Eric Salerno : "I muri sono una vergogna". Non bisogna dimenticare quello che Israele vuole completare in Palestina


 
 
 
 
Sono appena tornato a Gerusalemme dove basta uno sguardo oltre lo splendore della città vecchia con la sua spianata contesa da ebrei e musulmani, per vedere sullo…
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I muri proteggono, dividono, separano, imprigionano e hanno come pesante effetto collaterale quello di ridurre fino ad abolire la vicinanza e la comprensione tra le persone, i popoli, le nazioni. Sono appena tornato a Gerusalemme dove basta uno sguardo oltre lo splendore della città vecchia con la sua spianata contesa da ebrei e musulmani, per vedere sullo sfondo del paesaggio il Muro. Si snoda come un serpente. Avvolge, spaventa.
"I muri sono una vergogna", grida Federica Mogherini, battagliera responsabile della politica estera dell'Unione europea. Parla di nuovi muri in Europa, i primi dopo la caduta di quella di Berlino. Parla degli effetti deleteri di queste nuove tensioni sul sogno di un'Europa unita. Il Papa si sposta a Lesbos per occuparsi della tragedia dei migranti, dei profughi di nuovi conflitti. E, forse per mancanza di spazio nelle nostre menti invase da troppe sofferenze attorno a noi, abbiamo quasi dimenticato il Muro che il premier israeliano Netanyahu vuole completare e la sorte dei profughi palestinesi. Questo muro, fu avviato da altri governi israeliani con la scusa di voler bloccare il "terrorismo" che emanava dai territori palestinesi occupati. Fu costruito secondo criteri che poco hanno a che fare con la sicurezza.
Le frontiere d'Israele non sono sicure, raccontano da sempre i dirigenti di questo paese dimenticando di dire che almeno in due direzioni Israele non accetta di fissare le proprie frontiere. E così il Muro è stato costruito nei territori occupati (togliendo altro spazio a ciò che dovrebbe, in teoria almeno, diventare uno Stato palestinese accanto a Israele) e, poco, lungo il tracciato della linea d'armistizio della guerra del 1967. Forse poteva essere accettabile, almeno formalmente, se fosse stato eretto d'intesa con l'Autorità nazionale palestinese per segnare la legalità di una separazione tra due stati indipendenti. Sarebbe stato sempre un muro, con tutti i difetti di una barriera tra due popoli, ma così non soltanto sottolinea l'occupazione e rafforza la politica degli insediamenti ma rende sempre più distanti i due popoli che il destino (parola che da laico soffro a usare) vuole vicini di casa.
La separazione (oltre all'occupazione) ha fatto sì che i giovani israeliani e palestinesi non si vedono più. Non s'incontrano più. Non scambiano parole, non si frequentano più. Salvo ai posti di blocco dove diciottenni in divisa sono costretti a chiudere gli occhi di fronte alle sofferenze di altri diciottenni nati soffrendo e senza una luce che si possa intravvedere in fondo al tunnel dell'occupazione.
Anche oggi i quotidiani israeliani sono piene di ipotesi su una nuova possibile iniziativa di pace americana. Obama fu premiato con il Nobel per aver promesso ai palestinesi la fine delle loro sofferenze e a Israele la fine di un conflitto che sta corrodendo il tessuto stesso dello stato sionista. Netanyahu, dicono molte fonti, sta già manovrando per bloccare una risoluzione alle Nazioni Unite che, per la prima volta nella storia, gli Stati Uniti potrebbero appoggiare direttamente o indirettamente, non opponendo il veto. Altre fonti sono scettiche come lo sono la maggioranza di israeliani e palestinesi che prestano poca attenzione alle voci e al massimo osservano con curiosità l'iniziativa di un paio di coloni, due pacifisti israeliani e alcuni palestinesi che si sono attivati per cercare di impedire la costruzione di un altro pezzo del Muro che dovrebbe "proteggere" il grande insediamento di Efrat, non distante da Gerusalemme, circondando e isolando completamente l'antico villaggio palestinese di Walaya. E rendendo sempre più difficile il dialogo.

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