Mappare l’occupazione” a Hebron: un’esplorazione interattiva dello spazio urbano

Mappare l’occupazione” a Hebron: un’esplorazione interattiva dello spazio urbano



Una giovane architetta italiana ha mappato le aree di occupazione e resistenza nel centro storico di Hebron. La piattaforma da lei creata rappresenta uno strumento prezioso per comprendere il ruolo di insediamenti e presenza militare israeliana
hebroninteractive



di Giovanni Pagani – Your Middle East*
Roma, 12 marzo 2016, Nena News – Zakyeh Mahmood Qasrawi appartiene a quella ristretta minoranza palestinese che ha scelto di rimanere nel centro di Hebron. Nel 2005, approfittando del coprifuoco, i soldati israeliani bloccarono l’ingresso principale della sua abitazione su al-Shuhada street, costringendo la sua famiglia a trovare un passaggio alternativo attraverso i cortili adiacenti. Da quel momento, Zakyeh (80 anni) è costretta a utilizzare l’ingresso dei vicini, attraversare il tetto e passare da una porta di fortuna che i suoi familiari hanno aperto da quel punto. La sua storia, assieme a quelle di molte altre famiglie palestinesi del centro storico di Hebron, è riportata da Mapping the Apartheid: una lente unica e innovativa attraverso la quale comprendere gli effettidell’occupazione israeliana sulla vita urbana di Hebron. 
“La vicenda di Zakyeh offre un chiaro esempio della situazione su al-Shuhada street – spiega Marianna Castellari, braccio e mente del progetto – a causa dei coloni e dei soldati israeliani, le famiglie che vivono nella zona hanno dovuto reinventare le proprie vite, sia socialmente che spazialmente; Mapping the Apartheid vuole semplicemente dar voce ai loro sforzi”.
Marianna, ex-studente di architettura presso il Politecnico di Milano, ha vissuto e lavorato a Ramallah per un anno. Prima di tornare a Milano lo scorso febbraio, ha trascorso due mesi a Hebron, dove in collaborazione con Youth Against Settlement – un’organizzazione locale di giovani palestinesi – e con il Politecnico locale il suo progetto ha finalmente preso forma. “Nonostante lavorassi da sola, il loro impegno è stato di grande aiuto e supporto. La maggior parte delle storie che abbiamo raccolto e riportato proviene dalle famiglie dei membri dell’organizzazione; mentre Suhaib, uno studente dell’università di Hebron che mi ha aiutata con la programmazione del sito web, ha dimostrato un entusiasmo che non mi sarei mai aspettata. Se il progetto oggi è online, lo devo anche a tutti loro”.
Sostenuto da una grafica chiara e da un’approfondita ricerca sul campo, Mapping the Apartheid si presenta come una piattaforma multimediale, grazie alla quale chiunque – dagli esperti della regione a coloro che vogliono informarsi sull’occupazione – potrà costatare la situazione attuale. Mappe tematiche, immagini, storie di famiglie locali e accurate ricostruzioni grafiche di alcuni luoghi chiave della città danno forma a un quadro esaustivo dell’occupazione, che per chiarezza e precisione lascia ridotti margini di revisione.
“È difficile rendere l’idea di ciò che sta accadendo a Hebron dopo decenni di occupazione – racconta Marianna -, per chi è interessato a comprendere, ci sono report dettagliati e un’infinità di articoli; ma tutti estremamente tecnici e approfonditi”. E prosegue: “Partendo da questo presupposto, abbiamo discusso a lungo di come le parole non bastassero, e abbiamo convenuto che servivano contenuti visivi affinché la gente si interessasse davvero al problema. Mappando le linee di occupazione e resistenza a una scala urbana ci sembrava di rendere la nostra denuncia tanto accessibile quanto oggettiva”.
Hebron è la seconda città palestinese in ordine di grandezza e l’unica ad avere insediamenti israeliani nel proprio centro storico. Mentre una minoranza ebraica ha storicamente fatto parte della demografia urbana fino al 1931 – quando l’arrivo del sionismo contribuì ad esacerbare lo scontro tra ebrei e arabi -, il primo insediamento israeliano è successivo alla guerra del 1967.
In quel periodo, un crescente numero di ebrei israeliani – spinti dall’incontro di un’ideologia sionista con il fondamentalismo religioso, e provenienti perlopiù da Stati Uniti e Israele – iniziò a confluire nella città vecchia. Senza ripercorrere l’intera storia dell’occupazione (che è spiegata tramite una dettagliata linea del tempo sul sito del progetto) Hebron è oggi divisa in due zone, H1 e H2, rispettivamente sotto il controllo palestinese e militare israeliano. La zona H2 include il centro storico e la Kasbah, dove 4.000 soldati israeliani sorvegliano una difficile coesistenza tra 35.000 palestinesi e circa 500 coloni israeliani.
In questo contesto, il rapporto tra i coloni, il governo israeliano e i suoi soldati sul campo potrebbe essere spiegato come una collaborazione tra attori statali e non, mirata a provocare frammentazione socio-spaziale nel fronte palestinese. In altre parole, i coloni si spostano nel centro storico di Hebron – spesso spinti da un’indole nazionalista e fondamentalista -, lo Stato israeliano garantisce loro un appoggio economico mentre l’esercito si fa garante della loro sicurezza. Sicurezza che offre a sua volta le precondizioniper la presenza militare israeliana.
“Dal momento che la città rappresenta un luogo sacro per le tre confessioni abramitiche, il conflitto a Hebron è stato spesso descritto in termini religiosi, ma lo scontro riguarda lo spazio, il territorio e il controllo la terra – conclude Marianna – Lungo al-Shuhada Street tutto ciò è molto chiaro: i palestinesi di Hebron sono stati privati dello spazio stradale, ostacolati nel portare avanti le proprie attività economiche e costretti a stravolgere il proprio rapporto con gli spazi pubblici e privati”.
Al momento, Hebron ‘ospita’ quattro diversi insediamenti israeliani, mentre un’intricata rete di checkpoint, sbarramenti e barricate frammentano il tessuto urbano; da nord a sud e da est a ovest. In questo quadro, la vita quotidiana della popolazione palestinese è spazialmente ostacolata da una distesa di barriere fisiche e socialmente disgregata da un’interminabile guerra di logoramento che ne impedisce il regolare svolgimento. Tale frattura tra tessuti sociali e urbani è alla base della morte lenta alla quale il centro storico di Hebron appare sempre più condannato.
 *Traduzione di Giovanni Pagani

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