2000 sabato 21 maggio alle ore 21 e replicato domenica alle 18,30. Antonello Carvigiani, giornalista e autore del reportage, ha riportato alla luce documenti e testimonianze inedite scovando anche l’ultimo testimone ancora vivente. E grazie al contributo del più importante studioso della strage, lo storico inglese Ian Campbell che sta per pubblicare un libro sulla vicenda, ricostruisce nel dettaglio l’accaduto.

Il monastero di Debre Libanos, fondato nel XIII secolo dal santo Teclè Haimanòt, si trova nella regione degli Amara, a Nord-Ovest di Addis Abeba, ed è situato tra una rocca e una gola create dall’affluente del fiume Abbay. È ancora oggi il polmone spirituale del cristianesimo ortodosso etiope.

«Tutti sistemati»
L’antefatto della strage si verifica il 19 febbraio 1937, quando Rodolfo Graziani subisce un attentato durante una cerimonia pubblica nella capitale etiope. Alcuni esponenti del movimento dei patrioti ribelli, mescolati tra la gente, lanciano degli ordigni: muoiono sette persone e il viceré italiano rimane gravemente ferito. Sulla base delle prime informazioni che parlavano di un coinvolgimento dei monaci, senza prove e senza attendere l’esito delle indagini ufficiali, Graziani dà l’ordine al generale Pietro Maletti di massacrare tutto il clero di Debre Libanos.

Il documentario di Tv2000 ricorda che le truppe italiane circondano l’area il 18 maggio, lasciando transitare i fedeli diretti al monastero per la festa di san Michele che si sarebbe celebrata nei giorni successivi, ma impedendo allo stesso tempo di uscire a quanti volevano farlo. I pellegrini rimangono dunque intrappolati, vittime della stessa sorte che toccherà ai monaci. Poi viene sferrato l’attacco.

Secondo le ultime ricerche storiche, il numero dei morti sarebbe compreso tra 1.800 e 2.200: Ian Campbell ritiene che duemila sia la cifra che più si avvicina alla realtà, nonostante il rapporto ufficiale stilato dal viceré per Mussolini si limiti a citare 449 morti. «I numeri delle vittime riferiti da Graziani furono molto bassi - spiega Campbell -, sappiamo che il numero dei membri del clero, inclusi i monaci, non era inferiore al migliaio». In un telegramma del generale Maletti, spedito il giorno successivo alla strage, si legge: «Confermo che tutti indistintamente i personaggi segnalati sono stati definitivamente sistemati».

L’ultimo testimone
L’autore del docufilm ha potuto incontrare e intervistare l’ultimo testimone della strage, l’ultranovantenne Ato Zewede Geberu, all’epoca bambino. «Nel giorno della festa di san Michele non sono andato a Debre Libanos. Moltissimi fedeli dei villaggi qui intorno sono andati al monastero. Ma la mia famiglia quella volta decise di non andare. Una decisione che ci ha salvato la vita. Non ho visto il massacro. Ma l’ho sentito. Ho sentito i colpi della mitragliatrice. Abbiamo avuto paura, siamo rimasti nascosti nel nostro villaggio. Due-tre giorni dopo sono andato a vedere. C’erano ancora i cadaveri, centinaia di morti, forse 600, 700… E gli animali cominciavano a mangiarli. C’erano soldati italiani che si aggiravano ancora da quelle parti».

L’eccidio avviene in un luogo isolato. Lontano da testimoni. Molti corpi sono lanciati in una gola profonda circa 500 metri. La memoria della strage doveva essere dolorosa anche per chi l’aveva commessa eseguendo gli ordini ricevuti. Racconta il monaco Abba Hbte Gyorgis: «Alcuni anziani mi hanno raccontato che i militari italiani usavano ombrelli bianchi per proteggersi dal sole. Dopo la strage, alcuni soldati hanno portato al monastero il loro ombrello bianco per chiedere scusa. In segno di riconciliazione. Nel museo del monastero sono conservati tre di questi ombrelli».

Il docufilm di Tv2000, che si avvale della regia e della fotografia di Andrea Tramontano, si conclude con l’intervista ad abuna Matthias I, Patriarca della Chiesa ortodossa di Etiopia: «Non si è trattato di una cosa buona. Abbiamo perso tantissime persone, inclusi i monaci, il vescovo Abuna Petros. Adesso quasi tutto giustamente è stato dimenticato e perdonato. Posso dire che è bene così. Cosa si può fare adesso?». Forse è meglio ricordare.


Questo articolo è stato pubblicato nell’edizione odierna del quotidiano La Stampa 

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