Raid a Gaza. Sr. Nadila: viviamo come in una grande prigione

Il confine tra Israele e la Striscia di Gaza in una foto d'archivio - AFP





Il confine tra Israele e la Striscia di Gaza in una foto d'archivio - AFP

Quarto giorno consecutivo di bombardamenti israeliani nella Striscia di Gaza, in risposta al lancio di colpi di mortaio. Tel Aviv ha fatto sapere che l’aviazione avrebbe colpito infrastrutture terroristiche nel sud. Finora, non ci sono notizie di vittime, ma si teme una nuova escalation di violenza nell’area. Per una testimonianza diretta della situazione, Roberta Barbi ha raggiunto telefonicamente suor Nadila, della Congregazione del Rosario, che si occupa dei bambini di una scuola a Gaza City:

R. – Sino adesso, noi a Gaza City, dove viviamo, abbiamo sentito i bombardamenti. Adesso la gente, quando vengono i parenti nella nostra scuola, sente che c’è un’altra guerra. La gente ha tanta paura e non sopporta che ci possa essere una nuova guerra. A Gaza, infatti, dalla guerra dell’anno scorso non è stato ricostruito ancora nulla.
D. – C’è dunque il rischio concreto che si torni a una situazione simile a quella del 2014, con 54 giorni di violenze ininterrotte e migliaia di morti?
R. – Stamattina, ho parlato con un giornalista che porta i bambini nella nostra scuola e gli ho chiesto come sia la situazione perché lui si reca per lavoro in quei posti dove avvengono i bombardamenti. Ha detto che Israele non vuole una nuova guerra, ma se la situazione continua così ci potrebbe essere un’altra guerra. Noi speriamo di no, perché i bambini non sono ancora “guariti” dalla guerra precedente.
D. – Dell’esistenza che si conduce a Gaza si parla molto poco. Ormai, la comunità cristiana è ridotta a poco più di un migliaio di fedeli. Come vivono i bambini, i giovani, gli anziani, i malati?
R. – A livello economico, a Gaza quest’anno le cose non vanno troppo bene. Noi vediamo, quando le famiglie vengono a pagare per gli studenti, che la situazione economica non è buona. Il valico con l’Egitto è chiuso, il valico di Erez è chiuso, tutti siamo – come si sente spesso dire – rinchiusi in una grande prigione a cielo aperto. Per quanto riguarda i malati, ci sono quelli che ottengono i permessi per andare in Israele o a Nablus, nell’ospedale di governo. Altri, che non hanno queste possibilità, rimangono negli ospedali di Gaza. Non va tanto bene, ci sono tante persone che vivono al di sotto della soglia di povertà. Il mese scorso, a scuola, abbiamo organizzato un’attività per aiutare i poveri e siamo andati nei paesi, nei villaggi più piccoli. Non immaginavo ci fossero persone che vivessero così – senza casa, senza cibo, senza lavoro, senza aiuto – in una situazione miserabile.
D. – A luglio ci sarà la Gmg in Polonia e dalla Striscia dovrebbero partire cinque giovani, ma ancora non si sa se avranno il permesso delle autorità. Sarebbe la prima volta per i giovani di Gaza. È un sogno che si realizza?
R. – Noi speriamo riescano ad andare tutti e cinque, perché sarebbe la prima volta che da Gaza escono cinque giovani... È il loro sogno! Speriamo si realizzi, il permesso. Quest’anno, Israele ha dato permessi a tanti cristiani e la maggioranza dei cristiani è uscita: hanno preso 45 giorni per andare a Gerusalemme e poi tornare a Gaza. Speriamo che li diano anche ai giovani.


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