La Russia si ritira dalla Siria. In che senso? -

 
 
 
In grassetto le notizie, in corsivo il luogo cui si riferiscono (riportato sulla mappa), tra parentesi la fonte, quando disponibile su Internet. Il Cremlino rimette in sella Assad e fa le valigie Damasco (al-Hayat, al-Manar, ash-Sharq al-Awsat,…
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La nuova rassegna quotidiana di Limesonline con le notizie principali dal Medio Oriente.
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In grassetto le notizie, in corsivo il luogo cui si riferiscono (riportato sulla mappa), tra parentesi la fonte, quando disponibile su Internet.

Il Cremlino rimette in sella Assad e fa le valigie 
Damasco (al-Hayat, al-Manar, ash-Sharq al-Awsat, al-Mayadeen, al-Arabiya, Sana, al-Akhbar). L’annuncio a sorpresa del presidente russo Vladimir Putin di “ritirare la parte principale delle truppe” dalla Siria domina le aperture dei siti Internet dei principali quotidiani e media arabi. I giornali cartacei, che stavano per chiudere le loro pagine poco dopo l’annuncio di Mosca, non hanno fatto in tempo a ospitare analisi ed editoriali, affidati invece ai siti online.
I media vicini all’Arabia Saudita e più ostili all’intervento russo pongono l’accento sul fatto che la base militare aerea di Hmeimim (tra Jabla e Latakia) e il porto di Tartus, le due principali installazioni russe in Siria, rimarranno operative. Qui si concentra infatti il numero maggiore di unità di Mosca. Le fonti citano esperti militari russi che affermano che il ritiro avverrà lentamente e che in ogni caso sarà molto parziale: in Siria continueranno i raid aerei, i lanci di missili balistici dal Mediterraneo e dal Caspio. Così come rimangono gli addestratori e i consiglieri militari.
Insomma, le forze governative e quelle iraniane non perdono il sostegno militare russo, ma continuano ad avere le spalle coperte dalla potenza di fuoco di Mosca.
Dal canto suo l’agenzia Sana, controllata dal governo di Damasco, mette l’accento sul fatto che “la decisione annunciata dalla Russia è stata presa assieme” alle autorità siriane. Nella nota del Cremlino di ieri si afferma invece che Putin ha informato il presidente Bashar al-Asad della decisione presa. In serata alla tv di Stato siriana è apparso un portavoce delle Forze armate – poi citato da al Manar, la tv degli Hezbollah – che ha affermato che “dopo tutti i successi riportati dagli eroici soldati della Repubblica araba di Siria è normale che si riduca il numero di soldati russi nel paese”. E che comunque “le operazioni anti-terrorismo proseguiranno col sostegno degli alleati”. Insomma, la guerra continua anche secondo il regime siriano.
L’annuncio di Mosca arriva nel giorno in cui a Ginevra sono cominciati i colloqui indiretti mediati dall’Onu tra regime e opposizioni. Da alcuni analisti le dichiarazioni di Putin possono essere interpretate come un segnale alla dirigenza siriana, perché questa assuma una posizione meno intransigente nella negoziazione politica. Di fatto, si afferma, la Russia è intervenuta come aveva annunciato non solo per combattere il “terrorismo” ma anche per ristabilire i rapporti di forza sul terreno a favore delle truppe lealiste e per consentire ad Assad di trovarsi al tavolo delle trattative in una condizione di superiorità. In questo senso sembra effettivamente raggiunto uno degli obiettivi principali dell’intervento di Mosca.
Da quanto emerge da Ginevra regime e opposizioni rimangono ancora distanti: le seconde chiedono la caduta di Assad, il governo respinge ovviamente tale proposta. Per ora non viene risolto – né affrontato – il nodo politico del conflitto: chi comanderà a Damasco domani.
Altri giornali si interrogano infine se l’annuncio russo possa influire sulla situazione umanitaria sul terreno. Per i civili qualcosa è cambiato nelle aree coinvolte dall’interruzione momentanea delle ostilità (non ovunque). A Damasco e nel sud si è registrata una diminuzione di due terzi delle vittime giornaliere e sono tornate le manifestazioni pacifiche anti-regime in queste aree fuori dal controllo del governo ora meno bombardate di prima. Altrove invece i raid continuano e i civili sono esposti come prima. Si fa riferimento, per esempio, all’intensità di raid russi e governativi condotti nelle ultime ore su Palmira, controllata sì dallo Stato Islamico (Is) ma abitata da centinaia di migliaia di civili.

