Mattarella alla corte d’Etiopia



Il quotidiano The Reporter di Addis Abeba riportava giorni fa la notizia del contratto che verrà firmato tra l’Ethiopian Electric Power e Salini Impregilo per la diga di Gibe IV…
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Il quotidiano The Reporter di Addis Abeba riportava giorni fa la notizia del contratto che verrà firmato tra l’Ethiopian Electric Power e Salini Impregilo per la diga di Gibe IV in seguito alla recente decisione della Sace di finanziare l’opera con 1,5 miliardi di euro.
Qualche ora dopo sarebbe atterrato in Etiopia il Presidente Sergio Mattarella, nella prima visita mai fatta da un presidente della Repubblica italiano nel paese. Il presidente ha discusso con le autorità etiopi di terrorismo, cooperazione, lotta alla povertà, migranti, energia e investimenti in una capitale abbellita a festa. Chissà se qualcuno gli avrà raccontato che a Addis, città in grande espansione, pochi mesi fa sono stati massacrati 140 dimostranti scesi in piazza a fianco delle popolazioni Oromo che vivono intorno alla capitale. Protestavano contro l’Addis Abeba Master Plan che li avrebbe cacciati dalle loro terre. Il progetto venne abbandonato, ma a febbraio di quest’anno le forze di sicurezza continuavano a mietere vittime in Oromia: almeno 200 persone uccise e migliaia detenute senza processo. Una repressione continua della quale il governo si avvalse a suo tempo delle tecnologie prodotte dall’impresa italiana Hacking Team.
Omo ed Oromia – da tempo in fermento contro il governo centrale – sono regioni abitate da popolazioni la cui colpa principale è quella di vivere in terre ambite per progetti di sviluppo, tra cui la diga di Gibe III. Alla vigilia della visita di Mattarella, Survival International, movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni, ha comunicato di aver presentato un ricorso contro Salini-Impregilo al punto di contatto italiano dell’Ocse per le imprese multinazionali. Survival punta il dito sull’impatto che Gibe III avrà sulle popolazioni indigene dell’Omo Valley e sull’esistenza del Lago Turkana, da cui dipende la sopravvivenza di almeno 300 mila persone, cui nessuno ha chiesto il consenso previo o concesso le compensazioni promesse.
Di recente la questione delle grandi dighe e delle violazioni dei diritti umani è tornata alla ribalta con l’omicidio efferato di Berta Càceres in Honduras, rea di opporsi ad una grande diga nella sua terra inizialmente sostenuta anche dalla cinese Sinohydro, la stessa che è dietro il mega progetto di Gibe III e Gibe IV. Salini-Impregilo sta ora terminando la costruzione di una delle dighe più grandi del mondo, la Gerd (Grand Ethiopian Renaissance Dam) la cui costruzione avrà un impatto grave sull’approvvigionamento delle acque del Nilo in Egitto.


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Veduta aerea della diga Giba III (Salini-Impregilo/LaPresse)
La diga alimentò gravi tensioni tra Etiopia, Egitto e Sudan che portarono a una dichiarazione di principi nel maggio 2015 per definire diritti e obblighi dei tre stati. Salini-Impregilo avrebbe ottenuto l’appalto senza gara, per un progetto ad alto rischio politico che nessun finanziatore si è azzardato a sostenere, al punto che il governo etiope dovette emettere bond per raccogliere i fondi necessari.
L’acqua e la terra d’Etiopia diventano così commodities, da immettere nel mercato globale anche a scapito dei diritti delle popolazioni che vivono in quelle terre da tempo immemorabile. Acqua e terra per produrre energia “pulita”. Come nel caso denunciato nel 2012 da Re:Common, del coinvolgimento di un’impresa italiana, la Fri-EL Green Power nell’espansione di una piantagione di palma da olio nella regione della valle dell’Omo, un caso evidente di land grabbing per alimentare di biofuel la centrale termoelettrica di Acerra. Palma da olio per ridurre le emissioni di gas serra e alimentare la green economy o l’agribusiness.
Il landgrabbing è un grande affare in Etiopia, paese che soffre l’impatto di siccità (l’ondata in corso è la più grave degli ultimi 30 anni) e fame. Si calcola che tra il 1995 e il 2016 saranno stati trasferiti a investitori stranieri 7 milioni di ettari di terre coltivabili. Dal 2010 sono stati espulsi almeno un milione e mezzo di indigeni dalle loro terre nelle regioni di Gambella, Afar, Somali, Lower Omo, Benishangul-Gumuz.
Questo il lato oscuro della luna. In un paese descritto come enfant prodige della crescita, un alleato essenziale nella lotta al terrorismo, un partner economico di tutto rispetto da corteggiare.
Una realtà che osservata in filigrana rivela contraddizioni e nervi scoperti, caratteristica prima del paradigma dominante di sviluppo. Contraddizioni anche targate Made in Italy. Forse per questo il presidente italiano si sarà guardato bene dal richiamare al rispetto dei diritti umani e del diritto alla terra dei popoli indigeni le autorità etiopi, che hanno invitato calorosamente le imprese italiane a investire nel paese per bocca del presidente Hailemariam Desalegn: «Ci vorrebbero tante Salini in Etiopia» ha detto.

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