Daoud Nassar: a Betlemme la mia fattoria che coltiva dialogo



 Daoud375nassa_51100104_300

Ci troviamo in una situazione di grande conflitto ben nota a tutti, che fa davvero male non solo a me, alla mia famiglia, alla mia terra ma anche ai miei vicini di casa, che siano ebrei o musulmani. Il desiderio di pace comunque sia non è spento, anzi è più potente di qualsiasi ingiustizia subita. Ritengo sia sbagliato rispondere combattendo con violenza, perché produce male da tutte le parti e soprattutto non è vero che si ottiene un risultato soddisfacente.

Una vittoria ottenuta oggi, raggiunta con la violenza, prima o poi è una sconfitta amara domani per tutte le parti chiamate in causa e per le giovani generazioni. Interpretare il ruolo delle ‘vittime’ anche questa è una scelta sbagliata, così come aspettare che altri trovino soluzione ai nostri problemi, o lasciare che altri approfittino della nostra remissività. Molti preferiscono fuggire… Anche con questa soluzione non sono d’accordo.

La terra è madre, è l’unica madre di tutti coloro che vi abitano. Non voglio abbandonare mia madre e non chiedo ai miei fratelli di abbandonare mia madre, che siano ebrei, musulmani o cristiani. Inoltre, fuggire da questa terra significa fuggire da un conflitto che, in fondo, mi chiede di rimanere, mi richiama a quella responsabilità che gioca un ruolo importante, dal quale non sarebbe corretto fuggire. Il conflitto, in fondo, nasconde una chiamata. Ciò che ritengo indispensabile è rispondere a qualsiasi azione di conflitto con una disponibilità al dialogo creativo, denunciare sempre per vie legali un’azione ingiusta, rimanendo sempre nella disponibilità a ricominciare la relazione con chi ci ha inflitto l’ingiustizia. Significa non perdere mai e per nessun motivo la speranza. Voglio dire che è necessario attuare strategie non violente per relazionarsi con chi è vicino a noi e non riesce ancora a vederci come fratelli.

Fondamentale è creare una rete di solidarietà e condivisione di questo stile, di questo ideale, sia con i nostri vicini che a livello internazionale, per essere, reciprocamente, fonte di ispirazione costruttiva per il bene comune e condiviso. Altra cosa indispensabile è educare i nostri figli a questo stile evangelico, mettendoli a contatto con Madre Terra e facendoli crescere come crescono i nostri raccolti: in pace e per la pace. La visione che da sempre, con la mia famiglia da più generazioni, vogliamo perseguire è mettere in relazione le persone tra loro, attraverso il lavoro costruttivo e rispettoso della terra, creando così ponti di comprensione e di pace, risvegliando la consapevolezza di sé e delle proprie attitudini, proprio attraverso il dialogo e il lavoro condiviso.

Con questo atteggiamento, il diverso non è più una persona di cui diffidare, ma diventa una risorsa di scambio per imparare e fare esperienza di tutto questo. Un Paese come il mio, che vive continue evoluzioni sociali e culturali controverse di due popoli che non sanno ancora convivere pacificamente, invita ad aprirsi ad un atteggiamento libero e all’opportunità di sperimentare un’accoglienza disarmata, che va oltre i limiti di paure e violenze. Quando si subiscono atti di prevaricazione, è importante, per la propria dignità e per salvaguardare anche la dignità di chi compie atti di ingiustizia, agire e reagire in modo costruttivo e relazionale. Sempre. L’altro rimane scioccato, l’ho visto con i miei occhi, quando la reazione non corrisponde a ciò che normalmente ci si aspetta quando si vive nel conflitto…

È più istintivo rispondere con violenza alla violenza oppure chiudersi nel vittimismo oppure non affrontare a testa alta la situazione e fuggire. Le tensioni portano sentimenti di tristezza, rabbia, solitudine e abbandono, ma il vero sentimento che sovrasta tutto ciò è l’amore e il rispetto verso la dignità propria e quella dell’altro, chiunque esso sia e in ogni circostanza, soprattutto nel conflitto. Il discernimento nello stare dentro a una situazione difficile fa la differenza! Molte persone credono che reagire con la violenza possa portare a qualche risultato e porti nuovi sviluppi; io non lo credo: io cerco il contatto umano sempre e con chiunque.