Curdi di Siria: il federalismo sarà fondato sulle comunità e non sui confini geografici
Qamishli (al-Hayat). Le autorità prevalentemente curde del Rojava (Kurdistan siriano) hanno iniziato le consultazioni con le varie comunità etniche che popolano i loro territori – arabi e cristiani siriaci in primis – per discutere le modalità di applicazione del federalismo in Siria. Un rappresentante curdo di alto rango ha sottolineato che il federalismo verrà implementato “su base comunitaria e non geografica”, prendendo così le distanze sia dal modello curdo-iracheno che dalle posizioni delle opposizioni siriane a maggioranza araba e da quelle del regime.
Sia le opposizioni siriane che Damasco sono disposti ad accettare una decentralizzazione, mentre vedono nel federalismo un preludio alla divisione della Siria. Rispetto ad Arbil, le autorità del Rojava, influenzate dal pensiero del leader del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) Abdullah Öcalan, insistono sulla creazione di strutture orizzontali di auto-gestione, ispirate a un confederatismo di derivazione anarchica piuttosto che alla delineazione di confini territoriali.
In pratica, l’idea è di realizzare una sorta di federalismo orizzontale che comprenda anche le comunità curde di Aleppo e Damasco, attualmente al di fuori dei confini geografici del Rojava. Il rappresentante curdo ha inoltre specificato che i termini del federalismo andranno definiti “al di là del [futuro] testo costituzionale, al momento della conclusione dei negoziati, onde evitare inganni già verificatisi in passato.”
I curdi siriani sembrano voler quindi capitalizzare il sostegno russo al federalismo, e ottenere delle concessioni fondamentali già a partire dalla conclusione dei colloqui di Ginevra in corso, senza passare da alcun referendum. Per fare ciò dovranno però essere inclusi nei negoziati: la Russia sta facendo pressioni in questa direzione, per assicurarsi un’ulteriore pedina non allineata né con Damasco né con le opposizioni sostenute da Golfo e Turchia, ma Washington non ha ancora dato il suo consenso ufficiale. Gli Usa devono chiaramente fare i conti con l’alleato turco, categoricamente contrario all’inclusione del Rojava nei negoziati, anche se sostengono esplicitamente le Forze Democratiche della Siria guidate dai miliziani curdi in funzione anti-Is.
Anche l’Iran non vede di buon occhio la soluzione federalista: Teheran condivide con Ankara un’annosa lotta contro i movimenti autonomisti curdi.

