L’intervento militare in Libia: un duplice pericolo per i paesi della regione
Di Muhammad bin Imhamad al-Alawi. Al-Arab (03/03/2016). Traduzione e sintesi di Irene Capiferri.
La regione del Nord Africa è interessata
da crescenti sfide, economiche, sociali e di sicurezza, e la Libia è
oggi bersaglio di un intervento militare occidentale con il pretesto di
contrastare Daesh (ISIS) e l’aumento dei gruppi militanti.
Naturalmente un intervento di questo tipo
influirà negativamente su tutti i paesi della regione: la Tunisia sarà
bruscamente condizionata da tale circostanza, così come il Marocco, che
pure ha fatto grandi sforzi per promuovere la soluzione politica, e ha
ospitato a Skhirat la maggior parte dei negoziati tra le fazioni
libiche.
L’intervento militare occidentale non è
una soluzione in grado di restituire stabilità al paese e portare ai
suoi abitanti sicurezza e speranza, come dimostrano gli interventi
americani in Iraq e in Somalia, che non hanno fatto che aumentare le
divisioni, o quelli di Russia e Iran in Siria, che hanno portato
ulteriore distruzione. Qualsiasi attacco militare in Libia avrà
conseguenze disastrose per l’intera regione poiché provocherà i
terroristi e fornirà occasione agli estremisti per giustificare la loro
violenza e guadagnare consenso.
Chi segue la questione libica ritiene che
la soluzione politica vada incoraggiata e sostenuta e che ogni
tentativo di dividere il paese rappresenti un passo verso la distruzione
della stabilità dell’intera regione. La Tunisia soffre già della
mancanza di sicurezza nella vicina Libia: un intervento militare
distruggerà i tentativi di Tunisi di consolidare il suo modello di
democrazia e danneggerà la sua già fragile economia e il turismo
compromesso dagli attacchi terroristici degli ultimi anni. Tunisi ha
rifiutato ogni intervento militare e non parteciperà in alcun modo alla
coalizione internazionale, com’è stato confermato dal ministro della
Difesa. Il Marocco ha a sua volta espresso il proprio rifiuto di ogni
intervento esterno, e il ministro degli Affari Esteri e della
Cooperazione ha riaffermato la necessità di dare priorità alla soluzione
politica.
Il governo di unità libico è ora in
sospeso, e il paese annaspa tra problemi di ogni tipo. Resterebbe la
possibilità che quei paesi della regione capaci di influire sulla
realizzazione di una soluzione politica prevalessero: tali paesi sono
consapevoli di essere in pericolo, nella loro identità, stabilità e
sicurezza, e che la minaccia di un intervento straniero non è meno grave
del dilagare delle cellule terroristiche. Ma la teoria che l’accordo
politico sia la base per stabilire una nuova legittimità ha bisogno di
maggiore intesa tra le varie parti in causa nella crisi. La Libia è ora
incapace di realizzare una stabilità in assenza di un’autorità che possa
imporre l’ordine e controllare i confini, mantenere il controllo sulla
circolazione di armi e sull’intervento delle molteplici autorità esterne
(e i loro interessi), il proliferare dei gruppi terroristici e lo
sviluppo del pensiero estremista.
La situazione in Libia richiede dunque un
intensificarsi degli sforzi da parte di tutti i paesi del Maghreb arabo
per realizzare una riconciliazione interna completa, senza esclusione o
coercizione. L’eventualità di un intervento straniero e l’estendersi
dell’estremismo costituiscono un duplice pericolo per la regione del
Maghreb nel suo insieme.
Muhammad bin Imhamad al-Alawi è un giornalista marocchino.
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