Quando si sente parlare dai media delle contraddizioni presenti nel mio Paese, l’idea comune è purtroppo negativa, quella che due popoli che vivono qui siano nemici. Io, con la mia famiglia, vogliamo uscire da questo circolo che non porta a niente e non fa bene a nessuno. È una necessità fondamentale volgere lo sguardo in una visione più ampia e nitida di quello che succede qui. Se qualcuno mi dice che io ho un nemico o che io stesso lo sono o che subisco i torti che rappresentano lo scenario dell’immaginario collettivo di questa terra, io rispondo: «Tu lo dici, ma io non sono un nemico e non ti considero tale, io cerco la pace delle relazioni e la giustizia dei fatti».

Di fronte a un tipo di reazione come questo, l’altro rimane scioccato, completamente disarmato. Io guardo l’altro come fratello, questo è l’imprinting di ogni mia azione. Il mio agire parte da questo. Ciò che si muove nell’altro è l’inizio di una corrispondenza di sguardi che sciolgono le diffidenze, le paure e le violenze. Uno sguardo, un invito al dialogo… sono la forza che sovrasta il conflitto e l’ingiustizia. Ed è in questo preciso momento che nella coscienza di entrambe le parti qualcosa cambia, la visione della situazione assume un’altra prospettiva e lo sguardo verso l’altro si apre a una comprensione più grande e obiettiva. È una visione del cambiamento che parte dal basso, dalla semplicità del quotidiano e dalla fede nella speranza e nella possibilità di vera relazione. In questo modo, la frustrazione si trasforma in un agire che tende alla ricerca di dialogo, a mettere da parte egoismi e mentalità miopi. Sono chiamato a non avvilirmi, a non fermarmi e a non criticare le azioni di altri.

Credo che il vero valore dell’uomo si manifesti attraverso l’agire che ha come obiettivo l’espressione della propria dignità umana, la propria spiritualità e il rispetto verso la dignità e spiritualità altrui. Chiunque osservi realmente il lato umano del prossimo certo non può più considerarlo un nemico, non è umanamente possibile. Allora perché non risvegliare in noi questo senso costruttivo e creativo nella quotidianità? Qualunque essa sia… Questo è molto importante per me, è il mio messaggio cristiano di fede e di uomo che affronta con tenacia, speranza e fede la propria esistenza. Non è una debolezza amare, è la forza! Proprio perché non è facile, soprattutto in contesti di conflitto, amare è la vera forza! Chi è di ostacolo a questo può anche essere più potente, può anche avere più libertà o i mezzi e gli strumenti per prevaricare, ma il modo di vedere le cose, la spiritualità insita in ciascuno e il lato umano sono ancora più potenti…

È una potenza che parte dall’intima coscienza interiore, è una forza che si muove dal basso, dal semplice e dal quotidiano. Se si affrontano in questo modo le situazioni difficili, allora la coscienza cambierà, la vita cambierà, le relazioni stesse cambieranno… E più diffonderemo questo atteggiamento, più esso divamperà e si propagherà cambiando il mondo.


Daoud Nassar: a Betlemme la mia fattoria che coltiva dialogo

http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/NONVIOLENZA-.aspx

Commenti

Post popolari in questo blog

Né Ashkenaziti né Sefarditi: gli Ebrei italiani sono un mistero - JoiMag

Betlemme : il Muro e la colonizzazione. Testimonianze

Anthony Appiah : Il vero significato del cosmopolitismo e perché dobbiamo abbracciarlo per sopravvivere

Il "bacio " tra il Papa e il Grande Imam di Al-Azhar.: una fake news