Passaggi: Le parole di Jabra Ibrahim Jabra per la giornata della Nakba

 

 

 

 (quadro di
RINA NAJI: la Nakba

Dal blog Mille e una pagina di Claudia Negrini

 

La Nakba, la catastrofe, si celebra oggi per ricordare le ingiustizie che i palestinesi hanno subito e continuano a subire. Nel 1948, oggi, nasceva lo Stato di Israele, per volere delle potenze occidentali. L’occupazione e il conseguente esodo della popolazione palestinese erano già iniziati l’anno precedente in maniera più consistente, ma a partire da quella data, le operazioni di Israele per occupare quella terra vennero giustificate e condotte in maniera spietata e sistematica. Molti Stati arabi insorsero e cercarono di difendere la popolazione e la terra palestinese, invano.
Spesso ho parlato della letteratura palestinese, in particolare di poesia. E proprio a questa voglio affidarmi anche oggi, voglio affidarmi alle parole di chi, questo giorno, l’ha vissuto in prima persona. L’autore Jabra Ibrahim Jabra ha vissuto in Palestina, a Betlemme, fino a quando, dopo la Nakba, è stato costretto all’esilio in Iraq. Ecco come parla della condizione dell’esiliato.
Nel deserto dell’esilio
Nel deserto dell’esilio primavere s’inseguono.
Che ne è del nostro amore
quando i nostri occhi di polvere
e gelo sono colmi?
Verde Palestina terra nostra
dai fiori come pizzi sulle gonne delle donne.
Marzo adorna le colline
con peonie e narcisi
Aprile schiude nel campi
fiori e spose
Maggio è melodia
cantata al meriggiare
nelle ombre azzurre
tra gli ulivi e le valli
e nei campi maturi
di Luglio aspettiamo le promesse
e la danza chiassosa fra la messe.
Terra della nostra gioventù trascorsa
come sogno all’ombra di aranceti
tra i mandorli delle valli,
ricordaci erranti
tra le spine del deserto
erriamo tra le rocce del monti
ricordaci ora
nel tumulto cittadino oltre i mari e i deserti,
ricordaci
di noi ricolma gli occhi
di polvere che non va via
nella rapida sosta dell’erranza.
Annientarono i fiori sui colli attorno a noi
e su di noi abbatterono le case
sparsero i nostri resti
e innanzi a noi distesero il deserto
ecco abissi avvolgersi nelle proprie viscere
e ombre azzurre fendersi
in spine rosse chine
su corpi -preda per falchi e sparvieri.
Dalle tue cime gli angeli cantano ai pastori
melodie di gioia e pace all’umanità?
Solo la morte rise quando vide
nel ventre delle bestie
costole umane,
tra i colpi dei proiettili,
si mise a ballare una danza gioiosa
in testa alle prefiche.
Terra di smeraldo –
ma nel deserto dell’esilio
primavere s’inseguono
sul nostro volto solo polvere.
Che ne è del nostro amore
quando occhi e bocche di polvere e gelo sono colmi?

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