Storie da Gaza: Facebook può essere dannoso alla salute
Cultura è Libertà una campagna per la Palestina
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blog sulla pubblicazione "POP PALESTINE, viaggio nella cucina popolare
palestinese". Si parla di incontri, scoperte, storia, cibi e
OCCUPAZIONE! Uno spicchio di cultura, un mosaico di colori e
sapori....decisamente da leggere
http://bit.ly/1RImYnK
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In un precedente articolo vi abbiamo presentato il progetto artistico di We are not Numbers,
che offre a giovani scrittori palestinesi la possibilità di formarsi in
campo letterario e pubblicare i loro racconti. Ci sembrava una bella
idea tradurre alcuni loro lavori in italiano, così da renderli
accessibili ad un pubblico piu ampio.
La prima storia tradotta è stata scritta da Khaled Al-Ostath
e ci piace perchè colloca un atto normale come quello di navigare su
Facebook in un contesto a-normale, e cioè il blocco della striscia di
Gaza. Khaled al-Ostath ha vent’anni e studia inglese all’università di
Gaza, è appassionato di scrittura, filosofia e diritti umani. La
storia è stata originariamente pubblicata in inglese sulla pagina
ufficiale di We are not Numbers con il titolo Warning: Facebook can be dangerous to your health. Qui di seguito la traduzione:
Attenzione: Facebook può essere dannoso alla salute
Tutto cominciò con intensi dolori al
petto ogni volta che mi connettevo a Facebook per controllare le novità
dei gruppi di cui faccio parte e scorrere tra i newsfeed. Non riuscivo a
respirare bene. La mia mente si annebbiava e non riuscivo a pensare.
Dopo una sessione su Facebook avevo problemi a comunicare con le persone
intorno a me e dormivo sonni inquieti. Il mio unico pensiero era
rivolto alla mia triste situazione, a differenza di tanti altri in
diverse parti del mondo. Le mie visite su Facebook si fecero sempre più
brevi, mentre i sintomi fisici di ansia e depressione prendevano il
sopravvento sul pensiero razionale.
E così, lasciai Facebook e posso dire
che non mi mancò per nulla. Con alcuni amici parlavo quasi
quotidianamente su Skype o Whatsapp; con altri mi sentivo ogni qualche
settimana nella forma di una lunga email o di una telefonata vecchio
stile. Avevo Twitter per restare al passo con quello che stava
succedendo nel mondo. Così anche senza Facebook potevo rimanere in
contatto con i miei amici piu cari e seguire le notizie di attualità.
Quando condividere diventa troppo
Ironicamente la ragione per cui
lasciai Facebook furono i miei amici che vivono qui a Gaza con me. I
loro posts erano cosi demoralizzanti! Speculavano in maniera orribile su
come la prossima guerra con Israele fosse dietro l’angolo, pronta a
distruggere tutto e tutti. Una persona, per esempio, scrisse che Gaza
sarebbe stata bombardata entro due mesi e la popolazione lasciata senza
riparo. Un’altra scrisse che si sarebbe vissuta la guerra più letale di
tutte nei mesi a venire, a causa dell’inasprimento degli eventi in
Cisgiordania. Altri ancora insistevano che la guerra sarebbe cominciata
nell’estate o ancora prima, alla fine dell’inverno, per via delle
tensioni al confine. Una persona, che scrive sotto pseudonimo (alcuni
hanno paura ad usare il loro vero nome a causa della volatilità della
situazione politica) predisse “Gaza verrà distrutta durante il Ramadan
proprio come nell’ultima guerra”.
Da Palestinese residente a Gaza ed
essendo sopravvissuto a tre guerre, queste chiacchiere erano davvero
deprimenti e stressanti. E devo ammettere che a modo mio ci stavo pure
contribuendo. Non scrivevo di guerra ma comunque postavo le tristi
conversazioni che avevo con persone a me care, nelle quali dicevo cose
come “Sono così stanco, stanco di non essere abbastanza, stanco di farmi
abbattere, stanco di piangere, stanco delle insicurezze e stanco di
essere stanco”. O ancora “non sai cos’è il dolore finchè non ti vedi
nello specchio, il viso rigato dalle lacrime, implorando di avere la
forza di continuare”. Questo è dolore. Ero entrato in un tunnel buio.
Felice per loro, ma…
I miei amici dall’estero peggioravano
la mia depressione. Ad esempio, un amico (un inglese che non ho mai
incontrato di persona) stava partendo in vacanza da Londra per
Washington, DC. Leggevo i suo posts dalla mia stanza senza elettricità,
con le coperte tirate fin sul mento da quanto freddo faceva. A quel
tempo stavo leggendo Brave New World di Aldous Huxley sul mio telefono,
ma la batteria si stava scaricando perché qui l’elettricità manca 20 ore
ogni giorno. Guardavo le foto del mio amico inglese e leggevo i suoi
posts sulle librerie, biblioteche e caffetterie che stava visitando. Una
cosa che mi ferì in modo particolare fu una foto del London Eye [Occhio
di Londra], anche conosciuto come Ruota del Millennio che pubblicò al
suo ritorno. Tra tutti i posti al mondo, vorrei essere proprio su quella
ruota con Grace, la mia ragazza e migliore amica. Nella mia stanza
fredda cominciai a pensare “come riuscirò mai a scampare a questo
inferno e andare via, da qualche parte di bello?” Fissavo il soffitto e
mi chiedevo perchè tutte le bellissime esperienze che altri vivono mi
venissero negate, unico motivo il mio essere nato a Gaza. Finalmente
laptop e telefono si scaricarono e la stanza venne sommersa dal buio.
Non dormii molto bene a causa del freddo che mi gelava le ossa.
Gli aspetti positivi di Facebook
D’altra parte, i posts delle persone
che vivono lontano da Gaza sono stati un’ancora di salvezza per me.
Alcuni amici sono diventati parte della famiglia. Mi mandano messaggi di
ottimismo e speranza e suggerimenti su come allentare lo stress o
raccomandazioni di libri da leggere. Per esempio, un amico di DC aveva
l’abitudine di scrivermi tutti i giorni, offrirmi consigli, suggerirmi
cose da leggere o scrivere, incoraggiandomi a parlare di vita e futuro.
Amo i posts degli americani perchè, a dire il vero, amo la cultura
americana. Mi dà energia leggere posts dall’America e conoscere
i dettagli dello stile di vita locale. Ma a conti fatti, anche i posts
interessanti e di sostegno non valevano la pena di soffrire la grave
depressione che Facebook mi stava causando. Per due mesi ne rimasi alla
larga. E questo mi aiutò davvero! Diventai piu produttivo, scrivevo e
leggevo di più e trascorrevo più tempo con un amico speciale. Stavo
molto meglio.
Ma avevo un problema. Facebook non
è solo una piattaforma dove amici si scambiano le novità, è anche il
luogo dove organizzazioni e gruppi condividono informazioni importanti.
In quanto membro di We are not Numbers stavo
perdendo eventi ed annunci. Controvoglia sono tornato su Facebook. Ho
cancellato persone che erano particolarmente negative e cerco di
limitare il tempo che trascorro online. La maggior parte del tempo che
passo su Facebook è per leggere la pagina di We are not Numbers e
controllare le informazioni che mi servono. Ma mi preoccupa il fatto che
la depressione possa tornare. Dovrò accettare che è pericoloso
connettersi a Facebook da Gaza.
(traduzione dall’inglese di Eleonora Pennini)
Per maggiori informazioni sul progetto, scrittori e storie vi invitiamo a visitare We are not Numbers sulla loro pagina ufficiale e su Facebook.
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