Il sabato degli eritrei a Tel Aviv


Il sabato degli eritrei a Tel Aviv

Centinaia di fedeli si riuniscono ogni settimana in una chiesa improvvisata alla periferia di Tel Aviv: una grande sala arredata con simboli e oggetti cristiani.
I fedeli raggiungono l’edificio anonimo della città israeliana. Sono alcuni delle migliaia di eritrei che vivono in Israele. Le loro chiese sono parte integrante della comunità e forniscono una temporanea fuga dalle politiche spesso ostili del governo israeliano.
“Per noi andare in chiesa è come l’acqua per i pesci”, spiega all’Ap il prete Solomon Eyob Ghebrezgabiher, il leader spirituale di santa Maria, un’altra chiesa ortodossa a sud di Tel Aviv. “Senza la religione e la chiesa non possiamo vivere”.
In Israele ci sono circa 45mila migranti africani e richiedenti asilo: la maggior parte di loro viene dall’Eritrea. Molti sono in fuga da conflitti e persecuzioni e sperano di ottenere lo status di rifugiato. Secondo il governo, invece, sono migranti economici i cui numeri minacciano il carattere ebraico del paese. I residenti li incolpano per l’aumento dei tassi di criminalità.
Negli ultimi anni il governo israeliano ha cercato di limitare il numero dei migranti. Ha costruito una recinzione lungo il confine con l’Egitto, ha inviato molti in una struttura di detenzione nel deserto e in alcuni casi li ha mandati in Africa in paesi terzi con cui è stato stretto un accordo.
Ma il sabato i fedeli eritrei si vestono con gli abiti migliori e vanno a pregare, rispettando il giorno di riposo ebraico invece della domenica. I migranti hanno dovuto adeguarsi alle altre tradizioni israeliane, tra cui la burocrazia. Alcune chiese sono state sfrattate perché si trovavano in zone residenziali, mentre altre sono state accusate imposte le tasse municipali, dalle quali i luoghi di culto sono in genere esentati.
Le foto sono state scattate da Oded Balilty tra aprile e maggio del 2016.

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