Nadia Bouzekri, 24 anni, è la prima donna presidente dei Giovani musulmani d'Italia

 
 
 
 
 
 
 
E' nata a Sesto San Giovanni da genitori marocchini. Alle istituzioni chiederei di smettere di trattarci come una minaccia: esiste una generazione di musulmani…
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E' nata a Sesto San Giovanni da genitori marocchini. "Alle istituzioni chiederei di smettere di trattarci come una minaccia: esiste una generazione di musulmani che ogni giorno contribuisce a costruire questo Paese"

di Brahim Maarad

Si chiama Nadia Bouzekri, ha 24 anni ed è la prima donna presidente dell’Associazione dei Giovani musulmani d’Italia. La più importante realtà giovanile del mondo islamico italiano, fondata 15 anni fa, conta oltre 1.200 iscritti e 51 sezioni locali su tutto il territorio nazionale. E’ stata scelta dall’assemblea dei soci sabato scorso a Piacenza. Dopo un’intensa campagna elettorale dove alcuni l’avevano ritenuta non in grado di ricoprire un ruolo così importante. O comunque che mancava ancora la maturità necessaria per affidare l’associazione a una donna.

Bouzekri invece ha vinto. Grazie all’appoggio di tanti giovani uomini e donne che hanno voluto fare l’importante passo. Ora da neopresidente minimizza: “Non è questione di essere maschio o femmina. Il Gmi non mai è stato un’associazione sessista o settaria. Sono sempre state premiate le competenze. Attualmente oltre il settanta per cento dei direttivi locali è in mano alle ragazze. Semplicemente perché sono brave”.

Tuttavia le critiche non sono mancate, qual è stata quella più ricorrente?
“Alcuni hanno espresso perplessità sulla possibilità di riuscire a fare tutti i viaggi che l’incarico richiede. Attraversare insomma il Paese da sola. Ma già durante il mio precedente impegno nel direttivo nazionale ho viaggiato molto e ho quindi dimostrato come sia fattibile. Ho sempre trovato riscontri positivi e naturalmente ognuno è libero di pensarla come ritiene opportuno. Le critiche sono sempre ben accette. Siamo giovani e abbiamo molto da imparare. Cominciamo ascoltandoci a vicenda”.

Anche di recente, in particolare dopo la strage al Bataclan, c’è chi ha accusato la vostra associazione di avere appoggi esterni non limpidi. E di subire delle influenze da parte dell’estremismo. La sua elezione si può considerare una risposta?
“Lo è in parte. Non perché sia stata eletta una donna ma perché è avvenuto con un processo democratico in cui i soci hanno votato chi hanno ritenuto più opportuno. E’ ciò su cui ci dobbiamo concentrare. Per quanto riguarda l’accusa di estremismo, l’impegno dei Giovani musulmani è quotidiano. Non solo attraverso le manifestazioni pubbliche ma anche, e soprattutto, nelle attività locali di tutto l'anno. Quelle di cui forse non si parla ma che in realtà contribuiscono a costruire un futuro migliore”.

Che futuro vorrebbe per i giovani musulmani italiani?
“Un futuro dove non si sentano estranei nel proprio Paese. Dove siano parte integrante e attiva della società. Dove non debbano sentire ogni giorno la necessità di dover dimostrare di appartenere a questa nazione. Un futuro dove non ci siano quartieri come Molenbeek”.

Lei si è mai sentita estranea?
“Io sono nata a Sesto San Giovanni, città medaglia d’oro al valore militare per la Resistenza. I miei genitori sono di Marrakech, città di cui sono innamorata. Mi sono laureata a Milano in lingue e letterature straniere e ora studio management all’Università di Reggio Emilia. Eppure ogni tanto il mio velo porta alcune persone a guardarmi come se fossi non solo estranea ma persino pericolosa. Non incolpo loro ma quella classe politica che ha fatto della diffidenza e del pregiudizio una perenne campagna elettorale. Spesso quel velo viene ritenuto motivo sufficiente per non assumere delle ragazze assolutamente competenti. Io stessa non sono stata accettata per alcuni tirocini perché porto il velo, nonostante il mio ottimo curriculum”.

Qual è la sua priorità?
“Abbattere quei muri di diffidenza e pregiudizio. Fare capire alle persone che esiste una generazione di giovani musulmani italiani che ogni giorno contribuisce a costruire questo Paese. Abbiamo ormai tra di noi medici, avvocati, ingegneri, insegnanti, educatori. Nel loro giorno libero fanno volontariato. Chi con la Croce rossa, chi con le fondazioni per l’assistenza ai profughi e chi in tanti altri settori. Tante brave persone che vengono scoperte solo quando si smette di giudicarle per il loro velo o la loro barba”.

Non è sicuramente il momento più facile per guidare un’associazione islamica, le sfide sono tante. Come intende affrontarle?
“Se posso rivolgermi alle Istituzioni, chiederei loro di smettere di trattare i musulmani come una minaccia da temere. E’ necessario un passo di apertura, soprattutto culturale. Ad esempio è impensabile continuare a negare i luoghi di culto perché così non si fa altro che favorire la clandestinità. Ed è ciò di cui nessuno di noi ha bisogno. Noi vogliamo ad esempio delle moschee che siano autorizzate, trasparenti e aperte. Da parte nostra, i giovani continuano a portare avanti tante iniziative per mostrare ai non musulmani quello che è il vero volto dell’islam”.
 
 

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