L'Egitto riapre l'inchiesta contro le ong ma sui giornali è vietato parlarne. Nel mirino dei giudici il centro contro le torture


 
 
 
 
 
Il regime militare di al-Sisi ha riaperto il Caso 173. Lo scopo è perseguire tutte le organizzazioni non governative accusate di ricevere finanziamenti dall'estero.…
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Il regime militare di al-Sisi ha riaperto il Caso 173. Lo scopo è perseguire tutte le organizzazioni non governative accusate di ricevere finanziamenti dall'estero. Subito dopo le rivolte del 2011, furono le ong egiziane a subire continue perquisizioni e minacce.
Il caso venne diviso in due tronconi nel dicembre del 2011: uno che coinvolge le ong internazionali e l'altro quelle locali. In seguito alle indagini, vari gruppi di tutto il mondo attivi nel paese vennero chiusi e molti operatori vennero condannati da uno a cinque anni mentre Freedom House e il Centro internazionale dei giornalisti vennero definitivamente chiusi.
La seconda parte di questo caso coinvolge tre giudici: Hisham Abdul Majid, Ahmad Tawab e Khaled Ghamry che hanno continuato a investigare sulle organizzazioni non governative locali. Secondo il quotidiano al-Shorouk, al-Sisi in persona si starebbe interessando del caso poiché considera queste ong come espressione della longa manus degli Stati uniti nel paese.
Sono 41 le ong sotto inchiesta nel Caso 173, incluso il centro al-Nadeem per la riabilitazione delle vittime di violenza e tortura, che da settimane sta resistendo alla chiusura e che è stato ampiamente citato da Amnesty durante l'ultima conferenza stampa dei genitori di Giulio Regeni per dimostrare che il caso del ricercatore friulano "non è isolato". Le accuse che vengono mosse sono di finanziamenti dall'estero e mancanza di licenze. Con la prima accusa non solo sono state colpite le organizzazioni terroristiche ma tutta la società civile egiziana.
Nel Caso 173, 43 operatori di ong inglesi e tedesche vennero arrestati nel 2013. Nell'ambito dello stesso caso un numero crescente di attivisti sono stati bloccati in aeroporto mentre cercavano di lasciare il paese e molti hanno ricevuto minacce di vedere bloccati i loro asset finanziari. Per il Caso 173, 41 ong egiziane sono sotto controllo, incluso il Network arabo per i diritti umani, l'Iniziativa egiziana per i diritti personali, il Centro studi per i diritti delle donne Nazra. La lista includerebbe ong internazionali come Save the Children e Amideast.
Il giudice, Hesham Abdel Meguid, ha emesso poi una circolare che vieta la pubblicazione sui media pubblici di qualsiasi notizia inerente il Caso 173. La decisione sarebbe stata presa in una riunione ristretta a cui hanno preso parte il presidente al-Sisi e il premier Sherif Ismail. Meguid ha in particolare accusato Gamal Eid e Hossam Bahgat di ricevere fondi per conto di organizzazioni legate alla Open Society Foundation (Osf). Secondo la magistratura egiziana, Osf avrebbe lo scopo di innescare conflitti e proteste nel paese. Bahgat si è distinto per le sue inchieste critiche nei confronti del regime. In particolare in un articolo apparso sul quotidiano Mada Masr ha direttamente accusato la lista elettorale «Per l'Amore dell'Egitto» che ha portato alla schiacciante vittoria di al-Sisi alle elezioni parlamentari di essere infiltrata dai Servizi segreti egiziani, come lo era il movimento Tamarrod (ribelli) che guidò il golpe militare del 3 luglio 2013.
Il quotidiano al-Masry al-Youm ha pubblicato un leak con una lista di 190 operatori e ong egiziane e statunitensi, coinvolte nel caso. Al-Nadeem e Nazra hanno risposto con un documento in cui criticano i provvedimenti definendoli come «incostituzionali». In una lettera aperta ad al-Sisi, 52 esponenti di ong locali hanno chiesto di non procedere con la repressione della società civile. Se si andasse avanti così, la comunità locale che difende i diritti umani sarebbe messa definitivamente a tacere, si legge nel testo.
Alcuni parlamentari hanno chiesto invece al premier Sherif Ismail di adoperarsi contro le ong che operano in Egitto. Tra loro, Abdel Rehim Ali, ha chiesto di prendere duri provvedimenti contro le ong straniere che operano nel paese, soprattutto se hanno avuto un ruolo nel finanziare il terrorismo e atti criminali. Secondo la nuova legge anti-terrorismo, entrata in vigore lo scorso 11 gennaio in seguito all'approvazione del decreto presidenziale da parte del parlamento, la definizione di atti di terrorismo è estremamente vaga.
Con questa norma, si possono colpire tutti i settori della società civile e dell'attivismo di opposizione. Il parlamentare Mustafa Bakry è andato oltre accusando le ambasciate statunitensi e britannica nel paese di esercitare pressioni sul governo per impedire indagini sulle ong straniere nel paese.
Infine, anche i giornalisti critici continuano a subire intimidazioni. Questa volta è toccato alla nota presentatrice televisiva, Azza al-Hennawy, che ha criticato al-Sisi dallo schermo del canale al-Qahera perché in due anni al governo non ha realizzato nessuna delle sue promesse, paragonandolo ad Adolf Hitler. Subito dopo, il presidente della radio e televisione pubblica, Essam al-Amir, ha formato un comitato per valutare le accuse contro Hennawy disponendone il licenziamento.

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