Ugo Tramballi : OMBRE RUSSE A DAMASCO


OMBRE RUSSE A DAMASCO
IL SOLE 24 ORE, 23/42016
di Ugo Tramballi
DAMASCO – La parte di Russia più evidente in città è la sua periferia. Il lungo viale di Mezzah, in direzione Sud Ovest con i suoi grandi palazzi grigi prefabbricati in cemento, assomiglia a Leninsky prospect. A parte le palme e i pannelli solari. La periferia di Damasco, simbolo della solidarietà socialista ai tempi della Guerra fredda, è una delle tre identità urbane della capitale siriana. Le altre sono la città murata che racchiude duemila anni di storia, e quella centrale che porta i segni della lunga presenza coloniale francese.
Se la capitale e la Siria di Bashar Assad sono ancora in piedi, e ora godono di una tregua precaria ma efficace, è grazie a Vladimir Putin e al suo intervento militare. Ma non esiste la Damasco sulla Moscova che sarebbe plausibile trovare data la presenza militare russa, i consiglieri, la riconoscenza che il governo e la gente dovrebbero mostrare verso chi li ha salvati dalla catastrofe e offerto la speranza di un futuro politico. Invece no, non c’è nulla di simile alla Saigon americana ai tempi della guerra del Vietnam.
L’importanza di un paese in un altro si misura dalla grandezza dell’ambasciata: qui quella russa è grande, ma c’è sempre stata. E’ raro vedere dei russi fare acquisti nel grande suk coperto e ancora più difficile trovarne nei caffè. E’ più evidente la presenza di iraniani e hezbollah libanesi, gli altri alleati essenziali di Assad. Controllano alberghi, i pellegrinaggi nei luoghi santi della fede sciita. In città è facile trovare posti di blocco controllati da militari che parlano farsi, la lingua iraniana.
Più che in tempo di pace, Damasco è addobbata di manifesti di Bashar Assad: in abiti civili, in una elegante divisa kaki che gli conferisce la gravitas di un De Gaulle, in mimetica da combattimento tra i soldati al fronte. Ma non ce n’è uno nel quale il presidente posi accanto all’”alleato fraterno” Putin al quale deve pur così tanto. Solo rovistando con attenzione nella chincaglieria turistica del suk, si scovano magneti e mug con i due leader insieme.
E’ come se si volesse dare un sorprendente basso profilo alla presenza russa in questo conflitto. Eppure “la liberazione di Palmyra è stata possibile al 60% dai bombardamenti dell’aviazione russa e al 40 dalle forze siriane e dagli alleati (iraniani e sciiti libanesi, n.d.r.)”, ammette Wael Almawla, il direttore in Siria di Almanar, la tv di Hezbollah che l’Arabia Saudita perseguita oscurandola su ogni piattaforma satellitare della regione.
Il mese scorso, quando Vladimir Putin ha convocato i suoi ministri della Difesa e degli Esteri al Cremlino e in diretta tv ha annunciato che la missione era compiuta e dunque la Russia ritirava gran parte dei suoi militari, il regime aveva cercato di non dare peso alla decisione: un atto previsto. Ma non doveva essere proprio così se la mattina dopo il cambio col dollaro è precipitato per la prima volta oltre i 500 pound siriani, costringendo la Banca centrale a un intervento oneroso. All’inizio della guerra ne bastavano 47 per un dollaro.
Riconoscenza non significa fiducia incondizionata. “La Russia è una superpotenza e ha i suoi interessi”, dice con realismo Wael Almawla che nella presenza di Hezbollah in Siria ha un ruolo politico, non solo televisivo. Il partito-milizia sciita libanese combatte dalla stessa parte ma Wael non sembra così sicuro che si tratti di un’alleanza di sangue: “Noi non abbiamo fatto alcun accordo con i russi né ci incontriamo faccia a faccia: i rapporti con loro li teniamo tramite i siriani”. Per Hezbollah il ritiro russo prima o poi sarebbe comunque avvenuto: “Non è nel loro interesse liberare l’intero paese. Se l’influenza russa verrà meno, il vuoto sarà garantito dall’Iran. La loro presenza è la valvola di sicurezza perché non ci sia una guerra fra Israele e Siria. Perché noi sappiamo che la sicurezza di Israele è importante per i russi come per gli americani”.
Per Wael a Damasco i russi non sono più di una cinquantina, 200 in tutto il paese. A parte naturalmente le basi militari e le città costiere di Tartus e Latakia. Ma le relazioni fra Siria e Russia sono antiche. Almeno 400mila siriani hanno studiato nelle università russe e i matrimoni misti sono 50mila. Intanto dopo cinque anni di guerra e di paura, Damasco sembra una città sospesa che vive la tregua con ansiosa felicità: il suo desiderio di normalità non è meno intenso e palpabile della precarietà politica di questo cessate il fuoco. Ogni tanto rari colpi lontani – i qaidisti di Jabat al Nusra contendono le posizioni dell’Isis, in uno scontro fra estremismi islamici – ricordano che la guerra rimane in attesa, a pochi chilometri dal centro di Damasco.

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