Eric Salerno : L'annessione del Golan e dei territori palestinesi, la fine di un sogno per gli israeliani
Il
kibbutz, dice il mio amico, ha perso la sua anima mentre su scala
nazionale il quasi laico Netanyahu alleato dei nazional-religiosi
continua a costruire nei…
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Giorni fa, il premier israeliano Netanyahu ha avvertito Puntin e con
lui tutto il mondo che Israele mai restituirà le alture del Golan alla
Siria. L'altro ieri il ministro della giustizia israeliano Ayelet Shaked
(Partito dei Coloni) ha ripetuto che è intenzionata ad applicare
ufficialmente, entro un anno, la legge israeliana alla Cisgiordania
sotto occupazione militare. Non vuole che i coloni siano giudicati in
base alle leggi applicate ai palestinesi. È sempre più chiaro, talvolta
pure confermato da esponenti del governo, che di fronte al caos che sta
devastando e trasformando il mondo arabo del Medio Oriente, Israele
intende consolidare il proprio controllo sui territori occupati nella
guerra del 1967. Significherebbe eliminare ogni possibilità di
raggiungere un accordo di pace e trasformerebbe Israele in uno stato
bi-nazionale, non più "il paese degli ebrei" come lo definisce
Netanyahu.
Pochi giorni fa mi trovavo su un kibbutz in Galilea. Un
luogo splendido in cima a una collina a ridosso del monte Gilboa. Un
luogo di sogno per molti pionieri (non soltanto sopravvissuti
all'Olocausto) arrivati da mezzo mondo per costruire una vita nuova, un
po' socialista. Erano idealisti, certamente, forse possiamo dire oggi,
un po' naif. Le terre di questo insediamento e di altri nella zona erano
state acquistate legalmente dai proprietari arabi prima della
fondazione di Israele. I pionieri, rappresentanti dell'ala più a
sinistra del sionismo, pensavano già alla globalizzazione, alla
possibilità di vivere in armonia, come vicini di casa, con gli arabi
palestinesi.
Il Primo maggio di non molti anni fa, le parole e le
note dell'Internazionale accompagnavano il pasto nella sala comune. Ieri
l'altro, anche nel kibbutz come altrove in Israele, si ascoltavano le
voci di chi, con enorme tristezza, ammetteva la fine del sogno. "Feci
bene a venire ma oggi non farei la stessa scelta". L'anziano amico
australiano è deluso. E non solo per la politica di Netanyahu e il
fallimento del processo di pace che, coraggiosamente, aveva intrapreso Itzhak Rabin prima di essere assassinato da un estremista ebreo.
Sono già due anni che l'amico kibbutznik è profondamente frustrato. I
religiosi, spiega, sono ancora una minoranza ma hanno il sopravvento sui
laici. Prima, durante le feste della pasqua ebraica nella sala da
pranzo si serviva sia pane che il tradizionale pane azzimo. In questi
giorni c'era solo il pane voluto dai pochi religiosi che si erano
aggiunti alla piccola comunità. Il kibbutz, dice il mio amico, ha perso
la sua anima mentre su scala nazionale il quasi laico Netanyahu alleato
dei nazional-religiosi continua a costruire nei territori palestinesi
occupati per realizzare il sogno di suo padre, esponente dell'ala più a
destra del sionismo: uno stato ebraico dal Mediterraneo al fiume
Giordano. "Se fossi più giovane - ammette con tristezza un altro vecchio
amico a Gerusalemme - tornerei in Canada dove ero finito sfuggendo
all'Olocausto. Quello che vedo oggi in Israele non mi piace più".
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