Palestina e cambiamento climatico, lo Stato che non c’è ha una strategia nazionale di adattamento

L’Unfccc deve tener conto anche del controllo sulle risorse naturali negato ai popoli sotto occupazione
[26 aprile 2016]
Palestina cambiamento climatico
Tra i leader mondiali che all’Onu hanno firmato l’Accordo di Parigi sul cambiamento climatico c’era anche l’ambasciatore Riyad Mansour, osservatore permanente della missione di uno Stato che non c’è: la Palestina, divisa tra la prigione a cielo aperto della Striscia di Gaza e la Cisgiordania frantumata e occupata dalla colonie israeliane. Mansour ha detto ad Al Jazeera che «La firma dell’accordo di Parigi, è un testamento sulla capacità del mondo di agire collettivamente per affrontare un problema esistenziale. E’anche l’occasione per riconoscere le nazioni e i popoli che lottano contro condizioni climatiche estreme uniche. Lo Stato di Palestina è uno tra i molti Paesi in tutto il mondo che fa fronte a tali sfide».
Infatti la Palestina, pur circondata, occupata e non riconosciuta da Israele e da diversi Paesi occidentali,  fa parte della United Nations framework convention on climate change (Unfccc) e le condizioni estreme in cui vivono i palestinesi rappresentano bene le difficoltà di popoli che,  come ha detto Mansour, «non hanno il pieno controllo sulle loro risorse naturali nel contesto dell’azione internazionale sul clima». Nonostante l’opposizione di Israele e degli Usa, la Palestina è stata presente a tutti i negoziati sul clima a partire dalla Conferenza di Rio del 1992, e in ognuno di questi incontri, Mansour ha messo in evidenza «le vulnerabilità specifiche affrontate dai popoli occupati, che devono, per esempio, far fronte a un controllo limitato e costante privazione delle loro risorse naturali. Mentre le persone che vivono sotto occupazione devono affrontare sfide diverse, so anche che tutti, condividono ovunque preoccupazioni simili. Siamo tutti di fronte l’aumento delle temperature, alla scarsità d’acqua, alla siccità e all’aumento del livello del mare. Ecco perché imparare gli uni dagli altri e condividere la nostra determinazione è universalmente utile e assolutamente vitale per salvare il nostro pianeta per le generazioni future, un obiettivo urgente stabilito dalle Nazioni Unite nella loro Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile».
L’ambasciatore palestinese ha ricordato all’Onu che «I palestinesi sono esperti in sopravvivenza con risorse minime, dopo aver sviluppato la loro capacità di recupero e affinato le pratiche sostenere la vita in un ambiente crudele. Ciò è particolarmente vero in agricoltura, dove i palestinesi hanno per decenni applicato tecniche di coltivazione innovative con risultati comprovati.Oggi, gli agricoltori palestinesi usano l’acqua dei reflui riciclati, la raccolta dell’acqua e l’irrigazione a goccia per superare l’usurpazione della nostra acqua d parte di Israele e conservare le nostre limitate risorse, così come il mantenimento delle banche di semi locali per preservare l’agrobiodiversità. La comunità tagliate fuori dalla rete energetica controllata da Israele guardano alle fonti energetiche alternative, come i pannelli solari. Essere diventato  uno Stato parte della convenzione Unfccc ci offre l’opportunità di costruire su queste tecniche attraverso finanziamenti per il clima, la tecnologia e il capacity-building ed una migliore condivisione delle nostre pratiche con gli altri Paesi del Mediterraneo ed oltre. Tuttavia, l’esercizio di tali opportunità è compromesso dal fatto che alla Palestina continua ad essere illegalmente negato il controllo delle proprie risorse naturali da parte di Israele, la potenza occupante, soprattutto a causa della continua espansione della sua colonizzazione in Cisgiordania, il suo blocco di Gaza e i suoi attacchi alle infrastrutture, che hanno devastato la qualità delle nostre risorse naturali e il nostro accesso ad esse. Questo sottolinea il fatto che se dobbiamo  veramente affrontare le sfide che abbiamo di fronte come popolo in tutti gli ambiti, siano essi politici, sociali, economici, umanitari, ambientali o altri, questo richiede in primo luogo la fine dell’occupazione israeliana che ha avuto inizio nel 1967 e di garantire la libertà e i diritti del popolo palestinese che sono stati per troppo tempo ingiustamente negati».
Ma mentre i palestinesi aspettano la fine di un’occupazione della quale non si intravede l’orizzonte, lo Stato negato sta cercando di rispettare gli accordi internazionali per realizzare la resilienza e lo sviluppo sostenibile in quel che rimane della Palestina. Nel 2010, l’Autorità palestinese ha approvato una “strategia di adattamento al cambiamento climatico” che ha definito un piano d’azione nazionale per affrontare alcuni delle più grandi minacce e si sta preparando a presentare alle Nazioni Unite un Intended Nationally Determined Contribution (INDC) come contributo nazionale per la riduzione delle emissioni di gas serra, confermando l’impegno per un futuro a emissioni zero, nonostante il fatto che l’occupazione israeliana impedisca di attuare pienamente una politica climatica palestinese.
La decisione dello Stato di Palestina di entrare a far parte dell’Unfccc ha fatto arrabbiare il governo israeliano, ma consente all’Autorità palestinese di mettere sul tavolo dei negoziati internazionali  il problema del completo controllo sulle loro risorse naturali da parte della popolazione dei territori occupati e di Gaza.
Mansour conclude: «L’accordo di Parigi è stato un enorme successo diplomatico. Siamo orgogliosi che lo Stato di Palestina sia un partner nel perseguimento dell’ambiziosa azione per il clima. Tuttavia, per realizzare il cambiamento sostanziale che tutti cerchiamo, ognuno di noi deve fare di più in patria e all’estero. Lo Stato di Palestina è parte rispettata in sede Onu e lavorerà con i nostri partner diplomatici per garantire l’effettiva attuazione dell’accordo di Parigi e l’ulteriore valorizzazione degli impegni sul clima. Vogliamo un mondo con un futuro sostenibile che tutti noi possiamo condividere, come uguali, in stabilità e pace. Come un nuovo Stato Parte dl piano d’azione mondiale sui cambiamenti climatici,  siamo ansiosi di lavorare per quel futuro luminoso».

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