Ugo Tramball Fino all’ultima bugia. Il caso Regeni.


 
 
 
 
Oltre a una vittima, in questa brutta storia c’è un furbo e uno sciocco. Il primo è ciò che crede di essere il governo egiziano; il secondo quello
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Oltre a una vittima, in questa brutta storia c’è un furbo e uno sciocco. Il primo è ciò che crede di essere il governo egiziano; il secondo quello che il governo egiziano pensa sia l’Italia.
Non si spiega diversamente la nuova versione su chi e come ha torturato per una settimana e poi assassinato Giulio Regeni, diffusa da alcuni giornali locali e avallata dalle autorità.
Erano settimane che ci stavano preparando all’ultima bugia, dandole consistenza con la tesi del cui prodest: a chi giova rovinare gli eccellenti rapporti economici, politici e strategici fra i due paesi? Certo non al governo egiziano. È stato così insinuato che potessero essere alcune major petrolifere concorrenti di Eni o qualche altro governo invidioso dei nostri buoni affari con l’Egitto. Forse qualche milizia libica vicino al governo di Tripoli, per mettere in difficoltà la soluzione pacifica di quel conflitto.
Venuta dopo l’incidente stradale, la vendetta di un amore tradito, lo spaccio di droga e la lite fra italiani davanti al nostro consolato, nemmeno la tesi della trama internazionale ha retto. Poi è stato il turno dei Fratelli musulmani: chi più di loro? Ora è la banda di malfattori specializzata in rapine agli stranieri, composta da cinque malviventi. Si torna alla cronaca nera. Giulio avrebbe reagito e loro lo hanno assassinato: dopo averlo torturato per una settimana e tenendo per oltre un mese le prove del misfatto, cioè i documenti della vittima? Finalmente scoperti dalla polizia egiziana, nessuno di loro si sarebbe arreso, preferendo morire tutti durante il conflitto a fuoco. Niente confessioni, dunque.
Una verità plausibile: questo è il minimo che ci attendiamo. Il governo italiano, i giudici e i nostri uomini mandati a districarsi in quel porto delle nebbie che è la procura di Giza, hanno sempre saputo che non ci sarà mai data la verità piena dell’assassinio di Giuglio. Non abbiamo mai preteso l’impossibile, conoscendo la realtà dell’Egitto di oggi, la necessità di preservare la stabilità in una regione caotica, le difficoltà del presidente al Sisi. Per il nostro governo una verità plausibile, per esempio, sarebbe l’ammissione di una responsabilità, anche indiretta, del governo egiziano: l’eccesso di zelo di alcuni uomini dei servizi di sicurezza, un incidente sfuggito al controllo, il clima di tensione causato dal terrorismo islamico capace di perpetrare orribili attentati.
Invece dai nostri alleati della regione e migliori partner commerciali, abbiamo avuto solo arroganza e bugie. Sono convinti di essere necessari, confondono volutamente l’omicidio di un giovane innocente con le nostre preoccupazioni sulla stabilità della Libia; ritengono di avere fuori dalla porta la coda di investitori internazionali pronti a rimpiazzarci se non ci soddisfa come loro chiudono questa vicenda. Per loro la realpolitik è senza limiti. Alla fine è questo comportamento che dimostra anche ai più cauti e garantisti quanto sia la brutalità del sistema poliziesco egiziano ad aver prodotto il caso Regeni.

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