Milizie irachene sciite divise tra Baghdad, sadristi e filo-iraniani
Baghdad (al-Quds al-Arabi). Le divergenze tra le varie formazioni sciite irachene sono sempre più profonde e finiscono per ripercuotersi inevitabilmente sulle rispettive milizie. I combattenti degli Asa’ib Ahl al-Haqq sono vicini a Teheran e contrari a ogni forma di inglobamento dei gruppi paramilitari all’interno dell’esercito e delle forze di sicurezza. Su posizioni affini anche Hezbollah iracheno.
Sull’altro fronte ci sono invece i sadristi e in misura minore i seguaci di Ammar al-Hakim (ex-Consiglio Supremo Islamico in Iraq, una delle maggiori forze politiche nel sud del paese), che sostengono il programma di riforme annunciato da Baghdad e un ridimensionamento del peso economico e militare delle milizie. Nello specifico, i sadristi sono stati tra i sostenitori della decisione del governo di Haidar al-Abadi di ridurre del 30% il numero di arruolati nelle milizie. I seguaci di Moqtada as-Sadr chiedono inoltre che si ponga fine agli stipendi dei combattenti “immaginari” registrati nelle sedi dei partiti e delle milizie, che costituiscono un ulteriore fardello economico per Baghdad.
Le tensioni sono peggiorate da quando i sadristi hanno iniziato a partecipare attivamente a manifestazioni anti-governative che chiedono un rimpasto ministeriale su base tecnocratica, lontano da faziosità e corruzione. Il 4 marzo, in seguito all’allarme circolato su un possibile attentato al leader del movimento Moqtada al-Sadr a Baghdad, i sadristi hanno infatti ritirato molti dei loro combattenti dal fronte di Salahuddin per farli rientrare nella capitale, teatro delle manifestazioni. I miliziani degli Asa’ib Ahl al-Haqq hanno pertanto accusato i sadristi di “tradimento” nel contesto della guerra all’Is. Nello stesso scenario di conflitti interni agli schieramenti sciiti si collocano l’omicidio di un leader degli Asa’ib Ahl al-Haqq avvenuto a febbraio, per il quale sono stati accusati i sadristi, e i conseguenti scontri tra le due fazioni.
L’Iraq dei partiti sciiti sembra sempre più diviso tra un fronte più nazionalista e un altro al servizio di Teheran. Lungo queste spaccature si possono inserire gli Usa e i loro alleati regionali fautori di un ridimensionamento dell’influenza iraniana nel paese. Non a caso, nelle dichiarazioni degli Asa’ib Ahl al-Haqq filo-iraniani, le pressioni di Washington sono considerate la vera ragione dietro la decisione governativa di ridimensionare il ruolo delle milizie.

Secondo loro: il caso Regeni e le sparizioni di egiziani in Italia per la stampa egiziana
Il Cairo (al-Yawm as-Sabi, ONA news, Sada al-Balad, ash-Shabab). Si è concluso ieri al Cairo l’incontro tra il procuratore della repubblica di Roma e il suo omologo egiziano sull’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni, il dottorando italiano ritrovato morto il 3 febbraio scorso. Agli italiani guidati dal procuratore Giuseppe Pignatone è stato consegnato il dossier completo delle indagini, contenente le investigazioni dell’apparato di sicurezza, le deposizioni dei testimoni, il rapporto del medico legale e i tabulati della compagnia telefonica con le telefonate ricevute ed effettuate dalla vittima. Un nuovo incontro tra i magistrati italiani ed egiziani si terrà presto a Roma.
Negli ultimi giorni è comparso anche un nuovo testimone oculare, Muhammad Fawzi, che ha dichiarato di aver visto Regeni discutere “a voce alta” con un altro uomo il pomeriggio del 24 gennaio scorso, giorno precedente la scomparsa dello studente italiano. Secondo il testimone, che ha raccontato la vicenda anche durante una trasmissione sul canale televisivo Sada al-Balad, l’alterco è avvenuto alle spalle del consolato italiano e i due “erano sul punto di passare alle mani”.
La stampa egiziana precisa ancora che Fawzi ha riconosciuto l’uomo tra circa 200 foto degli amici dello studente scomparso che gli investigatori gli hanno sottoposto. La procura ha poi disposto l’analisi dei filmati delle telecamere di sorveglianza presenti sull’edificio del consolato italiano.
Un editoriale del giornale al-Yawm as-Sabi ha ripreso la dichiarazione del presidente della comunità egiziana in Italia, Adel Amer. In collegamento telefonico con una trasmissione del canale LTC agli inizi di febbraio, Amer ha detto che decine di egiziani vengono uccisi in Italia “e nessuno ne parla né in Italia, né in Egitto”, lasciando intuire – concude l’editoriale – che gli immigrati egiziani siano vittime di bande mafiose nel nostro paese.
 

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